Giorno per giorno – 26 Dicembre 2010

Carissimi,

“I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò. Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo” (Mt 2, 13). Anche allora, come accade sovente, le gerarchie religiose erano conniventi con Erode o opportunisticamente silenziose. Perché questi le ricopriva di favori. E se fosse mai capitato che qualcuno obiettasse qualcosa, ci sarebbe da giurare che l’avrebbero spinto alle dimissioni anticipate. Dunque la salvezza del Bambino – il Dio-che-salva, e cioè il Principio di salvezza, di liberazione, di compassione – è affidata alla sua famiglia (“chi ascolta e compie la volontà di Dio”, secondo la definizione che ne avrebbe dato lo stesso Gesù).  A noi, quindi, se lo vogliamo. Stamattina pensavamo che il racconto della fuga in Egitto della famiglia di Nazareth si ripete di continuo e in vario modo. Voi, poi, in Europa, dovreste leggerne l’attualità ancora più di noi, dato che numerose famiglie di Nazareth premono ai vostri confini. Le quali, spesso, non sanno che i governanti dell’Egitto dove pensano di trovare rifugio sono anche peggio degli Erode da cui fuggono e che non esiteranno a buttarle a mare o a rispedirle senza troppi scrupoli nei paesi della fame, delle persecuzioni e della morte (salvo iscriversi poi, impudentemente, a qualche comitato pro-vita). E tuttavia, come ovunque, c’è la gente comune e i movimenti che essa esprime, e ci sono le chiese e le comunità per cui il Vangelo conta ancora e che magari, senza conoscere neppure bene quello scritto, vivono spontaneamente la Buona Notizia che Dio ha seminato loro in cuore – “la luce vera che illumina ogni uomo” (Gv 1, 9). E diventano così famiglia delle famiglie di Nazareth di oggi. E contribuiscono a salvare Dio (il suo significato) dalla morte. Noi, questa giornata, l’abbiamo trascorsa in gran parte con le amiche e gli amici di Fé e Luz, celebrando l’Eucaristia con Dom Eugenio e poi pranzando allegramente insieme. Anche in questo casa famiglia di famiglie, disposta ad ascoltare e accogliere la Parola di Dio che ci parla attraverso i volti e gli sguardi di Valtinho, Maura, Olimpia, Divino, Aparecida, Divina, Carmo, Maria José, Ivonete, Divininha e gli (le) altri(e).

 

Oggi, Domenica nell’Ottava di Natale è la Festa della santa Famiglia di Nazareth.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro del Siracide, cap. 3, 3-7.14-17a; Salmo 128; Lettera ai Colossesi, cap. 3,12-21; Vangelo di Matteo, 2, 13-15. 19-23.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane. 

 

Non fosse per la domenica, oggi si farebbe memoria del diacono Stefano, primo martire. A cui noi aggiungiamo quella di Jean-Marc Ela, presbitero e teologo africano.

 

26_ESTEVÃO_II.JPGSecondo il racconto che ne fanno gli Atti degli Apostoli, Stefano era un ebreo della diaspora, che, dopo aver accettato il cristianesimo,  fu incaricato assieme ad altri sei di provvedere alla cura dei poveri della comunità. Denunciato dinanzi al Sinedrio da un gruppo di ex-correligionari di parlare contro il Tempio e contro la Legge, si produsse in un’autodifesa che ne peggiorò la situazione, al punto che “quelli del tribunale… si turarono le orecchie e gridarono a gran voce; poi si scagliarono tutti insieme contro Stefano, lo trascinarono fuori città per ucciderlo a sassate. I testimoni deposero i loro mantelli presso un giovane, un certo Saulo, perché li custodisse. Mentre gli scagliavano addosso le pietre, Stefano pregava così: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’. E cadendo in ginocchio, gridò forte: ‘Signore, non tener conto del loro peccato’. Poi morì” (At 7, 57 ss). C’è solo da aggiungere che quel Saulo diventerà poi san Paolo, quasi a significare che, insomma, c’è speranza davvero per tutti!

 

26 JEAN MARC ELA.jpgNato a Ebolowa, in Camerun, il 27 settembre 1936, Jean-Marc Ela fu prete, teologo, sociologo e professore. Studiò teologia e filosofia all’Università di Strasburgo, in Francia, e passò sedici anni come missionario a Tokombere, tra i Kirdi del Camerun nord-occidentale, accanto alla figura carismatica di Baba Simon, da molti considerato una sorta di san Paolo africano. L’opera che lo fece conoscere fu “La mia fede d’Africano”, apparso in francese nel 1985 e poi tradotto in inglese, tedesco e italiano. Il libro denunciava l’imposizione da parte della Chiesa in Africa di un modello di fede che ignorava del tutto i bisogni reali della popolazione, soprattutto delle comunità rurali.  Attraverso un’analisi accurata dei sacramenti, dell’ermeneutica biblica e della prassi missionaria, identificava le vie attraverso cui la tradizione cattolica manteneva gli africani dipendenti nei confronti dell’Europa. Da parte sua, si faceva sostenitore di un’inculturazione della fede che rispettasse, riscattasse e valorizzasse la maniera d’essere della sua gente. Animato, assillato, inquietato dalle figure di Gesù di Nazareth, da quella di Abele, il cui grido giunge fino a Dio e ne provoca la domanda ai Caini di ogni tempo: che hai fatto di tuo fratello?, e da quella rappresentata dal mondo dei più deboli, degli oppressi e degli esclusi, che riassumeva e riviveva nella sua carne la passione dell’uno e dell’altro, Ela collocò la sua teologia al servizio di quel progetto. Critico del potere politico del suo Paese, nonché delle omissioni e delle collusioni della gerarchia ecclesiastica nei confronti di quello, dopo l’assassinio di padre Engelbert Mveng, il 22 aprile 1995, si recò in esilio nel Québec, dove continuò ad insegnare Sociologia nell’Universitá di Laval, a Montreal, fino alla morte, avvenuta il 26 dicembre 2008. Fu sepolto nel suo paese natale, a Ebolowa, in Camerun.

 

Noi ci si congeda qui. Con una citazione di Jean-Marc Ela, tratta da un’intervista a cura di Yao Assogba, apparsa in Nigrizia dell’ottobre 2000 con il titolo “Economia e teologia / Sotto l’albero”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Per me il teologo africano deve parlare di Dio a partire dal luogo dove la Parola di Dio ci trova. Questo luogo è l’Africa stessa, tenendo conto delle sfide delle nostre società e della tragedia della nostra storia. Dopo anni ho preso coscienza che l’Africa è un vero polo di rivelazione, un luogo dove Dio parla alla chiesa e al mondo. Ho preso coscienza dell’insignificanza del cristianesimo occidentale per l’uomo africano. Questo cristianesimo è integrato a un sistema di dominazione nel quale Dio rischia di essere catturato dalle forze che ci opprimono. Ora bisogna che Dio sia Dio, e perché lo sia bisogna che Dio sia liberato da questa schiavitù.   La mia teologia prende come punto di partenza il fatto che il Vangelo non può essere realmente una forza di liberazione se non lo si libera dal cristianesimo occidentale, fondamentalmente associato a un sistema di dominazione dopo la conversione dell’imperatore Costantino. Si ritrova questo virus imperiale nell’ossessione dell’autorità in seno al cattolicesimo romano. La Bibbia deve essere considerata come il racconto di una liberazione da Mosè fino a Gesù Cristo, che è venuto nel mondo per liberare i poveri e gli oppressi. La sfida della povertà e dell’oppressione è al centro della Rivelazione. È per questo che la nostra teologia non può che essere una teologia della liberazione. A questo riguardo, l’Africa appare come uno dei luoghi della terra dove la creazione geme in attesa della liberazione. […]  La mia riflessione teologica è nata nei villaggi. Precisamente sotto l’albero della palabre, dei colloqui, nelle montagne del nord del Camerun dove, la sera, m’incontravo con i contadini e le contadine per leggere la Bibbia con i nostri occhi africani. La mia teologia non è nata tra quattro mura di cemento. Non ho mai insegnato teologia in un grande seminario e nelle università cattoliche in Africa. Sono intervenuto in alcuni istituti di teologia, specie in Belgio e in Germania, ma in maniera puntuale e per condividere la mia esperienza sul terreno o per discutere sulle mie opere.   Concretamente la mia teologia è partita dalla riscoperta del Dio di cui parla una donna del Nuovo Testamento. Maria canta il Dio che nutre gli affamati e lascia i ricchi a mani vuote. Questo Dio è nello stesso tempo colui che rovescia i potenti dai loro troni. (Jean-Marc Ela, Economia e teologia / Sotto l’albero).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 26 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-26T23:09:00+01:00da fraternidade
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