Giorno per giorno – 14 Dicembre 2010

Carissimi,

“In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno  pentiti per credergli” (Mt 21, 31). Se Gesù dice: in verità vi dico, è dogma di fede! Bisogna credergli. E non sta parlando di chi va in paradiso, ma di chi rende possibile l’accadere del Regno, il Suo regno, qui sulla terra. E “il regno di Dio è pace e giustizia” cantiamo noi, è dedizione e servizio. Niente a che spartire con l’indecoroso mercato di voti, di cariche e di dignità che caratterizza spesso le istituzioni pur chiamate a rappresentare con onore e competenza le richieste che provengono dalla società civile e le risposte che il potere politico offre loro. Non è un caso che Gesù stesse parlando ad esponenti delle gerarchie clericali e a notabili della politica (v.23), soggetti a cui più facilmente può capitare – dietro un ossequio ormai solo formale e interessato alla religione (come il primo figlio del racconto di Gesù) – di soccombere alla tentazione di giocarsi il tutto in vista dei propri interessi. E troppo ciechi, sordi e superiori a tutto e a tutti, per sentire diretto a sé qualsiasi appello alla conversione. Tutto bene, ma dobbiamo stare attenti. Ciò che Gesù rimproverava a quelli, è parola che riguarda anche noi. Stasera, a casa di Rosária, ci dicevamo che egli non sta tessendo l’elogio dell’attività di pubblicani e prostitute, di quando, cioè, anch’essi facevano mercato di qualcosa (solo, magari, più in piccolo di quanto non succedesse agli altri). Sta lodando, invece, la capacità che essi dimostrano – loro che hanno provato sulla loro pelle disprezzo, emarginazione, esclusione – di convertirsi alla logica del Regno. Ebbene, Lui si aspetta che anche noi, fino a ieri, o ancor oggi, prigionieri dei nostri “istinti egoisti” e del nostro tornaconto – quelli dello stizzoso “no, non ne ho voglia” del figlio minore della parabola (Mt 21, 30) -, una volta raggiunti da quel richiamo,  semplicemente,  gli si creda, ci si penta e si parta. Per vivere finalmente la Parola della misericordia, del dono e del perdono, che segnala l’avvento del Regno. Sì, Avvento.     

 

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria di Giovanni della Croce, contemplativo e maestro della fede, e di Catherine Kolyschkine de Hueck Doherty,  mistica.

 

14_JO_O_DA_CRUZ2.JPGJuan de Yepez y Alvarez, o, come lo si conosce noi, Giovanni della Croce, era nato a Fontiveros presso Avila (Spagna), nel 1542, ed era entrato poco più che ventenne nel Carmelo, in un tempo in cui la vita monastica era assai rilassata. Dopo gli studi di filosofia e teologia a Salamanca, fu ordinato sacerdote nel 1567 e, in quello stesso anno, conobbe Teresa di Gesù, con cui iniziò a collaborare in vista della riforma del Carmelo. Questo non mancò di causargli problemi e perfino l’esperienza della prigione. Fu in questo periodo che egli scrisse alcune delle sue più belle poesie. Le sofferenze che conobbe lo portarono a scoprire il mistero della croce e ad avanzare sul cammino della più alta contemplazione. Cammino che egli descrisse nelle sue opere di teologia spirituale: La Salita al monte Carmelo, La Notte oscura dell’anima, Il Cantico spirituale, La Fiamma viva di amore. Morì a quarantanove anni, nella notte tra il 13 e il 14 dicembre 1591 a Ubeda. Al centro del suo insegnamento pose l’unione per grazia dell’uomo con Dio, per mezzo di Gesù Cristo, in un itinerario che prevede le tappe della via purgativa, illuminativa e unitiva. Per arrivare al Tutto, che è Dio, occorre che l’uomo dia tutto di sé, non con uno spirito di schiavo, ma di amante. Disse: “Nella sera della tua vita sarai esaminato sull’amore”, e “Dove non c’è amore, metti amore e ne ricaverai amore”.

 

14 Catherine Doherty.jpgCatherine Kolyschkine era nata a Nizhny-Novgorod, in Russia, il 15 agosto 1896 da una famiglia aristocratica. Sposa a quindici anni del cugino, il barone Boris de Hueck, durante la prima Guerra mondiale fu al fronte come infermiera. Dopo la rivoluzione bolscevica, Catherine e Boris emigrarono dapprima in Inghilterra e poi, nel 1921, a Toronto, in Canadà, dove entrambi si adattarono a svolgere mansioni umili e sottopagate per sopravvivere e per mantenere il figlio George nato nel frattempo.  L’inatteso affermarsi di Catherine come conferenziera di successo, se portò un nuovo benessere alla vita familiare, provocò tuttavia la crisi del matrimonio della coppia, che ottenne il divorzio e, successivamente, il riconoscimento di nullità.  La prosperità recuperata generò una nuova e più profonda insoddisfazione nella donna, in cui echeggiavano incessantemente le parole di Gesù: “Vai, vendi tutto ciò che possiedi e dá il ricavato ai poveri, poi vieni e seguimi”. Fu così che Catherine decise di vendere tutte le sue proprietà e, dopo avere provveduto il necessario al figlio, si recò a vivere una vita nascosta negli slums di Toronto. In seguito si spostò a New York, dove ad Harlem fondò la Casa dell’Amicizia, per lottare insieme alla popolazione nera contro il peccato del pregiudizio razziale, dello sfruttamento economico e dell’ingiustizia sociale. Conobbe e ricevette sostegno da Dorothy Day e verso di lei si sentirà debitore il giovane Thomas Merton, in seguito trappista e maestro spirituale di molte generazioni di cristiani impegnati. Nel 1943 Catherine sposò il giornalista Eddie Doherty. Nel 1947  i due si trasferirono a Combermere, nell’Ontario, dove cominciarono a lavorare con i braccianti e i contadini poveri della regione. Da quell’esperienza nacque Madonna House, una comunità in cui confluirono uomini e donne, laici e presbiteri, desiderosi di vivere in comune i valori della solidarietà, della povertà e della preghiera. Nel 1955, Catherine e Eddie fecero voto perpetuo di celibato e, nel 1969, Eddie fu ordinato prete secondo il rito cattolico melkita. Morì nel 1975. Catherine gli sopravvisse fino al 14 dicembre 1985, giorno della sua morte, avvenuta dopo una lunga malattia.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Sofonia, cap.3, 1-2.9-13; Salmo 34; Vangelo di Matteo, cap.21, 28-32.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

E, per stasera questo è quanto. Noi ci congediamo, offrendovi in lettura un brano, tratto dalla “Salita del Monte Carmelo” di Giovanni della Croce. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

È certo che Cristo al momento della morte fu annientato anche nell’anima, quando fu lasciato senza conforto e sollievo alcuno, abbandonato dal Padre nella più profonda aridità affettiva. Allora egli sentì il bisogno di gridare: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,46). Questo fu l’abbandono più desolante, a livello affettivo, da lui provato durante la sua vita. In esso, però, compì l’opera più grande di tutta la sua vita, quella che sorpassa i miracoli e ogni altro evento compiuto sulla terra e in cielo, cioè la riconciliazione del genere umano, la sua unione con Dio per mezzo della grazia. Come dico, tutto questo accadde nel tempo e nel momento in cui nostro Signore toccò il massimo dell’annientamento: nella stima degli uomini, che vedendolo morire, anziché apprezzarlo, si burlavano di lui; nella natura, per mezzo della quale si annientò morendo; nel sostegno e nel conforto spirituale del Padre, che in quella circostanza lo abbandonò, affinché pagasse interamente il debito e unisse l’uomo a Dio, lasciandolo annientato e ridotto quasi a nulla. Davide dice di lui: Ad nihilum redactus sum, et nescivi: Ero ridotto un niente e non capivo (Sal 72,22). Comprenda, perciò, l’uomo spirituale il mistero della porta e della via di Cristo per unirsi a Dio e sappia che quanto più per amor suo si annienterà, nelle sue parti sensitiva e spirituale, tanto più si unirà a Dio e più grande sarà la sua opera. […] Non voglio dilungarmi oltre su questo argomento, anche se non smetterei mai di parlarne, perché vedo che Cristo è assai poco conosciuto da coloro che si considerano amici suoi. Li vediamo, infatti, cercare in lui dolcezze e consolazioni e amare molto se stessi, piuttosto che cercare le sue amarezze e la sua morte, segno di coloro che lo amano molto. Parlo di quelli che si ritengono suoi amici, non degli altri che vivono lontano e separati da lui, grandi letterati, potenti e tutti gli altri che vivono là nel mondo, preoccupati di soddisfare le loro ambizioni e le loro manie di grandezza, perché di costoro posso dire che non conoscono Cristo e che avranno una fine, per quanto buona, molto amara. Non parlo di loro in questo scritto. Di essi si parlerà nel giorno del giudizio, perché costoro soprattutto avevano il dovere di annunciare la parola di Dio, essendo stati da lui posti in alto dinanzi agli uomini per cultura e dignità. (Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 7: 11-12).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 14 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-14T23:47:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo