Giorno per giorno – 25 Dicembre 2010

Carissimi,

“Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2, 6-7). Non c’era posto per loro. Per gli altri, sì. Noi, come vi avevamo anticipato, ci si è ritrovati ieri sera nella chiesetta dell’Aparecida, a celebrare questo Natale con frei Mingas. Un Natale feriale, nel senso che eravamo quelli di sempre, anzi, meno, per via della pioggia che si è abbattutta improvvisa una mezz’ora prima che si cominciasse. Con in più, però, seu Benedito e dona Angelina, Alvino, e seu Sebastiâo, visitati durante la Novena. E,  a sorpresa, anche  Washington, recuperato da Dominga, che ce l’ha portato su come un dono. Feriale, dunque, ma anche festoso, come sa fare festa con pochi mezzi la povera gente. Che canta, fa qualche stecca e si sorride benevolmente addosso, e, all’offertorio porta all’altare riso, fagioli, olio, spaghetti, conserva, zucchero, caffé, per preparare una cesta a chi, di mezzi, ne ha ancora meno. Poi, segue in silenzio le parole del mistero, pronunciate da frei Mingas (che, uno pensa: adesso si alza in volo), e prega il Padre nostro e si scambia baci e abbracci di pace, per mangiare degnamente Lui, perché rinasca in noi e noi in Lui. Prima, però, dopo il Vangelo, c’era stata come di costume la condivisione della Parola, in cui era intervenuto per primo, e ripetutamente, Washington, che oltre dieci anni fa, interrompendo una brillante carriera scolastica, ha cominciato a dare segni di squilibrio – seguendo in questo il padre, il fratello maggiore e un certo numero di altri parenti. E la gente l’aveva ascoltato con pazienza, cercando di intuire il possibile senso di quello che diceva, anche se, apparentemente, non ce n’era alcuno. A noi, allora, ci è venuto di dire che il senso del Natale era racchiuso in quella presenza. “Non c’era posto per loro nell’alloggio”. Il “matto” è, forse, ancora oggi chi meno trova ospitalità tra la gente. Washington e suo fratello Junior non fanno eccezione e se ne stanno da anni confinati in casa, gonfi e inebetiti dagli psicofarmaci. Per una volta (ma non può limitarsi a questa), Washington ha trovato “posto”, prima nel cuore di Dominga, che se ne è fatta carico, e poi in questa comunità, in questa notte. Allora, si trattava di un bambino (la Parola di Dio) che, anch’egli, non parla, si esprime per vagiti e pianti, segni e simboli, che bisogna di volta in volta fare lo sforzo di interpretare. Come dobbiamo imparare a interpretare Washington. Come, invece, una società scristianizzata quale la vostra (ma i cui governanti continuano ipocritamente a volersi cristiani) lungi dal preoccuparsi di imparare a decifrare la lingua dello straniero (diventerebbe così anche un po’ più colta), pretende invece che lui apprenda la vostra lingua. Subito, se no, fuori dai piedi!  E meno male che in Egitto non vigevano le vostre leggi, se no, il piccolo Gesù e i suoi genitori, li avrebbero rispediti in quattro e quattr’otto in bocca ad Erode. E, allora, addio “radici cristiane”, che comunque, visti gli esiti attuali, pare non vi siano servite granché! Ma, torniamo a noi. Natale è questo atteggiamento di accoglienza per il comunque diverso (dietro cui si nasconde nientemeno che Dio), colui che non trova ospitalità dagli altri. Noi ci si augura che sia così per noi e per voi. Il resto, la cena, i doni, le sbornie, i presepi, i canti, i buoni sentimenti, senza questo, non ci azzeccano granché.          

 

25 de dezembro.jpg

I testi che la liturgia di questa Solennità del Natale di Gesù propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.9, 1-6; Salmo 96; Lettera a Tito, cap.2, 11-14; Vangelo di Luca, cap, 2, 1-14.

 

Anche se un po’ sottovoce, ricorderemo che il nostro calendario ci porta oggi la memoria di due figure che ci sono particolarmente care: quella del filosofo Emmanuel Lévinas, profeta dell’alterità,  e quella di Paul Gauthier, testimone silenzioso di solidarietà. 

 

25 LEVINAS.jpgEmmanuel Lévinas era nato il 12 gennaio 1906 (corrispondente nel calendario giuliano al 30 dicembre 1905), a Kaunas, in Lituania, da una famiglia ebrea che, emigrata in Ucraina alla fine della 1ª Guerra mondiale, fece ritorno in patria allo scoppio della rivoluzione d’ottobre. Nel 1923, all’età di 17 anni Lévinas si trasferì in Francia, per compiere i suoi studi all’università di Strasburgo. Nel biennio 1928-29, frequentò invece l’Università di Friburgo, dove ebbe come professori i filosofi Edmund Husserl e Martin Heidegger, dei quali farà conoscere il pensiero in Francia all’inizio degli anni 30.  Durante la 2ª Guerra mondiale, la sua famiglia, rimasta in Lituania, scomparve negli orrori dell’Olocausto, mentre lui, come cittadino e soldato francese, fu mandato ai lavori forzati in campo di concentramento in Germania.  La moglie Raissa, una musicista viennese da lui sposata nel 1932, e la figlia, Simone Hansel, vissero invece nascoste in un convento francese. L’altro figlio della coppia, Michael, sarebbe nato solo in seguito. La filosofia propria di Lévinas si venne precisando dopo la fine della Guerra. Estraneo alle problematiche metafisiche e epistemologiche, egli proponeva la “responsabilità etica personale per l’altro”  come punto di partenza del suo pensiero. L’enfasi da lui posta su questo tema, il suo impegno a favore dell’ebraismo, il suo ricorso a un linguaggio spiccatamente religioso e i numerosi commenti a brani della Bibbia e del Talmud ne fecero un pensatore unico, distante dagli esiti scettici e nichilisti di molta filosofia contemporanea. Morì il 25 dicembre 1995.

 

25 Paul Gauthier.jpgNato il 30 Agosto 1914 in Borgogna (Francia), Paul Gauthier era entrato giovanissimo in seminario a Digione, rimanendovi poi come professore di teologia. Stanco dei privilegi comunque legati allo stato ecclesiastico, aveva partecipato per qualche tempo all’esperienza dei preti-artigiani (Roma aveva proibito il lavoro salariato), portata avanti dal domenicano Jacques Loew e poi aveva deciso di recarsi a Nazareth, a lavorare come Gesù. Aveva scritto nel suo diario: “Dal giorno in cui, attraverso le sue creature che vivono nella miseria e nella più dura fatica, il Signore Gesù mi aveva fatto sentire questo duro rimprovero: ‘Io sono povero: ma tu non vivi con me e per me’, sento il desiderio di andare a vivere e a lavorare in mezzo ai poveri e agli operai”. In seguito, altri uomini e donne si sarebbero uniti a lui, scegliendo di chiamarsi Compagni e compagne di Gesù Carpentiere. Profeta scomodo, radicale, intransigente, sempre più insofferente del quietismo e dell’indifferenza per le tragedie dei poveri, di cui vedeva caratterizzate le Chiese, avrebbe ritenuto giusto, negli anni seguenti, per fedeltà ai “popoli che hanno fame e sete di giustizia”, sciogliere ogni legame residuo con l’istituzione ecclesiastica. Con Marie Thérèse Lacaze (Myriam), la prima delle Compagne, decise di creare una famiglia, adottando due bimbi indiani, Shanty e Nirmal, fermo nel suo impegno di attenzione e immedesimazione con i poveri, nell’azione a favore di una Palestina pacificata nella giustizia, nella difesa della Creazione e nella cura premurosa della sua famiglia. Morì il 25 dicembre 2002, in un piccolo appartamento di Marsiglia. Ai suoi funerali, celebrati il 28 seguente nella chiesa ortodossa di San Giorgio, assieme ai suoi cari, poche decine di persone: cristiani, ebrei, musulmani e non credenti.

 

È tutto anche per stasera. Nel pomeriggio ci hanno fatto sapere che la nostra amica Maria Rosa di Milano ha avuto un malore ed ora è ricoverata in ospedale in osservazione. La mettiamo nella nostra e nella vostra preghiera, con la certezza che tutto si risolverà presto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi al brano di un’omelia della notte di Natale 1984 di Dom Christian de Chergé. L’avevamo promesso a irmã Paula, che si è recata quindici giorni fa nel monastero di Santa Cruz, nello stato di Rio Grande do Sul, a predicare un ritiro. È a lei che dobbiamo il volume prezioso del trappista martire di Tibhirine che, sotto il titolo “L’autre que nous attendons” (Éditions de Bellefonaine), ne raccoglie le omelie dal 1970 1l 1996. Ed è questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Per condurre l’uomo al suo FINE, al suo ultimo parto, Dio si fa NEONATO, e il segno resterà perché dice l’eterna INFANZIA di Dio, la sua NOVITÀ. Non il “neonato” di un giorno, ma di ogni giorno. Perché l’Eterno non ha che un solo oggi e la sua grazia piu propria è di NASCERE incessantemente, in se stesso e in uno straripamento di sé. Se questo Bambino è Lui, come, attraverso Lui, Dio non ci darebbe TUTTO (San Paolo), e la vita e l’eternità? Il miracolo dell’AMORE sta LÌ: ogni volta nuovo, nato oggi. Garanzia di fiducia assoluta, di abbandono senza riserve – il bambino nascerà dall’amore che un uomo e una donna si sono dati un giorno – e il bambino, con la sua stessa vita, sarà esigenza di durata per l’amore di coloro che l’hanno fatto nascere. Ma poiché l’amore dell’uomo è fragile, la vita del bambino è minacciata. Si rifiuterà questo testimone fastidioso, troppo durevole, dato che in materia di amore per l’altro, l’uomo si riprende presto, anche nell’amore coniugale, spesso! Si sente parlare in questi giorni di specie animali in via di estinzione… Nelle nostre società cosiddette evolute e pretese cristiane, lo stesso bambino è un segno che sta scomparendo… In altre società più giovani, come quella algerina, è banalizzato e rischia di perdere anche lì il suo senso personale, il suo senso DIVINO. Perché questa è la Buona Notizia: il Padre ci ha DATO il suo Figlio Unico… eternamente neonato, per fare di noi dei neonati, dei figli dell’Amore che è in Dio. GESÙ tra noi, è l’uomo che noi siamo, nello zampillare permanente dell’amore fatto bambino. Il VANGELO è la rivelazione del capolavoro di Dio: un uomo che custodisce un cuore di bambino, un cuore di neonato – segno permanente – alla pace, alla gioia, alla moltitudine. In questo Bambino, le aspirazioni della religione sono la sua maniera d’essere… le nostre le richiamano alla meno peggio. Perché stupirci che coloro che hanno cercato di vivere il Vangelo abbiano custodito qualcosa nello sguardo del bambino: lo si è scritto del padre Popielusko, del padre Jarlan.. Cf Charles de Foucauld. Noi pensiamo allora a questi capolavori in pericolo: Etiopia, Vietnam… e noi? Sapremo essere il SEGNO in un mondo ferito? (Christian de Chergé, L’autre que nous attendons).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.    

Giorno per giorno – 25 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-25T23:18:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo