Giorno per giorno – 22 Gennaio 2011

Carissini,

“Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: È fuori di sé” (Mc 3, 20-21). Sì, era proprio fuori di sé. “Fuori di sé”, ci dicevamo stamattina, dovrebbe essere la più pertinente definizione del cristiano. Gustavo Gutiérrez lo dice dell’uomo tout court che, “contrariamente a tutte le leggi della fisica, sta in piedi solo quando il suo baricentro cade fuori di sé”. C’è però, chi può pensarla diversamente. Ma, il cristiano, no. Se non è “eccentrico”, nel senso di avere il suo centro fuori di sé, semplicemente non è cristiano. Niente di male, ovviamente, se non lo è. È solo per intenderci. Perciò, se non hanno ancora chiamato per noi l’ambulanza, se non hanno invocato la camicia di forza, o se non sono andati dal parroco (dove ancora si usi) a lamentarsi sconsolatamente: sa, nostro figlio è andato fuori di matto, c’è quasi da preoccuparsi. Esageriamo? Sì, un po’, ma è solo per intenderci. “Gesù entrò in una casa”, dice il Vangelo e doveva essere la casa di Pietro. Ma potrebbe essere la casa parrocchiale, addirittura la nostra, di casa. Qual è il segno che, dentro, c’è Gesù? È che c’è tanta folla, che non si ha più neppure il tempo per mangiare. Immaginarsi se ce n’è per assistere all’ultima telenovela o alla puntata del Big Brother. Un nostro amico – che il vostro Formigoni e i suoi colleghi  definirebbero  di un “moralismo” che nulla ha a che fare con l’ “imitatio Christi”, che invece loro sanno perfettamente cos’è (infatti, invece che sulla croce, sono dappertutto dove c’è anche solo un po’ di profumo di potere), ci scriveva l’altro ieri: “e come meravigliarsi se le ragazzine fanno la coda sotto le finestre di Palazzo Grazioli e di una certa villa di Arcore, quando papà e mamma  le hanno tirate su da quando avevano ancora il biberon con i programmi televisivi ammanniti dalle tivu di chissà chi?”. Oh, sia ben chiaro, da noi non è che vada meglio; noi si ha la Globo, la Sbt, la Band e persino la Record (che appartiene alla Igreja Universal do Reino de Deus), che propongono esattamente lo stesso tipo di programmazione che da voi e in buona parte del resto del mondo. Ed è giusto che sia così: ciascuno si coltiva i suoi idoletti e i suoi valori.  Ma i cristiani? Possibile che ci si debba omologare su tutto, che ci si debba adeguare al peggio (o al meglio, secondo il punto di vista), sedere, per esempio, alla mensa di Erode, in cambio di qualche privilegio, di qualche favore, nella migliore delle ipotesi, di qualche concessione alle proprie convinzioni? Non ci pare proprio che Gesù abbia cercato nulla di questo. Se vogliamo proclamare i valori della vita, della famiglia, dell’educazione, mostriamo come la tribù dei cristiani, tra le tante altre che compiono scelte differenti, è in grado di testimoniarli in prima persona. Con un tale grado di credibilità, che a qualcun altro potrebbe persino venir voglia di provare a viverli.

 

Oggi il calendario ci porta la memoria dell’Abbé Pierre, il prete dei senzatetto.

 

22 ABBÉ PIERRE 3.jpgHenri Antoine Groues (questo il suo nome alla nascita) era nato il 5 agosto 1912, in una famiglia benestante di Lione.  Dopo gli studi dai gesuiti, l’incontro con la figura di Francesco, durante un viaggio ad Assisi, lo spinse ad abbracciare la vita religiosa nell’ordine dei frati minori cappuccini, dove nel 1931 emise i suoi voti, assumendo il nome di frère Philippe e devolvendo il suo patrimonio personale ad opere caritative. La vigilia dell’ordinazione a sacerdote, nel 1938, il padre Henri De Lubac, gli suggerì: “Fa’ una sola preghiera allo Spirito Santo, che ti dia l’anticlericalismo dei santi”. E ci sembra una preghiera sempre buona. L’anno successivo, motivi di salute costrinsero il nostro a lasciare la vita conventuale e ad incardinarsi nella diocesi di Grenoble. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, si dedicò attivamente al salvataggio dei perseguitati dalla tirannia nazista, ebrei e oppositori politici, divenendo in seguito elemento di primo piano della resistenza francese. Alla fine della guerra, fu deputato all’Assemblea nazionale costituente, nel 1945-46 e poi, in Parlamento, fino al 1951. Intanto, nel 1949, aveva dato vita al Movimento Emmaus che, negli anni successivi, darà vita, in decine di Paesi,  a centinaia di comunità,  in cui i poveri, con un lavoro di recupero e riutilizzo di quanto viene buttato via, si guadagnano da vivere onestamente e si permettono il “lusso” di aiutare chi sta ancora peggio. “Vivere è rendere credibile l’Amore” “L’urgenza è la condivisione, condivisione anche del bene lavoro, del tempo libero…”. È il messaggio che per mezzo secolo l’Abbé Pierre portò ovunque. Nel 1996, la sua immagine fu per qualche tempo seriamente offuscata, a causa di alcune sue dichiarazioni a favore di Roger Garaudy, una figura d’intellettuale dal percorso piuttosto complesso e volubile, di estrazione protestante, poi stalinista, marxista dissidente, cattolico e infine musulmano, approdato all’antisemitismo e sostenitore di sciagurate tesi negazioniste sull’Olocausto. Ma, il vecchio Abbé Pierre seppe tirarsene fuori, per riprendere, nonostante le malferme condizioni di salute, la missione di sempre. Ha vissuto gli ultimi anni nella Comunità Emmaus di Alfortville, nel Val-de-Marne. Ricoverato il 14 gennaio all’ospedale  Val-de-Grâce,  a Parigi, per un infezione polmonare, vi si è spento il 22 gennaio 2007.  

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Ebrei, cap.9, 2-3. 11-14; Salmo 47; Vangelo di Marco, cap.3, 20-21.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche di Eretz Israel e della diaspora.

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda con un brano tratto dal “Testamento” (Piemme) dell’Abbé Pierre. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Un giorno, ho sentito qualcuno dire: “A me, che non sono credente, il tuo modo di vivere può far venir voglia di pensare che la fede sia vera”. È così che si comunica il contagio. Si ricorderà che, negli anni ’50, ai primi tempi di Emmaus, abbiamo dovuto costruire d’urgenza degli alloggi per le famiglie dei senzatetto. Lavoravamo senza sosta, compresa naturalmente la domestica. Ed ecco che, un sabato sera, ci ritroviamo senza blocchetti di cemento. Che fare? Ormai era tutto chiuso. “Cè un tipo che ne fabbrica non molto lontano da qui = mi dissero -. Ve ne sono sempre davanti alla sua fabbrica, ma faccia attenzione perché è un mangiapreti”. Bene. Ci vado. Mi fa servire da bere e mi dice – sento ancora la sua voce -: “Lei è il primo prete che lascio entrare in casa mia”. Poi aggiunge, battendo il pugno sul tavolo: “Non è possibile che sia come fanno!” (non disse, come dicono!). Mi racconta, allora, che un padrone della zona, ingiusto con i suoi operai e conducente una vita scandalosa, aveva avuto un funerale principesco, con la partecipazione di molti preti e addirittura di un vescovo – e tutto questo unicamente perché faceva delle offerte per il seminario o qualcosa del genere -, mentre, alcuni giorni dopo, il funerale di una vecchietta del quartiere, benvoluta da tutti, si era conclusa in fretta e furia con tre colpi d’aspersorio. “Non può essere come fanno”, ripete, mentre mi allunga i blocchetti di cemento , e aggiunge: “No, non voglio che me li paghi”. Poi, quando sto per salire sulla camionetta, mi batte sulla spalla e dice: “Signor curato, non so se il buon Dio esiste, ma sono certo che, se esiste, è quello che fa lei”. (Abbé Pierre, Testamento).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-22T22:23:00+01:00da fraternidade
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