Giorno per giorno – 15 Gennaio 2011

Carissimi,

“Gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?” (Mc  2, 16). Stamattina ci dicevamo che questa è forse una delle pagine più belle, ma anche delle più difficili, del Vangelo. Di quelle che non si riesce mica a crederle fino in fondo. Essa ci dice che, mentre la gente dabbene se ne sta come conviene a celebrare le sue liturgie in chiesa, Gesù, cioè il Figlio di Dio, se ne sta fuori a fare del pasto con i peccatori la sua eucaristia. E della loro casa, la sua chiesa. Perché se può esserci qualche dubbio, nella versione di Marco, che parla della “casa di lui” (Mc 2, 15) – di chi? di Levi, di Pietro, di Gesù? -, Luca, nel racconto parallelo,  è chiarissimo: “Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa” (Lc 5, 29). Ora, fosse per una volta passi!, ma, che per Gesù si trattasse di un comportamento abituale, è dato dalla nomea che si era fatto: “un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori”  (Lc 7, 34). Teoricamente, siamo tutti disposti a dichiararci peccatori, tant’è che, prima di accostarci alla Comunione, confessiamo: Signore, non son degno che tu entri nella mia casa. Il che, nella Sua prospettiva, può essere anche vero, ma per il motivo contrario a quello che noi a voce dichiariamo. Siamo infatti, probabilmente, troppo giusti ai nostri occhi, troppo poco peccatori. E, se è così, Lui che ci viene a fare? Essere una congregazione di giusti, benestanti, benpensanti, ben arrivati, ben sistemati, ben organizzati, è il dramma di una  Chiesa, inviata ad annunciare un Dio solidale con i peccatori. Cioè, con tutti quanti “zoppicano” (se vogliamo stare all’etimo latino), o che “sbagliano il bersaglio” (come suggerisce l’etimologia greca o una delle tante dell’ebraico). Coloro che, per i motivi più diversi, non ce la fanno. In tutti i campi. Dramma, perché, persino la tendenza di chi magari è stato peccatore (non diversamente da un ex-povero), ma si è messo poi alla sua sequela (e ha cominciato a star bene), è di dimenticare presto tutto di sé, e di cominciare a recriminare sugli altri. La figura del fratello maggiore nella parabola del figlio prodigo (Lc 15, 25-30) illustra bene la dimensione che si insinua e prevale nella vita della chiesa. Verosimilmente, sin dalle origini, se i tre Vangeli sinottici si sentono in dovere di richiamare l’affermazione di Gesù: “Non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori” (v. 17). A voi pare che le splendide liturgie a cui spesso “assistiamo” manifestino davvero questo pasto con i peccatori (i falliti) a cui Gesù ci aveva abituato? Non è che sarebbe ora di decentrare le messe? Chiudere (almeno ogni tanto) le chiese e le cattedrali e andarle a celebrare nelle baraccopoli delle nostre (e vostre) periferie, nei campi rom, nei rifugi degli immigrati, sotto i ponti, negli ospizi, nei manicomi, in galera, insomma dove diamine volete voi, ma dove si sia sicuri di incontrare Lui? Per poi tutti insieme rimetterci in cammino verso un regno di pace e giustizia?   

 

Oggi è memoria di don Zeno Saltini, profeta di una società fraterna, e di Olivier Clément, teologo ortodosso e testimone di ecumenismo.

 

15 don zeno.jpgZeno Saltini era nato, nono di dodici fratelli,  il il 30 agosto 1900, a Fossoli di Carpi (Mo). A quattordici anni, lasciati gli studi,  scelse di lavorare nei poderi della famiglia, entrando così in contatto con la dura realtà dei braccianti. Dopo il servizio militare, l’intenzione di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore, lo portò a laurearsi in legge, e poi a decidere di farsi prete, per cercare piuttosto di prevenire che ci fossero quelli che finiscono in galera. Quando, nel 1931, celebrò la sua prima messa, adottò come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere. Sarà il primo di molti. Dieci anni dopo, una ragazza fuggita di casa accettò di diventare la mamma “di vocazione” dei più piccoli tra gli ospiti di quello strano prete. Anche lei seguita da molte altre. Alla fine della seconda guerra mondiale (durante la quale molti componenti integrarono le file della resistenza antinazista), occupato il campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, don Zeno e i suoi costruirono la loro città. Accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formarono le prime famiglie di sposi, che chiesero a don Zeno di accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli come quelli che sarebbero nati dal loro matrimonio. Nacque così Nomadelfia, che significa “Dove la fraternità è legge”. Le pressioni politiche dei partiti di destra e la difficile situazione economica degli anni che seguirono portarono al tentativo di “abolire” Nomadelfia.  Il Sant’Ufficio ordinò a don Zeno di lasciare. Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiarono a Grosseto, in una grande tenuta da bonificare, frutto di una donazione. Per restare fedele alla sua famiglia, il prete chiese ed ottenne dal Papa, nel 1953, la rinuncia all’esercizio del sacerdozio. Anni più tardi, quando, nel 1961 i nomadelfi si diedero una nuova Costituzione come associazione civile, don Zeno chiese alla Santa Sede di riprendere l’esercizio del sacerdozio. Il 22 gennaio 1962 celebrò la sua “seconda prima messa”. Il papa, ricevendo i Nomadelfi, nell’agosto 1980, per una serata di festa, disse: “Se siamo chiamati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia è un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti”. Qualche mese dopo,  don Zeno, colpito da infarto, moriva a Nomadelfia. Era il 15 gennaio 1981.

 

15 Olivier_Clement.jpgOlivier Clément nacque ad Aniane, in Llenguadoc (Francia), il 17 novembre 1921, e crebbe in una famiglia agnostica. Dopo gli studi all’Università di Montpellier, cominciò ad interessarsi alla storia del cristianesimo e alle chiese orientali. Più tardi, sotto l’influenza degli scritti di Berdiaev e di Looskij, del quale divenne allievo ed amico, si convertì al cristianesimo, chiedendo ed ottenendo di essere battezzato nella parrocchia francofona del Patriarcato di Mosca a Parigi. Insegnò per molto tempo storia al Lycée Louis-le-Grand a Parigi e fu professore all’Istituto di Teologia Ortodossa San Sergio, affermandosi come uno dei teologi più stimati dell’Oriente ortodosso e, certo, uno tra i più attenti agli interrogativi della modernità, cui cercò di rispondere con una riflessione insieme profonda e poetica, in una ripresa sempre creativa e innovatrice della tradizione.  Dal 1967 al 1997, fu membro del comitato misto di dialogo teologico cattolico-ortodosso e degli incontri bilaterali fra ortodossi e protestanti. Negli ultimi decenni è stato interlocutore di grandi figure della vita delle chiese dell’ultimo secolo; tra gli altri: il Patriarca Atenagora di Costantinopoli, Giovanni Paolo II, il prete e teologo rumeno Dumitru Stăniloae, l’archimandrita Sofronio del monastero di Maldon (Gran Bretagna), Frère Roger Schutz di Taizé. Ma, più ancora, ha avuto un ruolo determinante e significativo nell’orientare e aiutare la ricerca di senso, il cammino di fede, il desiderio di dialogo, di molti altri. Clément si è spento a Parigi, il 15 gennaio 2009.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Ebrei, cap. 4, 12-16; Salmo 19; Vangelo di Marco, cap.2, 13-17.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche di Eretz Israel e della diaspora.

 

Zeno, un’intervista, una vita” (Libreria Editrice Fiorentina), a cura di Gianni Ciceri e Edmea Gazzi, fornisce una ricostruzione accurata dell’avventura umana ed ecclesiale di don Zeno, riportando sue interviste, brani di discorsi, meditazioni, stralci di suoi libri, articoli e giudizi su di lui. In esso troviamo questa citazione tratta dal libro “Non siamo d’accordo”, che scatenò all’epoca della sua pubblicazione, nel 1953, reazioni violente. Ve l’offriamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Non accusateci di eresia, ci capite benissimo. Appunto e perché siamo, con voi, la Chiesa, vi riconosciamo ubbidienza e riverenza: appunto e solo perché senza di voi non saremmo la Chiesa. Ma questa Fede, necessitata dalla Verità, ce la fate pagare ad alto ed ingiurioso prezzo. Se la nostra madre ci trattasse così avremmo il diritto di andarcene di casa senza perdere la Fede, lo fate voi e siamo costretti a non andarcene perché usciremmo dalla nostra “barca” e cadremmo nell’acqua. Perduti se usciamo, rovinati se rimaniamo. Neppure possiamo impiccarci perché è peccato e non vogliamo peccare, vogliamo amare, dobbiamo amare. Non ci rimane altro atto di Amore e di Fede che quello di combattere dal di dentro, fino a disperdere il vostro peccato pubblico. La povertà in mezzo ai figli e ai fratelli poveri è un dovere. La miseria in mezzo ai figli e ai fratelli miseri, è un atto di sovrana dignità. La propria morte in mezzo ai fratelli che sono minacciati di morte è un dovere. Non morire, per poi innalzare sugli altari quelli che muoiono, è un comportamento da becchini. La Chiesa  è in realtà ancora bambina, piccina e delicatissima. Che cosa sono venti secoli per una creatura divina di quella forza? E voi la fate tacere quando volete; la picchiate se piange, la nutrite come volete, la vestite come volete, la mettete sullo scrannone quando volete, come volete, ne siete i tutori. Ma crescerà. E voi tenete sodo, la volete domare, ne siete gli educatori freddi e sapienti; non le permettete di andare a giocare con i bimbi miserabili della strada… si affezionerebbero troppo. Bisogna educarla a rimanere nel “decoro” e a mollare, passando, qualche contenuto sorriso e qualche soldino a quei pericolosi coetanei, suoi consanguinei. Noi diciamo che l’amore è una legge; che l’amore è la legge suprema della Chiesa. Perché non vi mettete sotto processo? Se avessimo detto per disgrazia la verità? Oppure: perché non ci processate? Siamo a vostra disposizione. Veramente il Vangelo risolverebbe il grave scandalo in modo diverso: “Se dunque stai offrendo il tuo dono all’altare e lì ti ricordi che il tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va prima a riconciliarti col tuo fratello” (Mt 5, 23-24). Vi possiamo assicurare che non abbiamo qualcosa contro di voi.  (Zeno Saltini, Non siamo d’accordo).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 15 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-15T22:48:00+01:00da fraternidade
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