Carissimi,
“C’era una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, poi era rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (Lc 2, 36-37). Dona Teresa, invece, è rimasta vedova trentatre anni fa. Il fazendeiro presso cui lavorava il marito era venuto a sapere che si era iscritto al sindacato e così gli aveva sparato. Perché gli era sembrato un affronto intollerabile. E lei era rimasta sola con undici figli da allevare, l’ultimo che ancora non camminava. Per molto tempo non si era data pace e, quando usciva di casa, andava armata, perché si era giurata che avrebbe ripagato l’omicida con la stessa moneta. Poi, una sera, si era sorpresa a piangere, non più sulla morte del marito, ma su se stessa e su quello che aveva deciso di fare. E i figli, vedendola piangere, la guardavano in silenzio, perché non sapevano cosa le fosse preso. È stata comunque quella sera che dona Teresa, dopo essersi disfatta della pistola, ha chiesto perdono a Dio e ha rifatto pace con Lui. I figli, poi, se li è cresciuti tutti sani, forti e onesti ed essi le hanno già dato un buon numero di nipoti. Ora vive della sua pensioncina, nella casetta che si ritrova nella rua Altino Lobo; cura come può i suoi malanni, e benze (benedice) quanti ricorrono a lei, per scacciare i loro; sgrana i suoi rosari, partecipa alla vita della sua comunità, ma ne visita anche altre, come la nostra; assiste ai programmi religiosi della TV; se c’è una messa, ci va; se c’è un pellegrinaggio, non lo perde. E vuole bene, e sorride, a tutti. È un po’ la versione brasileira della profetessa Anna, che non smette mai di lodare Dio e di parlare del Bambino a quanti aspettano tempi migliori. O a parlare al Bambino di loro. Che se ne sta più quieto ad ascoltare.
Oggi è il Sesto giorno dell’Ottava di Natale e noi facciamo memoria di Danilo Dolci, educatore, profeta di pace e nonviolenza, e di John Main, monaco e maestro di meditazione e dialogo.
Danilo Dolci era nato a Sesana, nei pressi di Trieste, il 28 giugno 1926, da padre italiano e madre slovena. Dopo gli studi artistici al liceo di Brera, s’iscrisse alla Facoltà di Architettura a Milano. Arrestato dai nazifascisti nel 1943 a Genova, riuscì a fuggire, rifugiandosi dapprima sulle montagne abruzzesi e raggiungendo infine Roma. Nel dopoguerra entrò a far parte della comunità di Nomadelfia, fondata da don Zeno Saltini, con lo scopo di assistere gli orfani della guerra. Nel 1952 si trasferì a Trappeto, un paesino in provincia di Palermo, dove, sulla base del metodo gandhiano della nonviolenza, prese avvio la sua attività a fianco dei più poveri, con l’obiettivo di ottenere acqua, fognature, strade, lavoro e scuole. Nei quarantanni che seguirono, Dolci si fece promotore di molteplici iniziative, volte al riscatto sociale di disoccupati e contadini, organizzò marce per la pace nel Vietnam, manifestazioni per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, denunce contro la mafia e i legami di questa col mondo politico locale. Ne ottenne minacce, denunce, arresti e condanne. Ma anche numerosi riconoscimenti sul piano internazionale. Negli ultimi anni della sua vita privilegiò sempre più le attività di educazione alla pace e alla nonviolenza. È morto il 30 dicembre 1997.
John Main era nato nel 1926 a Londra, da una famiglia irlandese. Terminati gli studi di Diritto, il giovane prestò servizio in Malesia, alle dipendenze del Ministero degli Esteri. Lì, un monaco indiano lo avvicinò alla pratica della meditazione. Tornato in Europa, Main divenne professore di Diritto Internazionale al Trinity College di Dublino. Finché, nel 1958, decise di entrare in un monastero benedettino a Londra. Fu nel 1969 che Main, con la riscoperta della meditazione cristiana, praticata e diffusa nel IV secolo da Giavanni Cassiano, sulla scorta degli insegnamenti dei Padri del Deserto, riprese la pratica della meditazione, dedicando il resto della vita a insegnare ai laici questa antica tradizione che il cristianesimo aveva dimenticato. A tal fine fu invitato dall’arcivescovo di Montreal a fondare una Comunità Benedettina che avesse lo scopo precipuo di insegnare la pratica della meditazione cristiana. Nel 1980, nella Cattedrale di Montreal, John Main accolse Sua Santità il Dalai Lama nell’ambito di un incontro interconfessionale. Entambi sottolinearono l’importanza della collaborazione fra tradizioni spirituali diverse per il raggiungimento della pace nel mondo. John Main morì il 3o dicembre 1982. La sua opera è portata avanti da una vasta rete di gruppi di meditazione cristiana.
I testi che la liturgia odierna propone alla nostra attenzione sono tratti da:
1ª Lettera di Giovanni, cap. 2, 12-17; Salmo 96; Vangelo di Luca, cap.2, 36-40.
La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.
Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una riflessione sul Natale, tratta dal libro di John Main, Letters from the Heart (N.York: Crossroad). È, per oggi, il nostro
PENSIERO DEL GIORNO
Natale è una festa che può aprire i cuori di tutti noi alla presenza di Cristo. Essa ci pone davanti le grandi qualità dell’innocenza e della speranza, di cui tutti abbiamo bisogno, se vogliamo risvegliarci alla sua luce, e ci riempie di fiducia, perché ci dice che il passato è definitivamente trascorso e la nuova era, o, più propriamente, la nuova creazione, è stata inaugurata. Il nostro punto di partenza per trovarla è di considerarla come una realtà del nostro cuore. Il nostro viaggio, perciò, è un viaggio nel nostro cuore. Dato che siamo stati tutti invitati ad entrare in questo tempio e a ricevere questa novità di vita, dobbiamo riconoscere questo tempo come l’occasione per sbarazzarci di tutto ciò che in noi è morto, di quanto ci impedisce di abbracciare il mistero della nostra stessa creazione e di entrare nella pienezza di vita, che riceviamo come puro dono nell’eterno atto creatore del Padre. L’importanza della dottrina dell’Incarnazione è che il mistero di Dio, nella sua eterna capacità di creare, non solo ci è portato più vicino, ma si unisce realmente a noi. Non abbiamo più bisogno di oggettivare il mistero che ha preso ad abitare nei nostri cuori di carne. Adesso sappiamo che il nostro risveglio alla sua realtá è una possibilità a portata di mano di ciascuno di noi, perché il risveglio è un incontro incarnato. La gioia a cui questa festa dovrebbe indurci è data dal fatto che questo risveglio non è il risultato di nostre risorse inadeguate. Non è la nostra forza o la nostra sapienza a condurci, ma il suo amore che è presente nei nostri cuori come la luce della realtà suprema. L’umiltà di Gesù bambino è la nostra guida e maestra. Nella sua Luce, abbiamo la luce. Nel suo Amore, abbiamo Amore. Nella sua Verità, siamo resi veritieri. Si tratta di una festa piena di sorpresa, piena di speranza per tutti noi, chiunque noi siamo, ovunque noi siamo. È una nuova alba per tutta l’umanità, un’alba che comincia con un brillio tenue, ma definito, la cui luce crescente trasforma continuamente il cielo e la terra e aumenta in luminosità, fino alla pienezza del giorno. (John Main, Letters from the Heart).
Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.