Giorno per giorno – 27 Dicembre 2010

Carissimi,

“Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!” (Gv 20, 2). Stamattina ci dicevamo che, ammesso che il discepolo amato sia proprio Giovanni – come vuole una tradizione antichissima e che giustifica la scelta di questo Vangelo nell’odierna memoria dell’Evangelista – non è però a caso che egli non ne abbia mai specificato il nome. Discepolo amato è, infatti, [anche] altro. È ciò che si può essere noi, se. È ciò che sono le sue comunità, la sua chiesa, quando. Non è che gli altri, le altre, Gesù li ami meno, anzi, forse, per la loro lontananza si strugge anche di più (per esprimerci con i temini della nostra esperienza). Gesù, come Dio del resto, ama tutti, anche chi gli si vuole nemico, con uguale intensità, ma con diverso amore. Come tutti siamo diversi. L’amore per il discepolo amato è dato, semmai,  dal fatto che in lui si rispecchia. Forse proprio perché come di Gesù è scritto: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18), anche il discepolo amato ha appreso ad appoggiarsi al seno del figlio (Gv 13, 25), per carpirgli ogni segreto. Lui è dunque quello che capisce al volo, che starà presso la croce (e i crocifissi della storia), che vola al sepolcro e che, pur vedendo solo i segni della morte e dell’assenza, crede nella Sua indefettibile presenza (Gv 20, 8). Colui, infine che, a Pietro (che è chiunque non cessa di scandalizzarsi di un Messia come servo sofferente, perché sogna una chiesa ricca e trionfante), continua a ripetere: È Lui, è il Signore!  E a confermarlo e rinnovarlo nella fede. Ce la sentiremo noi di essere  “discepolo amato”?        

 

Oggi è il Terzo giorno dell’Ottava di Natale, che la chiesa celebra assieme alla memoria di Giovanni, evangelista.

 

27 JOÃO EVANG.JPGGiovanni era figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo, con cui doveva formare una coppia mica male se erano chiamati i “figli del tuono”. Discepolo, forse giovanissimo, di un altro Giovanni, il precursore, l’aveva lasciato per seguire colui che il Battista aveva additato come “l’agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo”. Non immune da qualche intemperanza (cf  Lc 9,54) e da qualche ambizione di troppo (cf Mc 10,37), seppe però vivere nell’intimità del Maestro, apprendendo a decifrarne la Verità più profonda e condividendo con Maria gli ultimi istanti di vita di Gesù, ai piedi della croce. Una tradizione molto antica vuole che sia vissuto a lungo, fino alla fine del I secolo, a Efeso, contribuendo con la sua testimonianza e il suo insegnamento alla redazione del Quarto Vangelo e degli altri scritti neotestamentari che portano il suo nome. C’è chi vede nella figura del discepolo amato la sovrapposizione di due personaggi: il figlio di Zebedeo e un altro Giovanni, più giovane, forse appartenente ad una famiglia dell’aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, che avrebbe conosciuto Gesù e che sarebbe entrato a far parte della cerchia del primo, facendone sua la memoria e approfondendone la riflessione. È a costui che si dovrebbe forse la stesura dell’Apocalisse.  

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Discepolo amato e sono tratti  da:

1ª Lettera di Giovanni, cap. 1,1-4; Salmo 97; Vangelo di Giovanni, cap. 20,2-8.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Noi ricordiamo, oggi, anche le figure di quattro Padri Bianchi: Charles Deckers, Alain Dieulangard, Jean Chevillard, Christian Chessel, martiri in Algeria.

 

27 Padri Bianchi Dieulangard.jpg27 Padri Bianchi Chevillard.jpg27 Padri Bianchi Chessel.jpg27 Padri Bianchi Deckers.jpgCharles Deckers era nato ad Anvers (Belgio), nel 1924, in una famiglia di nove figli. Arrivato in Algeria nel  1955, durante la guerra d’Indipendenza, nel 1956 aveva creato a Tizi-Ouzou “Lemâaouna” (Aiuto reciproco), un’associazione con lo scopo di visitare i prigionieri musulmani, insegnare il berbero e l’arabo, dare una mano ai poveri. Chi l’ha conosciuto ripete di lui : “Era un santo!”. Alain Dieulangrand, originario di  St. Brieuc in Bretagna (Francia), dov’era nato nel 1919, era giunto in Algeria nel 1952. Avrebbe passato 44 anni della sua vita in Kabilia.  Lo chiamavano “nonno”. Anche i musulmani ricorrevano a lui per confidargli i loro tormenti. Jean Chevillard, nato ad Angers (Francia) nel 1925, in una famiglia di 15 figli era stato ordinato prete nel 1950. In Algeria aveva creato numerosi centri di formazione professionale. Il giorno della sua morte aveva confidato ad alcuni amici: “So che morirò assassinato”. Christian Chessel, il più giovane del gruppo, era nato a Digne (Francia), nelle  Alpi, nel 1958. Ingegnere del genio civile, fu mandato a Tizi-Ouzou nel 1993 e, l’anno successivo, fu nominato responsabile della comunità. Sognava di creare una grande biblioteca per i giovani della zona, ma non gliene hanno dato il tempo. La mattina del 27 dicembre 1994, una banda armata irruppe nella casa dei Padri Bianchi a Tizi Ouzou, a circa 60 chilometri da Algeri. Tre o forse quattro individui, arrivati a bordo di un furgone, si introdussero nel cortile, con l’obiettivo evidente di sequestrare i religiosi. Ostentando un documento della polizia, intimarono ai padri di seguirli “per discutere un problema”. Ammalato e con difficoltà a camminare, il P. Chevillard fu trascinato fuori a forza e ucciso freddamente. Subito dopo fu la volta degli altri tre sacerdoti. I tre padri che abitavano a Tizi Ouzou e il P. Deckers, arrivato il giorno prima da Algeri, avevano scelto di restare in Algeria, malgrado il pericolo a cui erano esposti. Molto attivi nell’aiuto sociale ai bisognosi, la loro vita quotidiana era divisa tra l’impegno di sostenere moralmente e materialmente la gente e la preghiera. Centinaia di persone, per lo più di fede islamica, seguirono il giorno dopo i funerali dei quattro imrabden irumyen, i santoni francesi. Come li chiamava la loro gente.

 

Ieri sera, durante il culto nella Chiesa di Cristo, il Pastor Raimundo ha presentato  coloro che, nel pomeriggio, erano stati [ri]battezzati nelle acque. Tra questi, visibilmente commossi, Cleuson (che era stato, come alcuni di voi ricorderanno, autista del Monastero), sua moglie, Cristina (già insegnante nel Collegio delle Suore domenicane), e le due figlie adolescenti. E se si tratta, come tutto lascia credere, dell’inizio di una vita nuova, non possiamo che felicitarci con loro e accompagnarli con la nostra preghiera.

 

Il volume “Dieu pour tout jour” (Éditions de Bellefontaine) raccoglie gli spunti di riflessione che P. Christian de Chergé propose alla Comunità dei monaci di Tibhirine dal 1986 al 1996. In data 18 febbraio 1995 dedicò alla morte dei quattro Padri Bianchi di Tizi Ouzou queste parole che, nel congedarci, vi proponiamo come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Credo di aver sottolineato abbastanza l’importanza del segno comunitario e il valore che la nostra Chiesa annette a questo segno, sapendo leggerlo “nel suo ambiente” poiché la Chiesa stessa non può decifrarsi che in un radicamento: essa è come la colomba dell’arca di Noè, che non fa ritorno all’arca quando ha potuto posarsi sulla terra ferma e farvi il suo nido. Con la comunità di Tizi Ouzou, si é passati dal segno alla realtà… difficile immaginare cosa sia stata, per quanti l’hanno subita, questa partenza in gruppo e come sia stato vissuto il suo ritrovarsi nell’aldilà senza che vi sia stata per essere precisi alcuna separazione. Coloro che Dio aveva unito in una stessa consacrazione di vita non sono stati separati dalla morte. Il segno che ci lasciano resta l’espressione del senso ultimo di ogni comunità religiosa, che è quello di anticipare la comunione dei santi, e lo è tanto più per la percezione che abbiamo della diversità delle origini, dei temperamenti ed anche delle età dei nostri quattro fratelli. Poiché era assai più giovane, Christian, con la sua presenza apportava alla comunità di Tizi Ouzou l’elemento che le sarebbe mancato per testimoniare la giovinezza, la vitalità, la perennità della Chiesa. Per testimoniare altresì che si tratta pur sempre di una FAMIGLIA unica che riunisce tutte le generazioni, di età in età. […] All’incontro dell’ACRCA, in gennaio, Padre Fisset è intervenuto per supplicare i superiori presenti di non esporre ai pericoli attuali i soggetti più giovani, sottolineando proprio la perdita insostituibile che rappresenta la morte di Christian per i Padri Bianchi che avevano riposto in lui così tante speranze. Il nostro vescovo ha subito risposto che l’età non c’entra in questo caso, e che la vita di ogni uomo, di fronte all’assassinio, ha lo stesso prezzo, quale ne sia l’età. Ho pensato bene allora di intervenire per precisare che la distinzione era legittima per i fratelli e le sorelle impegnati solo temporaneamente (che non era il caso di Christian), poiché la situazione rischierebbe di trascinarli più lontano di ciò che hanno promesso, a meno che vi consentano personalmente. Ma non si potrebbe fare la scelta di lasciare in Africa solo i fratelli della terza età, con il pretesto che la perdita sarebbe più relativa. Ne va del segno di se stessa che la Chiesa è in diritto di dare, così come del rispetto per i nostri fratelli più giovani e per la loro chiamata. (Christian de Chergé, Dieu pour toute jour).  

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 27 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-27T23:17:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo