Giorno per giorno – 24 Dicembre 2010

Carissimi,

“Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri e si è ricordato della sua santa alleanza, del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre, di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore, in santità e giustizia al suo cospetto, per tutti i nostri giorni” (Lc  1, 72-75). I profeti vedono il futuro come fosse già passato, così, anche se Gesù deve ancora nascere, Zaccaria può già dire che Dio ha visitato e redento il suo popolo. E il segno è che noi, liberati infine dai nostri nemici, possiamo servirlo in santità e giustizia. Questa è una promessa che Dio fa ad ogni generazione e, nel compierla, oltre che ad usare misericordia nei nostri confronti, l’avrà usata nei confronti dei nostri padri, nonni, e antenati, a cui era stato rivolto, a suo tempo,  lo stesso giuramento, che non aveva però fino ad “ora” trovato compimento (e noi non lo sappiamo, ma Lui saprà bene perché). E un dono fatto ai figli o ai nipoti è un regalo anche più grande fatto ai genitori o ai nonni, abituati a vivere molto più apprensivi per la sorte dei loro piccoli, che preoccupati per sé. Almeno così dovrebbe essere. Dunque, oggi, siamo chiamati ad essere noi Zaccaria, coloro di cui “Dio si è ricordato” (secondo l’etimologia del nome) e che, per un ritrovato sprazzo di fede – e più ancora di speranza – profetizzano sulla generazione che nasce e cresce. Allora non importa che noi si sia ancora circondati da nemici (qualche volta, chissà, anche dentro di noi) che mentono, opprimono, spadroneggiano e che, perciò, non si sia finora riusciti a vivere santamente e fedeli alla Sua parola – come, pure, avevamo promesso  nel nostro battesimo. Che Egli venga finalmente ora, già domani, e ne liberi i nostri figli e nipoti (di ogni Paese e di ogni continente, ma prima di ogni altra, delle regioni della fame e della guerra, delle malattie, delle devastazioni e della morte), e noi potremo perdonarLo per questo ritardo che non avremo capito (ma che forse avremo meritato), e potremo cantare le sue lodi: Benedetto il Signore, Dio d’Israele!

 

Oggi è memoria di Charbel Makhluf, monaco eremita della Chiesa maronita del Libano.

 

24 Charbel Makhluf.jpgYussef Makhluf era nato in Libano, nel villaggio di Biqa’Kafra, l’8 maggio 1828.  Rimasto orfano di padre all’età di tre anni, passò sotto la tutela dello zio paterno e, ancora bambino, fu messo a badare al gregge.  Fu in queste circostanze che apprese il gusto per la preghiera. Mentre gli animali riposavano, Yussuf si ritirava in una grotta nelle vicinanze e si raccoglieva in preghiera. Frequentava anche una scuola, dove le lezioni consistevano nell’apprendere a leggere, a scrivere e a servir messa. A ventitre anni, senza avvertire nessuno, lasciò il paese natale, per recarsi nel monastero di ‘Annaya dell’Ordine libanese maronita. Lì ne assunse l’abito e cambiò il nome di battesimo in quello di Charbel (martire della chiesa antiochena nell’anno 107 sotto l’imperatore Traiano). Trascorso il primo anno di noviziato, fu inviato al monastero di Nostra Signora di Maïfuk, per completare il secondo anno di studi e successivamente nel Collegio di Kfifan. Ovunque si segnalò per la grande semplicità, la sincerità della sua pietà e per la prontezza ad assumere le mansioni più umili e dure. Nel luglio 1859 fu ordinato sacerdote e inviato nuovamente ad Annaya, dove trascorse sedici anni, prima di ottenere l’autorizzazione a ritirarsi a vivere nell’eremo del monastero, a 1400 metri di altitudine, dove spese i restanti ventitre anni della sua vita, nel silenzio, nel lavoro e nella preghiera di adorazione. Il 16 dicembre 1898, durante l’Eucaristia, fu colto da un malore. Trasportato nella sua cella, nei giorni successivi non fece che ripetere le parole della messa: “Padre di verità, ecco qui tuo Figlio, reso vittima gradita a Te….”, fino a quando si spense la notte del 24 dicembre, vigilia di Natale.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2° Libro di Samuele, cap.7, 1-15. 8b-12. 14. 16; Salmo 89; Vangelo di Luca, cap.1, 67-79.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

Tra poco ci recheremo nella chiesetta dell’Aparecida per celebrare con frei Mingas l’Eucaristia di questa notte di Natale. Vi ricorderemo, naturalmente, tutti.  Nel congedarci, vi proponiamo una riflessione di Dietrich Bonhoeffer sul Natale. La troviamo nel suo libro “Memoria e fedeltà” (Edizioni Qiqajon) ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

È stato fondamentale per i Padri professare che Dio, il Figlio, ha assunto la natura umana, e non una data persona. Che significa questo? Significa che Dio si è fatto uomo assumendo la natura umana, non assumendo un singolo uomo. Tale distinzione era necessaria per salvaguardare il carattere universale del miracolo di Natale. “Natura umana”: è la natura, l’essere, la carne di tutti gli uomini, e dunque anche la mia natura, la mia carne; la natura umana è il compendio di tutte le possibilità umane in genere. Forse noi oggi diremmo, in modo più comprensibile: Dio nella nascita di Gesù Cristo ha assunto l’umanità e non semplicemente un individuo. Questa assunzione avvenne però – ed è questo il miracolo unico dell’incarnazione – corporalmente. Il corpo di Gesù Cristo è la nostra carne. Egli porta la nostra  carne. Ecco perché dov’è Gesù Cristo, là siamo noi, che lo sappiamo o no; è così in virtù dell’incarnazione: ciò che accade a Gesù accade a noi. È veramente la povera carne di tutti noi, è realmente il nostro sangue che giace in quella mangiatoia. È la nostra carne che egli santifica e purifica con la sua obbedienza e con la sua sofferenza. È la nostra carne che muore con lui sulla croce e con lui è sepolta. Egli ha assunto la natura umana perché fossimo in eterno presso di lui. Dov’è il corpo di Cristo Gesù, là siamo anche noi; anzi, noi siamo il suo corpo. Per questo la testimonianza di Natale narra a tutti gli uomini: Voi siete stati assunti, Dio non vi ha disprezzati, egli porta nel suo corpo la carne e il sangue di voi tutti. Volgete lo sguardo alla mangiatoia! Nel corpo di quel bimbo, nel Figlio di Dio fattosi carne, è la vostra carne, è tutta la vostra miseria, la vostra angoscia, la vostra tentazione, anzi tutto il vostro peccato che è portato, perdonato, santificato. Se tu ti lamenti: “Non c’è salvezza per la mia natura, per tutto il mio essere, sono perduto per sempre”, la buona novella del Natale ti risponde: “La tua natura, tutto il tuo essere sono stati assunti: Gesù li porta; è così che è diventato il tuo Salvatore”. E poiché il Natale è l’assunzione corporale di ogni carne umana da parte del Dio della grazia, si deve dunque dire: “Il Figlio di Dio ha assunto la natura umana”. (Dietrich Bonhoeffer, Lettera teologica, Natale 1939).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.    

Giorno per giorno – 24 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-24T19:24:00+01:00da fraternidade
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