Giorno per giorno – 14 Gennaio 2011

Carissimi,

“Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse Gesù al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua. Quello si alzò e subito prese la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò” (Mc 2, 10-12). Dunque. il peccato è qualcosa che ci lega, ci immobilizza, ci paralizza. Che non ci consente di andare liberi e felici come quell’ex-paralitico, i cui solerti amici si erano preoccupati di portarlo fino a Gesù, non esitando a scoperchiare una casa (oggi diremmo, buttar per aria una chiesa). Mentre gli altri, che vi si assiepavano, si limitavano ad ascoltarne beati la parola. Beh, mica tutti, alcuni erano lì, già prevenuti, per fargli le pulci, a quel Maestro arrivato di recente e già troppo noto a Cafarnao. E non sarebbe stata l’ultima volta. Dato che, a naso, si capiva che si trattava di un insegnamento pericoloso. Da prendere, se proprio si vuole, a piccole dosi e sempre con qualche correttivo. Quei quattro amici, comunque, non sembravano poi così interessati a quel che Lui diceva, né alla folla che lo ascoltava, avevano qualcosa di più urgente da fare. Noi non siamo granché pratici dell’architettura del tempo, ma, se anche non erano tegole quelle del tetto, saranno sempre state tavole, travi, canne, frasche, terra, malta. E noi ce lo vediamo Gesù che, quando quelli cominciano ad armeggiare là in cima, proprio sopra di lui, e comincia a cader già qualcosa, alza gli occhi, tra il sorpreso, il preoccupato e il divertito, e balza in piedi, saltella e si scansa per evitare di esserne investito. E ci pare di udire il mormorio infastidito e scandalizzato degli astanti. Poi, però, quando Lui si vede lì davanti quel povero Cristo imbracato nel suo lettuccio e i quattro sudati, impolverati, un po’ vergognosi ma soddisfatti, deve aver scosso la testa e riso forte ed essersi detto: che meraviglia! Questa sì che è fede. E poi, a voce alta, perché tutti l’udissero: ragazzo mio, ti sono perdonati i tuoi peccati! E intendeva anche quelli degli altri che l’avevano ridotto così. Che erano lì a mugugnare, seduti solennemente in qualche scranno (come non ne mancheranno mai nelle chiese a venire), convinti di essere i custodi e gli unici interpreti autorizzati di quella che loro leggono come Legge che lega, invece che come Parola che libera. “Il nostro tempo di cui il Concilio si fa interprete e guida, reclama libertà. Avremo un periodo nella vita della Chiesa, perciò nella vita di ogni figlio della Chiesa, di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo, sarà semplificata la legge positiva, temperato l’esercizio dell’autorità, sarà promosso il senso di quella libertà cristiana che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando si seppe esonerata dalla legge mosaica e dalle sue complicate prescrizioni rituali”. Troviamo la citazione, che è di Paolo VI (Udienza generale del 9 luglio 1969), in un bel libro di don Angelo (ma per noi potrebbe chiamarsi, meglio ancora, don Vangelo) Casati, che ha come titolo: “Ospitando libertà”,  dono di un’amica di cui non faremo il nome. Ecco, ci pare proprio che, quel giorno, il papa abbia ripetuto in qualche modo il gesto di Gesù, rivolgendosi a tutta la Chiesa, come a ciascuno(a) di noi: Àlzati, prendi la tua barella e va a casa. I tuoi peccati ti sono perdonati. E anche i nostri. Della Chiesa. Ogni volta che ha tenuto qualcuno legato. Condannando se stessa all’immobilismo.      

 

Oggi è memoria di Serafim di Sarov, mistico e asceta della Russia ortodossa, e di Leonhard Schiemer, pacifista anabattista, martire.

 

14 serafim de sarov.jpgProchor Mosnin (tale il suo nome alla nascita) era nato il 19 luglio 1759 a Kursk in una famiglia di commercianti, conosciuti da tutti come cristiani devoti e caritatevoli. Da ragazzo Prochor amava frequentare la divina liturgia e dedicarsi alla lettura di libri religiosi. Diciottenne, durante un pellegrinaggio alle Grotte di Kiev, vi conobbe il santo staretz Dositeo, che, confermandolo nella vocazione monastica, lo indirizzò al monastero di Sarov, affidandogli la preghiera del Nome come mezzo potente per restare unito a Dio. Dopo otto anni di noviziato, il giovane fece la sua professione monastica, ricevendo il nome di Serafim. Nel 1794 Serafim fu ordinato prete e ricevette il permesso di recarsi a vivere in una piccola capanna nella vicina foresta, per dedicarsi ad una vita di preghiera e digiuno e  allo studio delle Scritture e degli scritti dei Padri. Lì visse, salvo brevi interruzioni, fino al 1810, quando, per obbedire alla richiesta dei monaci anziani, Serafim ritornò in monastero. Continuò tuttavia a vivere nella solitudine e nel silenzio della sua cella per altri dieci anni. Fu solo alla fine di questo lungo periodo di tempo che, obbedendo ad una visione del Cielo,  si dispose ad accogliere quanti, visitando il monastero, aspettavano da lui una parola o un consiglio spirituale. Il vecchio monaco soleva allora salutare chiunque si recasse da lui con una prostrazione, un bacio e le parole del saluto pasquale: “Cristo è risorto!” e ad ognuno si rivolgeva chiamandolo con l’espressione “gioia mia”. Nel 1825 fece ritorno nella sua capanna nella foresta, dove, arricchito del dono della chiaroveggenza, continuò a ricevere migliaia di pellegrini da tutta la Russia. Serafim si riposò nel Signore il 1° gennaio 1833 del calendario giuliano (corrispondente al 14 gennaio del nostro calendario), mentre era inginocchiato davanti ad un’icona della Madre di Dio.

 

14 LEONHARD SCHIEMER.gifLeonhard Schiemer  era nato verso il 1500 a Vöcklabruck (Alta Austria) in una famiglia molto religiosa, che l’aveva avviato al mestiere di sarto. Desideroso, però, di consacrarsi a Dio, Leonhard, poco più che adolescente, era entrato in un convento francescano, a Judenburg, ma sei anni più tardi, deluso dalla vita conventuale, ne era uscito, recandosi ad abitare a Norimberga, dove aveva ripreso l’antico mestiere. In questa città avvennero presumibilmente i primi contatti di Schiemer con gli ambienti anabattisti. Nel maggio 1527, recatosi a Nikolsburg, in Moravia, potè assistere alla disputa tra due diversi gruppi anabattisti, gli Stäbler (sostenitori della nonviolenza assoluta) e gli  Schwertler (che sostenevano la liceità della difesa armata). Poche settimane più tardi quando, a Vienna, incontrò Hans Hut e la sua congregazione, Leonhard ne fece sue le tesi pacifiste e chiese di essere battezzato. Subito cominciò la sua attività di missionario, prima nella città di Steyr, poi a Salzburg e in Baviera. Nell’agosto 1527 partecipò, ad Augsburg, al Sinodo dei Martiri (chiamato così in seguito, perché un gran numero dei partecipanti trovò la morte a causa della fede professata). Inviato in Tirolo, si stabilì a Rattemberg, una cittadina sul fiume Inn, dove la congregazione locale lo volle suo vescovo. Il 25 novembre 1527, su pressione delle gerarchie cattoliche, Schiemer fu arrestato e imprigionato. Durante la prigionia, compose numerose opere, che avranno una notevole importanza nello sviluppo del movimento anabattista. Tra esse anche alcuni inni, che entrarono a far parte dell’Ausbund, l’innario in uso ancor oggi presso le comunità Amish. Nel gennaio 1528, un tentativo di fuga gli comportò un drastico peggioramento nelle condizioni di prigionia. Dopo ripetute sessioni di tortura, il giovane, non ancora trentenne, fu decapitato. Era il 14 gennaio 1528. Nei successivi dodici anni altri settanta anabattisti, uomini e donne, sarebbero morti a Rattenberg, testimoniando con il loro sangue la loro fedeltà al vangelo della pace e dela nonviolenza.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Ebrei, cap.4, 1-5.11; Salmo 78; Vangelo di Marco, cap. 2, 1-12.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fratelli della Umma islamica.

 

Accennavamo più sopra agli inni scritti da Leonhard Schiemer in carcere, cantati ancor oggi dalle comunità Amish. Beh, congedandoci, ve ne proponiamo lo stralcio di uno, che è, così, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Siamo dispersi come pecore senza pastore. Abbiamo lasciato le nostre case e le nostre terre e siamo divenuti come gufi della notte, come uccelli da caccia. Furtivi ci aggiriamo nella foresta, fuggendo quanti seguono le nostre tracce con i loro cani. Poi ci riportano in città come agnelli e ci mettono in mostra additandoci come responsabili dei tumulti. Siamo considerati come pecore da macello. Ci chiamano eretici e imbroglioni… Oh, Signore, nessuna tribolazione è però così grande da poterci allontanare da Te… Gloria, trionfo, onore a te, adesso e per tutta l’eternitá. La tua giustizia è sempre benedetta da coloro che si riuniscono nel tuo nome. Tu verrai nuovamnete a giudicare la terra. (Leonhard Schiemer, Ausbund, 31:4-5).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-14T22:17:00+01:00da fraternidade
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