Giorno per giorno – 07 Gennaio 2011

Carissimi,

“Un giorno Gesù si trovava in una città e un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò ai piedi pregandolo: Signore, se vuoi, puoi sanarmi. Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: Lo voglio, sii risanato! E subito la lebbra scomparve da lui” (Lc 5, 12-13). A partire dal racconto biblico della lebbra di Miriam, la sorella di Mosè, colpita dalla malattia per aver parlato contro di lui (Nm 12, 1.10), nel mondo giudaico era credenza comune che la lebbra non fosse un’infermità qualunque, ma il castigo per il peccato di calunnia e di maldicenza. L’isolamento a cui il lebbroso doveva sottostare, oltre che misura cautelativa contro un eventuale contagio, intendeva segnalare la gravità di un simile comportamento, dato che “il calunniatore è più colpevole di un assassino, poiché se questi ne uccide uno, quello ne uccide tre”: il calunniato, il calunniatore e chi gli dà ascolto. Gesù agisce in questo contesto culturale. Nella guarigione del lebbroso c’è quindi implicato anche il suo perdono. Come, tutti noi, ad ogni momento, al di là di ogni possibile lebbra esteriore, abbiamo bisogno di perdono. Perdono è, poi, essere toccati da Lui, che dice: sei risanato, sei accolto, non ho paura di te. Anzi, nel caso, ti seguirò nel tuo destino di emarginazione. Come, di fatto, subito dopo, l’evangelista annota di Gesù: “si ritirava in luoghi deserti a pregare” (v. 16). Lui, reso immondo da quel tocco proibito. La chiesa, da allora, è chiamata ad essere lo spazio della ri-accoglienza di chi è escluso, non solo dagli uomini, ma – e qui sta il paradosso -, dalla stessa Legge di Dio. Dio, dunque, contraddice se stesso? Sì, e con questo? Lo diceva già il profeta: “Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te” (Is 54, 7-8). C’è la denuncia del “nostro” allontanarci da Dio (il male è male, non è la stessa cosa che il bene), ma anche, subito, la rivelazione del suo farsi incontro a noi. In Gesù, epifania di Dio. E noi?

 

Il martirologio latino-americano ci propone  la memoria dei coniugi Felipe e Maria Eugenia Barreda, martiri in Nicaragua, e quella di Pablo Gazzarri, presbitero e martire in Argentina.

 

07 Felipe e Maria Barreda.jpgFelipe Barreda faceva l’orologiaio a Estelí, in Nicaragua. Maria Eugenia García, sua moglie, era parrucchiera. Lui aveva 52 anni, lei 50. Si erano sposati trent’anni prima. Avevano fatto sei figli ed erano nonni di quindici nipoti. Negli anni 70, quando in Nicaragua dominava la dittatura di Anastasio Somoza, erano entrati nei Cursillos de Cristiandad, poi erano diventati animatori delle comunità di base della loro città e si erano impegnati attivamente, a partire dal 1975, nel movimento sandinista, per dare contenuti concreti all’opzione della Chiesa per i poveri. Il trionfo della rivoluzione, nel luglio 1979, aveva aperto grandi speranze, ma scatenò da subito la rivolta dei contras, formazione terrorista, costituita per lo più da ex-membri della Guardia Nazionale somozista, cui si aggregarono presto altri gruppi di scontenti, appoggiati e armati, neanche a dirlo, dai potenti vicini. Maria entrò a far parte della prima giunta dell’amministrazione comunale, mentre lavorava nel quartiere più povero di Estelí. Nel dicembre del 1982, i due coniugi si unirono alle migliaia di volontari che si recavano in montagna per partecipare alla raccolta di caffè. Lavoravano in una piantagione di El Ural, provincia di Nueva Segovia, quando furono sequestrati il 28 dicembre e la coltivazione di caffè distrutta. Sottoposti ripetutamente a torture, percosse e violenze, il 7 gennaio 1983, furono entrambi assassinati.

 

07 pablo gazzarri.jpgPablo Gazzarri era nato il 19 settembre 1944 a Buenos Ayres, da María Zulema Truffa e Silio Mario Enrique Gazzarri. Dodicenne era entrato in seminario, a Villa Devoto e, al termine degli studi, era stato ordinato sacerdote, il 27 novembre 1971. Fu destinato dapprima, alla parrocchia di Santa Rosa da Lima, in un quartiere della capitale, poi, nel 1974,  a quella della Madonna del Carmine di Villa Urquiza, dove crebbe ancor più il suo impegno sociale, già maturato negli anni del seminario,  a favore dei più poveri. Entrò nel Movimento dei Sacerdoti per il Terzo Mondo, e in quello dei Cristiani per la Liberazione. Nel corso del 1976 aveva deciso di entrare a far parte dei piccoli fratelli del Vangelo della famiglia di Charles de Foucauld, per dedicarsi maggiormente all’apostolato tra i più poveri. Ma non ne ebbe il tempo. Il 27 novembre 1976, anniversario della sua ordinazione, fu sequestrato, su segnalazione di un prete, che sarebbe in seguito divenuto vescovo,  nei pressi della casa dei genitori, da uomini che vestivano l’uniforme della polizia. Aveva già ricevuto ripetute minacce, a causa del suo impegno, soprattutto dopo il massacro dei sacerdoti pallottini di san Patricio. Il card. Pironio, che era stato suo direttore spirituale negli anni del seminario, tentò inutilmente di aver sue notizie dalle autorità argentine. Fu visto prigioniero nella Scuola di Meccanica dell’Esercito, dove fu brutalmente torturato. Trasferito nella prima settimana del gennaio 1977, fu imbarcato per un “volo della morte”, narcotizzato e gettato in mare.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera di Giovanni, cap.5, 5-13; Salmo 147B; Vangelo di Luca, cap.5, 12-16.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Franz Jalics è un gesuita ungherese che, in comune con Pablo Gazzarri, ha la scelta dei poveri nell’Argentina degli anni settanta, nonché la drammatica esperienza del sequestro ad opera di un gruppo militare di estrema destra. Per cinque mesi lui e un suo confratello rimasero prigionieri, con le mani legate, una pesante palla di cannone incatenata ad un piede e con gli occhi bendati. Ma, ne uscirono vivi, due su seimila sequestrati. Negli anni successivi al rilascio, padre Jalics rielaborò a lungo il suo vissuto e attraverso la preghiera, il silenzio e la meditazione potè sperimentare una “trasformazione incredibile”. Da allora si dedicò ad un intenso ministero come predicatore di esercizi e scrittore di spiritualità. Nel congedarci, vogliamo porporvi un brano del suo libro “Desiderio di Dio. Esercizi di contemplazione” (Ancora), che, è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Noi vogliamo essere perfetti e ci occupiamo eccessivamente delle nostre imperfezioni, dei nostri problemi e peccati, dei nostri sensi di colpa e degli errori che abbiamo compiuto. Invece, dovremmo rivolgerci sempre verso Dio, perché sarà lui a cambiarci. Se avessimo almeno un’idea della straordinaria forza di novità che porta con sé la presenza di Dio! Non c’è nessuna cosa, in questo mondo, in grado di elevarci e purificarci come la costante attenzione alla sua presenza e la serena fiducia in lui. È fuori discussione che una terapia psicologica possa essere utile e in certi casi necessaria. Diverse forme di terapia possono aiutare a prendere coscienza di molte realtà, ma la vera forza sanante viene dalla presenza di Dio, dall’unione col nostro centro, con la scintilla divina che è dentro di  noi. Il contatto costante e generoso con lui ci sana dalle nostre miserie. Affrontiamo i nostri limiti, errori, peccati, e sensi di colpa come chi, trovandosi in una stanza al buio vuole eliminare l’oscurità cercando di colpirla con un bastone, invece di accendere la luce. Accendendo la luce, l’oscurità scompare, senza bisogno di ricorrere alla forza. La stessa cosa vale per i nostri peccati. Abbiamo soltanto bisogno di unirci a Cristo, poiché in lui non c’è né peccato né colpa. Tutta la Scrittura parla continuamente  con ricchezza inesauribile di questo essere orientati verso Dio, anzi potremmo dire che qui si trova la quintessenza del messaggio dell’Antico e del Nuovo Testamento. A volte con delicatezza e dolcezza, altre volte con passione e sdegno, l’Antico Testamento ricorda sempre di mettere Dio al primo posto del nostro sentire, pensare e fare. La Scrittura ci invita a non adorare nessun idolo e ci annuncia che senza di Lui non possiamo trovare nessuna felicità. Solo stando fedelmente rivolti verso di Lui possiamo ricevere in dono una pace duratura. (Franz Jalics, Desiderio di Dio. Esercizi di contemplazione).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 07 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-07T23:35:00+01:00da fraternidade
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