Giorno per giorno – 04 Gennaio 2011

Carissimi,

“Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose” (Mc 7, 34). E quando Lui insegnava, nessuno lo fermava più. E anche la gente, non avrebbe mai smesso di ascoltarlo. I discepoli, invece, sì. E forse, anche perché ricordavano il suo invito  di poco prima, quando gli aveva detto: Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un po’” (Mc 7, 31), invito che non era andato in porto, perché la folla li aveva presi d’assalto, si fanno avanti e gli dicono: beh, adesso si è fatto tardi, congedali, perché possano andare a comprarsi da mangiare. Bruno, il figlio maggiore di Dorcelina e di Nego, aprendo la riflessione sulla Parola – stasera la comunità si è riunita a casa loro -, ha detto: ci dev’essere un nesso tra la compassione che Gesù prova e le cose che insegna, ma i discepoli non devono averlo colto, se hanno così fretta di mandare via la gente. E sì, che potevano immaginare che quella folla sterminata potesse avere fame. Forse è così anche oggi. Forse, dopo tanto ascolto della Parola, non abbiamo ancora imparato cosa sia la compassione. Che è “patire con”. Non un semplice sentimento, né l’atteggiamento di chi si concede dall’alto in basso (dove di mira c’è ancora e fin troppo l’io, narcisisticamente coltivato e contemplato: io, sì, che sono buono!), ma l’assumere e far propria la condizione dell’altro, la sua sofferenza, la sua malattia, qui, in questo caso, la sua fame. Per alleviarla, per liberarlo. E, comunque, Gesù non perde tempo a criticare i suoi, più o meno interessatamente duri di comprendonio. Semplicemente li coinvolge: “Voi stessi date loro da mangiare”. E, subito dopo: “Quanti pani avete?”. Il segreto è lì. E se noi sapremo mettere a disposizione tutti  i pani che abbiamo (i pani che siamo, come Lui è il Pane), vorrà dire che, fino ad allora, avremo solo finto di essere distratti, ma in realtà l’insegnamento di Gesù ci era già entrato dentro. E la nostra disponibilità è la sostanza stessa  della compassione. Che tesse le relazioni nuove del regno. Già, quanti pani avete, quanti pani abbiamo, per sfamare le moltitudini? Bastano questi pani per lasciare trasparire un’epifania di Dio.

 

Oggi il calendario ci porta le memorie di Angela da Foligno, terziaria francescana e mistica, e di  Ginepro di Assisi, folle di Cristo. 

 

04_ANGELA_DE_FOLIGNO.JPGAngela era nata a Foligno nel 1248. Nulla conosciamo della famiglia d’origine, né della sua infanzia e giovinezza e neppure degli anni trascorsi con il marito e i tre figli. Con una certa dose di schiettezza sarà lei in seguito a dire: “Sappiate che per tutto il tempo della mia vita ricercai come potessi essere adorata e onorata”. Alcune catastrofi naturali che colpirono Foligno a partire dal 1279, la guerra con Perugia nel 1282, ma soprattutto la figura di un suo concittadino, Pietro Crisci, che aveva rinunciato a tutte le sue ricchezze per vivere come “pazzo” al seguito di Cristo, determinarono, nel 1285, la svolta nella vita della donna. Quando, qualche tempo dopo, il marito e i figli morirono, falciati dalla peste, Angela donò tutte le sue sostanze ai poveri e fu a vivere con una compagna, dedicandosi ad una vita di preghiera e di austerità, e all’assistenza di poveri e ammalati. Attratta dall’ideale di Francesco d’Assisi, nel 1291 entrò a far parte del Terz’Ordine. Fu in quello stesso anno che, durante un pellegrinaggio ad Assisi, Angela ebbe la sua prima sconcertante esperienza mistica, di cui fu testimone un suo parente: fra Arnaldo da Foligno. Il quale la costrinse a raccontare la sua storia. Tra il 1291 e il 1296 Arnaldo trascriverà, traducendolo in latino, il racconto che in dialetto umbro Angela gli farà della sua progressiva esperienza di Dio. Quel Memoriale  fa di Angela la più grande o una tra le più grandi mistiche, non solo italiane.  La donna morì il 4 gennaio 1309, circondata da numerosi discepoli con i quali aveva istituito, anni prima, un Cenacolo di vita spirituale e di azione sociale.

 

04 Fra_Ginepro_FF.jpgFrate Ginepro di Assisi fu tra i primi compagni di Francesco, cui si aggregò nel 1210, vivendo come fratello laico, in semplicità e allegra povertà, fino alla morte, avvenuta il 4 gennaio 1258.  Una cronaca del tempo così la tramanda così: “Finalmente, quisto santo frate Junipero, essendo già per molti anni exercitatosi nel servitio de Dio et perfettamente in ogne virtù, como vero figliolo de santo Francesco, et per lui operati lo Signore molti miracoli, nella ciptà de Roma s’enfermò. Et venendo a l’ultimo de la morte, recevé tutti li santi Sacramenti de la chiesia, et con molta devotione quella santa anima passò da questa vita a la gloria beata, lassando depo sé odore meraviglioso de santitade. Lo corpo suo se reposa honorevolmente nel convento d’Araceli nella ciptà de Roma”. Di lui Francesco tessè questo elogio: “Colui sarebbe buono frate Minore, che avesse così vinto sé e il mondo come frate Ginepro”.

 

I testi che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera di Giovanni, cap.4, 7-10; Salmo 72; Vangelo di Marco, cap.6, 34-44.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

È tutto. La parola conclusiva di questa nostra lettera, la dobbiamo a Nadia, una nostra amica di Foligno, che ce l’ha fatta avere poco fa, supplendo alla scarsità delle nostre fonti per quanto riguarda le memorie di oggi. L’ha tratta dal libro “Lettere e Pensieri” di Angela da Foligno (a cura di Sergio Andreoli, San Paolo). Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Sono tre le proprietà necessarie a coloro che amano. La prima consiste nell’essere trasformati nella volontà dell’Amato, la quale mi sembra che sia la via che ci ha indicato attraverso se stesso, cioè la povertà, il dolore, il disprezzo e l’obbedienza vera; quando l’anima è totalmente addestrata in queste cose, nessun vizio può entrare in lei. La seconda proprietà consiste nel fatto che l’anima con grande desiderio brama trasformarsi nelle qualità dell’Amato, tra le quali voglio indicarne solo tre, perché voi le conoscete meglio di me. La prima è l’amore, cioè amare tutte le creature, secondo quanto loro spetta; la seconda è la vera umiltà e benignità; le terza è la proprietà che Dio dà ai suoi figli legittimi, cioè l’immutabilità: infatti quanto più l’anima è vicina a Dio, tanto minori mutazioni subisce e perciò, quando ci turba qualcosa di spregevole, non ci vergogniamo, ma riconosciamo la nostra miseria! La terza proprietà necessaria a coloro che amano, consiste nell’essere totalmente trasformati in Dio; allora l’anima è fuori da tutte le tentazioni, perché non è in sé, ma in Colui che è. Quando, però, ritorniamo alla nostra miseria, guardiamoci da tutte le creature e da noi stessi! (Angela da Foligno, Lettere e Pensieri).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Gennaio 2011ultima modifica: 2011-01-04T23:11:00+01:00da fraternidade
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