Giorno per giorno – 03 Gennaio 2011

Carissimi,

“Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo” (Mt 4, 33). Stamattina ci chiedevamo com’è che la liturgia piazza qui, il giorno dopo l’Epifania, questo testo, superando in un botto i circa trent’anni che separano la nascita di Gesù dall’inizo della sua vita pubblica. E la risposta sta forse nella profezia di Michea, richiamata da Matteo nel Vangelo di ieri e posta come una sorta di epigrafe riassuntiva di colui che stava per essere manifestato alle genti: “un capo che pascerà il mio popolo” (Mt 2, 6). L’esatto contrario di Erode, dunque. E il suo agire non si limiterà al suo popolo, egli si prenderà cura di tutti, ebrei e pagani, giusti e peccatori. I Vangeli di questi giorni (voi ne leggerete solo due, dato che l’Epifania cade per voi il giorno 6) costituiscono come un assaggio di quello che sarà l’operare di Gesù e quindi di come e dove Dio – laicamente, potremmo dire – “si manifesta”. Ed è quando e dove i malati sono guariti, il pane viene condiviso, la paura è allontanata, ai poveri è annunciata la buona Novella, gli oppressi sono liberati, ai ciechi è ridata la vista, i lebbrosi sono mondati, gli esclusi reintegrati nel consesso civile e religioso, e dove la chiesa accetta di buon grado di diminuire fino a scomparire, mentre il Suo amore cresce e si espande. C’è da chiedersi se noi si sia sempre davvero consapevoli che è questo, e questo soltanto, che ci viene richiesto.

 

Il calendario latinoamericano ci porta oggi le memorie di  Diego Quic, martire in Guatemala e mons. Antulio Parrilla-Bonilla, pastore a difesa della pace e dei diritti umani.

 

03 Diego Quic.jpgDiego Quic era catechista nella parrocchia di Santiago Atitlan, nel Dipartimento di Sololá, in Guatemala. Di fronte alle ingiustizie e alle sofferenze di cui era vittima la sua gente, seppe operare per far crescere nella comunità cristiana l’impegno a favore dei poveri, delle loro lotte e aspirazioni. Il 3 dicembre 1981, a pochi metri dalla parrocchia, sei uomini armati lo fermarono, lo picchiarono brutalmente e lo caricarono a forza su una Toyota. Ad un chilometro di distanza, un veicolo incrociò la vettura e i suoi occupanti udirono le grida di aiuto di Diego. Giunti in città avvisarono la polizia, che rispose comunque di non aver strumenti per intervenire. Del catechista non si seppe più nulla.

 

03 Mons. Antulio Parrilla.jpgAntulio Parrilla-Bonilla era nato il 6 gennaio 1919 a San Lorenzo (Portorico) in una famiglia di quindici figli. Giovanissimo aveva aderito agli ideali del movimento indipendentista. Dopo un’esperienza lavorativa in un’industria zuccheriera, si era iscritto all’università, ma al terzo anno era stato chiamato alle armi dall’esercito Usa. Fu inviato a Panama, dove rimase fino al 1946. A 27 anni decise di diventare prete. Fu ordinato nel 1952. Nel 1957 entrò in noviziato dai gesuiti all’Avana. Raccontava che i primi contatti con la rivoluzione di Fidel Castro consistettero nel confessare i ribelli che scendevano dalle montagne e nel celebrare messa per loro in qualche posto militare. Dopo la professione religiosa passò quasi due anni tra i portoricani di New York, alla “Nativity Mission”. Ritornato a Portorico, nel 1960, fu nominato direttore dell’Azione Cattolica  e accompagnò la creazione di innumerevoli cooperative di contadini poveri. Nel 1965 fu consacrato vescovo. Si impegnò in prima persona contro la coscrizione obbligatoria, il militarismo, la guerra in Vietnam e a favore dell’indipendenza di Portorico dagli Stati Uniti. Progressivamente emarginato dalla gerarchia, mons. Parrilla prese a svolgere le funzioni di curato nella parrocchia di un prete, suo antico compagno di seminario. Concedendosi il lusso di parlare e, nel caso, di manifestare sempre liberamente. Nell’ultimo libro che scrisse, una serie di riflessioni spirituali sul santuario di Nostra Signora di Hormigueros, in cui dava voce alla sua devozione politica per la causa dell’indipendenza del suo popolo e alla preoccupazione spirituale per la sua redenzione, scrisse: “La croce che corona la cupola del santuario, in cima alla torre, ci ricorda che è attraverso la croce che andiamo al cielo e che, senza di essa, non c’è salvezza”. Morì di attacco cardiaco a 75 anni, il 3 gennaio 1994.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera di Giovanni, cap.3,22 – 4,6; Salmo 2; Vangelo di Matteo, cap.4, 12-17. 23-25.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

È tutto, per stasera. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione del teologo Jon Sobrino, tratta dal suo libro “Tracce per una nuova spiritualità” (Borla). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Tanto nel nuovo quanto nell’antico Testamento è chiaro che la buona notizia non è imparziale, che ha come destinatari privilegiati i poveri. […] A tale non imparzialità della buona notizia corrispondono nell’evangelizzatore l’atteggiamento e la realizzazione dell’abbassamento, che rimanda di nuovo alla sequela di Gesù. Gesù si abbassò doppiamente, nella sua incarnazione trascendente e nella sua incarnazione storica nel mondo dei poveri. Non vi è nulla per l’evangelizzatore che possa supplire questo abbassamento, se egli vuole annunciare la buona notizia ai poveri, se vuole mostrare qualcosa di assolutamente semplice ma così assolutamente fondamentale come il fatto che Dio ama gli uomini nei più profondi abissi della loro povertà e miseria, avvicinandosi a loro e rendendo così credibile il suo amore. L’evangelizzatore deve ripetere l’incarnazione di Gesù e concepirla come un processo di incarnazione che genera la propria dinamica. Nel mondo dei poveri egli deve condividere l’immenso dolore, la miseria che grida al cielo, la crocifissione lenta o violenta di milioni di esseri umani; come Gesù, deve cominciare dal misereor super turbas, senza edulcorare né ideologizzare con nulla il dolore dei poveri e senza farne qualcosa di secondario, in ultimo termine, rispetto al suo compito evangelizzatore, o qualcosa di soltanto provvisorio, come stadio previo a un’esistenza più autentica. Finché esiste – e nella lotta contro di esso – questo dolore ha una sua assolutezza per l’evangelizzatore. Tale profonda misericordia deve trasformarsi in attiva difesa dei poveri, il che porta – come è avvenuto a Gesù – alla controversia, a denunciare, a smascherare chi rende poveri coloro che sono tali. Questa dimensione belligerante della misericordia non ha nulla a che vedere con odio, rivincite o sfoghi collerici; è piuttosto frutto dell’amore per i poveri e maniera reale di comunicar loro che Dio è davvero con essi. (Jon Sobrino, Tracce per una nuova spiritualità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-03T23:45:00+01:00da fraternidade
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