Giorno per giorno – 23 Dicembre 2010

Carissimi

“Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: Che sarà mai questo bambino? E davvero la mano del Signore era con lui” (Lc 1, 65-66). Questa era l’atmosfera che seguì la nascita di Giovanni e la scelta di quel nome che è il nome più vero di ciascuno di noi, perché è dato direttamente da Dio (e, se i genitori sono d’accordo, tanto meglio). Perché ogni nato porta su di sé il segno della benevolenza di Dio, che è ciò che “Giovanni” significa. E ad ogni nascita dovremmo poter dire, pieni di stupore: che sarà mai di questo bambino? Sapendo che tutti siamo chiamati ad essere annuncio del Suo farsi vicino. Oltre ogni nostra inadeguatezza e sconfitta, anzi, nella nostra stessa sconfitta, additeremo la Sua fedeltà che non viene mai meno. Esistenze apparentemente fallite – stasera ci tornava alla mente l’immagine di Frederico, che avevamo visto poco prima, irriconoscibile, ormai pelle e ossa, trascinarsi per strada, votato, si direbbe, a un neanche troppo lento suicidio – ebbene, anche queste esistenze sono da Lui raccolte. Tramite qualcuno(a), finché è possibile, poi, direttamente da Lui. Anche se qui, siamo ormai nel territorio del mistero. L’Avvento non è sempre, necessariamente, un tempo dall’esito scontato, visibile a nudo. C’è qualcosa di impercettibile ai sensi, ma di fondamentale. Noi si vede un crocifisso, ma dietro c’è un risorto. Come, domani notte, si vedrà un bambino rifiutato, ma dietro c’è Dio. Bisogna avere occhi e cuore di povero (come quello dei pastori, ma, già qui, di un sacerdote finalmente convertito, come  Zaccaria, e, in seguito, dello stesso Giovanni), per riuscire a cogliere la presenza del divino e l’aprirsi delle sue strade. 

 

Due sono le memorie di oggi: quella dell’ebreo Abraham Joshua Heschel, maestro, mistico e profeta del nostro tempo, e quella di Gabriel Maire, martire per la giustizia in Brasile.

 

23 ABRAHAM HESCHEL.JPGAbraham Joshua Heschel era nato a Varsavia l’11 gennaio 1907, discendente di una famiglia di rabbini e mistici  chassidici, tra cui Dov Ber di Mèzeritch e Levi Yitzchak di Berditchev.  Pur fedele alla mistica e alla spiritualità dei padri, scelse di intraprendere la carriera accademica, vincendo le resistenze della sua famiglia. Studiò filosofia a Varsavia e poi a Berlino, dove ottenne il dottorato nel 1933, succedendo nell’insegnamento a Martin Buber nella cattedra che questi aveva occupato a Francoforte. Nel 1938, tuttavia, in quanto ebreo straniero, fu espulso dalla Germania e dovette fare ritorno in patria. Da lì si allontanò proprio alla vigilia dell’invasione nazista, dirigendosi prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, dove sarebbe rimasto per il resto della vita, insegnando in istituti sia ebrei che cristiani. Una serie di libri pubblicati negli anni 50 lo fecero conoscere come una delle voci più significative del suo tempo. Per l’influenza che esercitò anche in campo cristiano, fu chiamato un “nuovo apostolo delle genti”.  Fu profeta instancabile del dialogo e della cooperazione tra le religioni. Incontrò Giovanni XXIII e Paolo VI e fu invitato come osservatore al Concilio Vaticano II. Si deve alla sua influenza la storica dichiarazione del concilio sui rapporti della chiesa con l’ebraismo.  Fraterno amico di Martin Luther King, con spirito profetico fece sua la battaglia contro ogni forma di razzismo e discriminazione, denunciò la guerra del Vietnam, non evitando prese di posizione su temi squisitamente politici, perché, diceva “moralmente parlando, non c’è limite all’interesse che si deve avere per la sofferenza dell’essere umano, dato che l’indifferenza di fronte al male è peggiore del male stesso, perché in una società libera, alcuni sono colpevoli, ma tutti sono responsabili”. E, “predicare su Dio, ma tacere sul Vietnam è semplicemente una bestemmia”.  (Noi dovremmo ricordarcene più spesso, tutti). La religione di Heschel non rappresenta pertanto una fuga in un altro mondo, ma esprime un profondo senso di responsabilità nei confronti di questo mondo, dei suoi problemi e necessità. Poco prima di morire, rivolgendosi ai giovani in un’intervista, dichiarò: “Ricordate che c’è un significato oltre ogni apparente assurdità. Sappiate che ogni atto conta, che ogni parola è potere… Soprattutto, ricordate che siete chiamati a costruire la vostra vita come fosse un’opera d’arte”. Lui ci riuscì. Morì il 23 dicembre 1972.

    

23_GABRIEL_MAIRE_II.JPGGabriel Maire era un prete francese, missionario in Brasile da nove anni, dove aveva assunto l’accompagnamento pastorale delle comunità di base di Campo Grande, a Vitória, nello Stato di Espirito Santo, diventando elemento forte nell’azione di coscientizzazione e organizzazione della popolazione e sostenitore deciso dell’impegno dei cristiani  nell’azione politica e sindacale. Ripetutamente minacciato di morte, nonostante le precauzioni prese, il 23 dicembre 1989, di ritorno da una celebrazione tenuta a Castelo Branco, offrì un passaggio in macchina ad uno sconosciuto che gli chiese di essere portato a Porto Santana, dove P. Gabriel era atteso per un’altra celebrazione. In quel tratto di strada, davanti alla stazione Carlos Lindemberg, il prete fu assassinato con un tiro al petto. Aveva 53 anni. Il vescovo di Vitória, dom Silvestre Scandian dichiarò che l’uccisione era l’ultimo atto del martirio di “una vita tutta dedicata al popolo sofferente, massacrato dall’ingiustizia sociale e dall’oppressione”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Malachia, cap.3, 1-4. 23-24; Salmo 25; Vangelo di Luca, cap. 1, 57-66.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.  

 

O Emanuele: Dio-con noi, o Re legislatore, speranza di tutte le nazioni, desiderato da tutti i cuori, sei dei poveri il più  grande liberatore, vieni finalmente a salvarci, Signore, o Dio nostro, ascolta le nostre suppliche. Vieni, o Figlio di Maria, vieni presto, o luce della vita. Quanta sete, quanta attesa, Quando viene, quando viene quel giorno?”. È l’ultima invocazione, che chiude la nostra preparazione al Natale. Quando Lui verrà. E verrà senz’altro, se non altro per dona Luiza e dona Josefa, che ci hanno accolto, acciaccate come sono tutte e due, in quest’ultimo giorno di novena. Ma anche per tutti gli altri, che non avranno animo di lasciarlo fuori di casa.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione di Abraham Joshua Heschel, tratta da un’intervista rilasciata nel 1972 a Carl Stern, della NBC. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Vorrei dire ai giovani una serie di cose, ma ho solo un minuto. Vorrei dire loro di ricordare che c’è un significato oltre l’assurdo. Di essere sicuri che ogni piccola azione conta. che ogni parola ha potere, e che possiamo fare – tutti – la nostra parte per redimere il mondo, nonostante tutte le assurdità e tutte le frustrazioni e tutte le delusioni. E soprattutto,  ricordate che il significato della vita è di vivere la vita come se fosse un’opera d’arte. Tu non sei una macchina. Perciò, già da quando siete giovani, cominciate a lavorare a questa grande opera d’arte chiamata la vostra esistenza. (Rabbi Abraham Joshua Heschel).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 23 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-23T23:38:00+01:00da fraternidade
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