Giorno per giorno – 21 Gennaio 2011

Carissimi,

“Gesù salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che voleva ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici, perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demòni” (Mc 3, 13-14). Noi ce lo vediamo, lui, che si incammina sul monte e poi si accorge che è solo e allora si gira indietro e, più in basso, c’è la folla, che gli vuol bene, sì, ma poi la vita di tutti i giorni ha le sue esigenze. E, allora, Gesù, si sofferma a guardarli un po’ tutti e poi comincia a chiamarne uno e un altro e un altro ancora e c’è chi abbassa lo sguardo o guarda altrove, per timore di essere chiamato lui, e chi invece è già pronto, ha fatto persino un passo avanti, ma lui passa oltre e fa segno al vicino: tu, dico a te, e a te, e anche a te. E alcuni di loro già lo conoscono, altri forse no, ma sanno in ogni caso com’è e cosa fa. E nasce così la loro amicizia. Per stare insieme, a tempo pieno. E scalare ogni volta il monte e scendere a valle,  per predicare il nuovo tempo e allontanare (e insegnare a tener lontano) il male dalla vita dei figli dell’uomo e di Dio. Non era un privilegio quello riservato ai Dodici, dato che i benefici della loro azione si riversavano su tutti gli altri, era solo la condivisione di una missione e della vita, con l’allegria e la fatica che questo comporta. Anche oggi, Gesù non chiama tutti a far parte della sua cerchia (che non è fatta necessariamente di preti e suore), come neppure, del resto, chiama tutti ad essere cristiani. Però, agli uni e agli altri affida una missione. Come anche i seguaci di ogni altra (e persino nessuna) religione ne hanno una. Si tratta solo di scoprirla. Ed è pure vero che qualche volta può nascere il sospetto che si sia sbagliato lui a chiamarci o ci siamo sbagliati noi a seguirlo. Forse, c’è stato un malinteso, lui aveva fatto segno al mio vicino. E sia pure. Se, però, l’amicizia, l’abbiamo presa sul serio, dobbiamo mettere in conto dove e da chi ci porti: sulla croce, dai poveri di questo mondo. Per risorgere insieme. Se no, è amicizia per qualcosa, qualcun altro. Mammona, per esempio.

 

Oggi il calendario ci porta le memorie di Agnese, martire a Roma,  di  Massimo il Confessore, e di Mons. Gerardo Valencia Cano, pastore, profeta e martire della liberazione dei poveri in Colombia.

 

21 Agnese.jpgDodicenne romana del III secolo, allo scoppio di una delle numerose persecuzioni contro i cristiani, nonostante la defezione di molti fedeli, Agnese seppe restare fedele a Cristo, rifiutandosi di sacrificare agli idoli e di cedere alle voglie del potente di turno. La memoria del suo martirio è molto antica: già nel 354 se ne celebrava l’anniversario presso la sua tomba, sulla Via Nomentana.

 

21 MASSIMO IL CONFESSORE.jpgMassimo era nato a Costantinopoli da una ricca famiglia, verso il 580. Per qualche anno fu segretario dell’Imperatore Eraclio ma, assai presto, nel 613, lasciò la vita di corte per farsi monaco nel monastero di Crisopoli (Scutari). Nel 624 la minaccia persiana che incombeva sui territori imperiali lo costrinse ad abbandonare il monastero e a trasferirsi a Creta, poi a Cipro e, in seguito, nei pressi di Cartagine, in Africa.  Scrisse numerose opere sulla preghiera, la carità e l’ascesi e, a partire dal 634, s’impegnò nella lotta contro le eresie monofisite e monotelite. Dopo la conquista araba dell’Africa, Massimo si spostò in Magna Grecia e, nel 646, a Roma. In quest’epoca entrò in polemica con il giovanissimo imperatore Costante II che, per risolvere le annose diatribe teologiche, che dividevano la cristianità e minacciavano l’unità dell’impero, aveva emesso un editto, Typos – Regola di Fede,  con cui proibiva ai cristiani di parlare dell’unica o della duplice volontà di Cristo. Che, a dire il vero, la maggior parte dei cristiani, neppure sapeva di cosa si trattasse. Ma, era comunque roba seria. Fu convocato in Laterano un sinodo, che fece sue le posizioni espresse in materia da Massimo e dal papa Martino, e non mancò di criticare le disposizioni dell’ Imperatore. Mal gliene colse a tutti e due. Costante II li fece infatti arrestare e deportare entrambi. Non solo, ma, in un successivo processo, a Massimo e a due suoi discepoli, Anastasio monaco e Anastasio apocrisario, per lo stesso motivo, fu tagliata la lingua e amputata la mano destra. Massimo morì in esilio, sul mar Nero, nel 662.

 

21 GERARDO CANO.jpgGerardo Valencia Cano era nato, il 26 Agosto 1917, nella famiglia di dieci figli di Maria Cano Tobón e Juan de Dios Valencia Osorio, a Santo Domingo, municipio del Dipartimento di Antioquia (Colombia), dove la coppia possedeva una fattoria, gestendo contemporaneamente un esercizio commerciale in città. Negli anni 30, lui e il fratello Felix entrarono nel seminario dei Missionari Saveriani di Yarumal (MXY). Dopo un’interruzione forzata negli studi, dovuta alla malattia della madre, e alle sopraggiunte difficoltà economiche della famiglia, che lo portarono a lavorare nella fattoria dei nonni, per farvi in qualche maniera fronte, tornò nel seminario di Medellin, dove fu ordinato prete il 29 novembre 1942. Nel luglio 1949 fu nominato prefetto apostolico di Mitú, in Vaupés, una delle regioni più povere e abbandonate della Colombia, abitata prevalentemente da tribù autoctone, sottoposte in quegli anni agli arbitri e alle violenze dei coloni bianchi, che vi si infiltravano per saccheggiarne le ricchezze naturali. Nel 1953, a soli 36 anni, Pio XII lo nominò primo vescovo del Vicariato apostolico di Buenaventura, un territorio ad alta presenza di afrodiscendenti, oggetto di pesanti, persistenti, discriminazioni, e primo porto della Colombia. A questo popolo, volto e sembiante di Cristo, mons. Gerardo Cano si consacrò totalmente, come prete, pastore  e cristiano, in tutti gli anni del suo servizio episcopale. Sviluppò una pastorale che coinvolgeva preti, religiosi e laici, organizzò le prime comunità di base che, oltre ad animare la vita delle parrocchie, promuovevano la maturazione della fede, la coscienza dei diritti, la denuncia dell’ingiustizia, la crescita dell’azione solidale tra i settori più poveri ed emarginati della popolazione. Partecipò a tutte le sessioni del Concilio Vaticano II. In patria, il suo appoggio, pur non esente da critiche, al variegato movimento dei preti di Golconda, gli procurò, come prevedibile, sulla stampa di destra del suo paese, l’appellativo di “vescovo rosso”, nonché la fama di “sovversivo” e “comunista”. Morì in un incidente aereo che nessuno investigò, il 21 gennaio 1972.            

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Ebrei, cap. 8, 6-13;  Salmo 85; Vangelo di Marco, cap. 3, 13-19.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fratelli della Umma islamica.

 

L’esperienza della Croce, se stiamo ai Vangeli,  è l’esperienza della radicale separazione da Dio  (“Dio mio, perché mi hai abbandonato?”), ma, allora, anche di quella di Dio dai suoi figli. Troppo spesso il sistema-mondo (e le chiese che se ne facciano conniventi) contribuisce ad allontanare i poveri da Dio e (anche se solo apparentemente) Dio dai poveri. È ciò che determina l’angoscia dei poveri e quella di Dio. Di cui scriveva hermano Gerardo Valencia Cano, in una sua poesia dal titolo “Dios,  como el aire”, inclusa nella sua raccolta “Con Dios a la madrugada” (Susaeta Ed.). Che vi offiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Mio Dio, / com’è che stando in questa cella piena di te non posso avvertirti? / Io pensavo che, essendo tu come l’aria avrei potuto distillarti su questo quaderno come / le mie narici raccolgono l’aria di cui ho bisogno per il laboratorio dei miei polmoni. / Ma tu sei più schivo dell’aria . / Persino il tic tac del mio orologio si riversa nell’aria / dissolvendosi; però si lascia raccogliere dalle mie orecchie come / se ci fosse per loro solo quello. / Tu, però, te ne stai schivo, / come in attesa che io faccia atti di fede / o di empietà. Perdonami. /  Ah, si capisco. / Non mi vuoi portar via dai miei poveri. / Grazie. / Accetto così, mio Dio, /accetto con tutto il cuore di continuare a vivere tra loro, / Rinunzio per amor loro alle ricchezze con cui benedici i santi, / che permettono loro di assaporare le delizie della tua mensa, vestirsi splendidamente, passeggiare con i tuoi. / Lasciami con i miei poveri, / con i tuoi poveri; / sentendo le loro angoscie e le tue. / Perché essi non ti hanno / e tu non li hai. / Lasciami nelle loro ombre, / lasciami nelle loro fatiche, / lasciami nelle loro lotte, / perché tutti credano che, essendo dei loro, li compiango / con sincerità; / Lascia che li segua, come tu li hai seguiti e li segui. / Di nuovo “fatto peccato” per salvarli.  (Gerardo Valencia Cano, Dios como el aire)    

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 21 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-21T23:17:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo