Giorno per giorno – 17 Dicembre 2010

Carissimi,

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram” (Mt 1, 1-3). E via di seguito. Forse abbiamo già detto altre volte come ci sia venuta a piacere questa pagina delle generazioni che, un tempo, ci sembrava essere solo una tiritera piuttosto noiosa. Il fatto è che dietro ad ogni nome c’è una storia, c’è, cioè, qualcuno che nasce, cresce, s’innamora, concepisce, tradisce o è tradito, va in guerra, fa la pace, ha fame, sete, sfrutta o è sfruttato, ruba o è derubato, insulta o è insultato, ferisce o è ferito, e infine muore, carico di anni, o prima del tempo, benedetto o maledetto. E tutte queste storie formano una catena che, per un miracolo di Dio, portano a Lui, Suo figlio, Gesù.  Come, allora, pensar male anche solo di uno, di una, se loro sono gli antenati che ci hanno dato un simile frutto? Eppure, alcuni di loro avevano fatto cose terribili. Ma Dio accetta di essere figlio anche di cose terribili. In Lui diventa vero che le colpe dei padri ricadono sui figli. Anzi sul Figlio. Che prende su di sé (e, perciò, toglie), il male del mondo. E questo per sempre, non solo fino ad allora. Perché tutti contribuiamo a generare [la storia di] Dio nel mondo. Solo che Lui (anzi, a dire il vero, il Suo Spirito) deve continuare a mondarla come gli riesce (e, alla fine, gli riesce sempre), e a scansare gli ostacoli che rischiano di bloccarla irrimediabilmente (e Lui trova sempre il sistema). Però, stamattina, ci dicevamo che questo non ci autorizza a guardare alle cose con superficialità, e meno ancora a viverle così. Perché c’è qualcosa di profondamente ingiusto nel fatto che Qualcuno debba sempre portare il peso del male del mondo. E che, in aggiunta, quanti sarebbero chiamati ad aiutarLo a sgravarsene, siano invece spesso coloro che lo gravano di più. La storia dei discepoli, Gesù l’aveva pensata come storia alternativa, come laboratorio di un inizio nuovo, che impedisse il ripetersi all’infinito della parabola del servo sofferente (lui doveva e voleva essere l’ultimo). Che i suoi fedeli e i loro preti (se preti ci dovevano essere) non diventassero conniventi degli Erode e dei Pilato, com’erano stati allora, ma fossero difesa, rifugio, riscatto, liberazione, casa della Parola/azione  di Dio nella storia che si fa presente nella carne dei suoi poveri. Noi dove siamo, che siamo, che facciamo? Siamo chiesa levatrice di un’umanità nuova (il Natale è questo), o  cortigiani e cappellani nei palazzi dei potenti di turno?       

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di  Jalâl âlDin Rûmi, mistico islamico.

 

17Rrumi.jpgJalâl âlDin Rûmi  nacque il  6 Rabî I dell’anno egiriano 604 (corrispondente al 30 settembre 1207), a Bakl (che all’epoca apparteneva alla Persia, ma oggi è in territorio afgano), nella famiglia di Mu’mina Khâtûn e di Bahâ âlDîn Wâlad, mistico famoso, conosciuto come il “Sultano dei Saggi”. Per sfuggire alle invasioni dei mongoli di Gengis Khan, il padre con tutta la famiglia abbandonò il paese e, accettando l’invito del sultano di Konya (nell’attuale Turchia), si stabilì in quella città, dispensando lì il suo insegnamento religioso. Alla sua morte, nel 1231, il suo incarico nella scuola teologica fu assunto dal figlio Rûmi. Già influenzato dal sufismo, Jalal, nel 1244, incontrò un personaggio tanto  affascinante quanto misterioso, Shams-i Tabriz (il Sole di Tabriz), che divenne sua guida spirituale. Questo evento mutò radicalmente la vita di Rûmi, che decise di abbandonare l’insegnamento e si dedicò interamente ad approfondire il pensiero del maestro, consacrando la sua vita alla poesia, alla musica e alla danza estatica. Per cantare  bellezza, ebbrezza e dolcezza dell’amore di Dio.  Rûmi morì a Konya, il 17 dicembre 1273 (il 5 Jumada dell’anno egiriano 672), dopo aver fondato una confraternita  di “dervisci rodopianti”, la Maulawiyya e  lasciando numerosi poemi mistici.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap.49, 2.8-10; Salmo 72; Vangelo di Matteo, cap.1, 1-17.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con le comunità islamiche che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

Sento, insistente, fra i cattolici seri e pensosi, non più disagio ma ripugnanza per queste ripetute prese di posizione di una gerarchia insensata a favore del governo Berlusconi. Non si tratta di destra o sinistra: su tratta di un governo che è “fuori” da tutte le parti: fuori dalla Costituzione, fuori dalla giustizia verso i più poveri (tanto all’interno quanto fra i migranti in cerca di vita respinti in mano a dittatori e predoni), fuori dalla legalità, fuori dalla parola veritiera e onesta, fuori dalla minima onestà civile. Cosa vedono e cosa vogliono questi gerarchi di una organizzazione ecclesiastica fine a se stessa, con ogni mezzo? Con quale responsabilità parlano? Con quale conoscenza della realtà? Con quale coscienza dei primari valori umani e civili? Ma sanno a chi vendono la chiesa? I cristiani cattolici coscienti si facciano sentire, con voce forte. É il nostro dovere”. Amici di costì ci hanno appena inviato questo severo commento di Enrico Peyretti sulle cose di casa vostra. Noi possiamo solo aggiungere che lo condividiamo pienamente.

 

O Sapienza, sei uscita dalla bocca dell’Altissimo, hai raggiunto i confini dell’universo, tu con forza e tenerezza hai guidato questo mondo da te tutto ordinato, vieni a mostrare il cammino santo della prudenza, che un giorno hai aperto al giusto. Vieni, o Figlio di Maria, vieni Sapienza del cielo. Quanta sete, quanta attesa, quando viene, quando viene quel giorno?”.  Noi siamo portati a dimenticare troppo facilmente che quella “sapienza” che esce dalla bocca dell’Altissimo, è la sapienza della croce, che è assoluta idiozia per il mondo. Eppure, se arriveremo mai ad incontrare Dio (e Lui si farà, sì, incontrare), accadrà solo dove Lui si è fatto povero ed è rimasto nudo, senz’altra protezione che la nostra, se vorremo offrirgliela. Stasera, la novena, era a casa di Alvino, che abita da solo, da quando ha perso l’anziana madre, dona Apolónia. Ma lui dice che non si è mai soli. C’è Dio con noi. Che ci aiuta a cavarcela anche senza l’uso di un braccio, com’è capitato a lui a seguito di un’emorragia cerebrale.     

 

Beh, abbiamo parlato di “Sapienza”, e, nel congedarci, scegliamo di proporvi un brano di Jalâl âlDin Rûmi, tratto dalla prefazione al secondo volume del suo “Mathnawî” (Tascabili Bompiani), in cui anch’egli ne parla nella sua prospettiva. È questo, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Se tutta la Sapienza Divina fosse resa nota al Suo servo, il servo per le provvidenze di quell’azione sarebbe lasciato senza la possibilità di compiere l’opera: l’infinita Sapienza di Dio annullerebbe la sua comprensione ed egli non si impegnerebbe più in quell’azione. Perciò Dio l’Eccelso fa di una piccola parte della Sua infinita Sapienza un cavigliotto al naso di quello e lo guida verso l’azione, poiché se Egli non desse alcuna informazione riguardo a quei benefici, l’altro non agirebbe affatto, poiché la motivazione nasce dai vantaggi per gli esseri umani, e per questo dunque noi agiamo; mentre se Egli riversasse su di lui la sapienza di quella azione quel tale sarebbe ancora incapace di agire. Proprio come un cammello: non va se non ha un cavigliotto al naso, e se il cavigliotto è troppo pesante se ne rimane accucciato. Non v’è nulla di cui Noi non si abbia il deposito, e Noi facciamo scendere ciò in misura determinata [Corano 15, 21]. Senza acqua, la terra non diventa un mattone, né diventa un mattone se vi è troppa acqua. Egli ha innalzato il cielo. Ha istituito la bilancia [Corano 55, 7]. Egli dà ogni cosa con la bilancia, non senza calcolo ed equilibrio, salvo a quelli che sono stati tramutati dallo stato di creatura esistenziale, e sono quelli descritti in: Dio concede a chi Egli vuole, senza restrizione [Corano 2, 212], benché chi non ha provato non sappia. Uno ha chiesto: “Che cos’è l’amore?”. Ho risposto: “Lo saprai quando sarai diventato me”. L’amore è un sentimento che non calcola. Per questo motivo è detto che era realmente l’attributo di Dio e irreale per quanto riguarda il Suo servo. (Jalâl alDîn Rûmi, Mathnawî, II, Pref). 

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-17T23:01:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo