Giorno per giorno – 06 Gennaio 2011

Carissimi,

‘‘Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore’’ (Lc 4, 18-19). Nel battesimo (che Gesù riceverà solo domenica prossima, ma che, per uno scherzo del lezionario feriale, noi dobbiamo considerare, almeno per un momento, come già avvenuto), Gesù aveva “scoperto”  chi Lui era per Dio: suo Figlio. E, forse, per un attimo, potrà anche essergli capitato di sentirsi schiacciato dal peso della responsabilità. Che fa, come agisce un figlio di Dio? Beh, i profeti servono anche a questo, a fartelo capire, a darti uno straccio di orientamento. E, infatti, quel giorno, tornando a Nazareth e recatosi da buon giudeo in  sinagoga, essendo di sabato, chiamato a leggere la haftarah (il brano profetico), che segue di norma la parasha (porzione) settimanale della Torah, si è trovato di fronte quelle parole di Isaia. E si è detto (e lo ha detto agli altri): io sono quello. Io farò così. E, senza volerlo, ci ha messo nei pasticci, noi che abbiamo deciso di seguirlo. Perché se si fosse limitato a dire: una giaculatoria, un culto ogni tanto, un pensierino a Dio prima di dormire, ecco che cosa si deve fare!, a noi sarebbe bastato e anche piaciuto. E, invece.  Invece ci si mette anche Giovanni, con la prima lettura di oggi: “Se uno dicesse: Io amo Dio, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (Gv 4, 20). Proviamo, solo per un attimo, ad applicare letteralmente questa indicazione alla nostra vita, nei suoi  concreti atteggiamenti, gesti, parole, pensieri, Beh, noi ci abbiamo già rinunciato, perché ci resterebbe solo da esclamare: Mio Dio, misericordia! E, tuttavia, è pur sempre una bella sfida, che vale la pena di raccogliere ogni giorno di nuovo. Una sfida che oggi abbiamo affidato, come una sorta di viatico, a Flávio, che, giunto al termine del suo trattamento, ha lasciato la chácara di recupero, per fare ritorno a casa.  Essere buona notizia per i poveri del nostro tempo, aiutando chi è ancora prigioniero [della droga o di altro] a liberarsi. Per oggi, solo per oggi. Ogni giorno.

 

Oggi, noi si fa memoria di Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, fondatore dell’Arca, testimone di pace e nonviolenza.

 

06 Lanzadelvasto.jpgGiuseppe Giovanni Lanza del Vasto nacque il 29 settembre 1901 a San Vito dei Normanni, da padre siciliano e madre belga. Dopo gli studi a Parigi, dove si era trasferito nel 1915 con la madre e due fratelli, tornato in Italia, conseguì la laurea in filosofia a Pisa. Seguì un periodo di lavori umili, di viaggi, di povertà volontaria, ma anche di una profonda ricerca religiosa. Nel 1937, nel corso di un viaggio in India, fece l’incontro con l’uomo che avrebbe cambiato la sua vita: Gandhi. Da lui, Lanza del Vasto, divenutone discepolo, mutuò la dottrina e la pratica della nonviolenza e ricevette il nome di Shantidas, servitore di pace. Dopo un pellegrinaggio all’Himalaya, Lanza del Vasto maturò l’idea di creare, al suo ritorno in Europa, un Ordine a carattere agricolo, artigianale, ecumenico e nonviolento.   L’idea prese corpo, dopo il matrimonio con Simone Gebelin (da lui chiamata Chanterelle), nel 1948. Con lei fondò, infatti,  a Tournier (Francia) la sua prima comunità, l’Arca, modellata sulla vita semplice di un ashram indù. I membri dell’Arca di impegnano con sette voti a lavorare per se stessi e per gli altri, ad obbedire alla disciplina dell’ordine, ad assumersi le proprie responsabilità davanti all’ordine, a purificarsi da ogni tendenza al possesso, a vivere sobriamente e ad evitare ogni violenza verso gli uomini e gli animali. Forte anche la connotazione e l’impegno politico che caratterizzò da subito la vita dell’Arca, le cui battaglie in vista dell’eliminazione della guerra e della corsa agli armamenti,  dell’ingiustizia e della miseria,  furono via via combattute con le armi del digiuno, della preghiera e della resistenza spirituale. Lanza del Vasto morì in viaggio a Murcia (Spagna), la notte tra il 5 e il 6 gennaio 1981.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera di Giovanni, cap.4, 19-5, 4; Salmo 72; Vangelo di Luca, cap.4, 14-22a.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

La festa liturgica dell’Epifania noi la si era già celebrata domenica scorsa e comunque, stasera, ci si è messi ugualmente in comunione con quanti, nel mondo, continuano a celebrarla oggi, e soprattutto con la nostra gente che, in queste ore accompagna l’ultima cena della Folia dos Reis, il lungo pellegrinaggio che, cominciato il giorno di Natale, ha portato di casa in casa, in città o in campagna, di giorno o di notte, la benedizione dei magi e i canti, l’allegria e la devozione dei loro devoti. Abbiamo anche ricordato i nostri fratelli copti che, in Egitto, sfidando le minacce di nuovi attentati, si riunivano per celebrare la Vigilia della Natività gloriosa del Signore (che cade domani in sincronia con il 25 dicembre del calendario giuliano). La preghiera è che la nascita del Principe della pace segni la fine di ogni violenza. Ma c’è bisogno del contributo di tutti.    

 

Nell’ottobre 1977, Giuseppe Lanza del Vasto tenne tre conferenze su “Scienza e non-violenza” al Peace Research Center della Gujarat Vidyapith, l’università fondata dal Mahatma Gandhi, nella città di Ahmedbad (Gujarat – India). In seguito sarebbero state pubblicate con il titolo “Pilgrimage to Non-violence”. Nel congedarci, scegliamo di offrirvi in lettura un brano tratto dalla prima di esse “Discovering Non-Violence”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’uomo è stato creato con la conoscenza e la coscienza. Possiamo vedere che, in Paradiso, Adamo parlava familiarmente con Dio, lo vedeva, e quando gli parlava, Dio rispondeva. Dio non parlava con le pietre, né con i leoni, e non per il fatto che non fossero vegetariani e nonviolenti, ma perché essi non potevano rispondere! Non parlava con essi perché non capivano. L’uomo poteva, aveva la conoscenza. E cos’è che ha fatto? Ha rubato, ha rubato il dono. Sapete cosa vuol dire rubare un dono? Io ti do qualcosa con tutto il mio cuore. Tu me lo strappi, mi guardi e mi dici: Bene, ora è mio. Ma io ti conosco, e tu dici: è mio. L’intelligenza è  mia, l’abbiamo inventata noi! La mia intelligenza, l’ho inventata io! Se è mia, ne posso trarre profitto. No. Il frutto, che significa il frutto? Se non vi piacciono le speculazioni simboliche, andate a domandare al vostro banchiere cosa significa il frutto. Vuol dire godimento e profitto. Ora, la spiegazione è qui. Il peccato dell’uomo è stato quello di trasferire l’intelligenza dalla Verità al frutto. Piuttosto che utilizzare la vostra intelligenza per restare in contatto con Dio, per riflettere la sapienza di Dio, la volontà di Dio, la bellezza di Dio, voi utilizzate, noi utilizziamo, Adamo ha utilizzato la sua intelligenza per ottenere il frutto ed il suo godimento. […] Ma chi è Adamo? Miei cari amici, Adamo siamo noi, ciascuno di noi. E il peccato di Adamo è quello che commettiamo tutti; che commettiamo e commettiamo ancora e continuiamo a commettere ogni giorno, fin dalle origini. Quasi tutte le intenzioni dietro la nostra intelligenza pensano: cosa ci guadagnerò? Se faccio questo, che bene me ne verrà? Che profitto? È sufficiente, ed è il peccato del mondo. Non solo il mio peccato personale, perché è anche il vostro, ma è il peccato di tutti, e dunque, certamente, anche il mio. (Lanza del Vasto, Pilgrimage to Non-violence).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 06 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-06T23:20:00+01:00da fraternidade
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