Giorno per giorno – 04 Dicembre 2010

Carissimi,

“Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità” (Mt  10, 1). Questo è il segnale che si è dei suoi. Se no, stiamo solo giocando alle belle statuine. Eppure, a prima vista, parrebbe inconcepibile che questo potere sia dato ai Dodici, scelti rozzi e ignoranti,  e, con loro, ai credenti di ogni tempo. Nel nostro, poi, se possibile, anche di più, dato che ha professionalizzato ogni cosa, compresa la diagnosi e la terapia dei “cattivi spiriti” che ci abitano, affidate alla psicoanalisi e agli altri rami delle scienze psicologiche, e quelle dei nostri malanni, riserve di caccia della classe medica e, sempre più e soprattutto, delle assicurazioni mediche (che “assicurano” in primo luogo i loro margini di profitto). Gesù, contrariamente a qualche inverosimile ipotesi avanzata, non apre nessuna scuola per aspiranti terapeuti, non rivela ai suoi tecniche di cura e neppure formule di esorcismo apprese con chissà quale stregone; comunica invece loro il segreto della compassione che guarisce. Che consiste nel mettersi in ascolto, prestare attenzione, o, per citare uno di cui diremo tra poco, entrare in “un dialogo che coinvolge l’orecchio, ma anche la vista: ti do me stesso attraverso le pupille dei miei occhi”. Qui da noi è comune dire che, anche chi non ha niente da offrire, ha sempre almeno un po’ di tempo e la possibilità di una parola amica. E che questa, spesso, cura più delle medicine. E se non guarisce, aiuta. Già, il tempo. Sempre che non si resti prigionieri di una mercificazione e monetarizzazione del tempo, del tipo “il tempo è denaro”, “il mio tempo è prezioso” o “non posso perder tempo”. Quanto meno con te. Per cui, scusami tanto. Ed il regno di Dio è già sparito all’orizzonte. Altro che “avvento”, allora: è la Sua dipartita, il Suo allontanamento.

 

La memoria di oggi cadrebbe in realtà due giorni fa. Se la mettiamo qui, è solo per darle un rilievo maggiore, dato che oggi abbiamo un po’ più di spazio. Noi ricordiamo Ivan Illich, profeta della speranza. Lui avrebbe detto “uomo epimeteico”. Che è la stessa cosa, solo un po’ più difficile.

 

04 IVAN ILLICH.jpgIvan Illich era nato a Vienna il 4 settembre 1926 da padre croato e cattolico,  e da madre ebrea sefardita. Nel 1941, a causa delle leggi razziali, con la famiglia lasciò l’Austria e si trasferì a Firenze, dove completò gli studi e dove maturò la vocazione al sacerdozio. Dopo gli studi teologici all’Università Gregoriana, fu ordinato prete nel 1951. Assegnato alla diocesi di New York, svolse per alcuni anni il suo ministero in una parrocchia a forte presenza di immigrati portoricani. Amico di Erich Fromm e di Jacques Maritain, nel 1956 fu nominato prorettore dell’Università Cattolica di Portorico, incarico che dovette lasciare nel 1960 per le crescenti incomprensioni con la gerarchia cattolica locale, incapace di una vera inculturazione in una società latinoamericana come quella portoricana. Nel 1961 creò a Cuernavaca, in Messico, il Centro Interculturale di Documentazione (CIDOC), con la finalità di meglio preparare i preti destinati alle missioni in America latina. Illich fu giudice sufficientemente severo per rimandarne a casa la metà, giudicandoli incapaci di rinunciare alla cultura consumista della società industriale nordamericana. Partendo da un’ispirazione radicalmente cristiana, denunciò con convinzione la politica colonialista dell’Occidente. Nel 1968, Illich venne chiamato a Roma per rispondere a un processo intentatogli dal Sant’Uffizio, a causa di alcune sue critiche all’istituzione. Benché ne uscisse prosciolto, nel febbraio del 1969 lo stesso dicastero romano vietò ai preti di seguire i corsi del CIDOC. Due mesi dopo, in una lettera aperta pubblicata dal New York Times, Illich rendeva pubblica la sua rinuncia a tutti i suoi titoli, benefici e servizi ecclesiastici. Non chiese la riduzione allo stato laicale. Restò prete incardinato nella diocesi di New York, conservando l’impegno alla preghiera quotidiana del breviario e mantenendo in tutti gli anni seguenti, fino alla morte, una fortissima tensione morale e religiosa. Dal 1980, Illich fece molti viaggi, dividendo il proprio tempo tra gli Stati Uniti, il Messico, e la Germania, denunciando il neopaganesimo nostro contemporaneo “che ha trasformato la persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio, in un essere larvale pieno di bisogni decisi e risolti da esecutori di regolamenti e da tecnostrutture” e additando la necessità di una profonda deistituzionalizzazione della società e di una decrescita economica, in vista di una ritrovata convivialità. Colpito da un tumore al volto, che lo tormentò per quasi vent’anni, preferì cercare di curarlo con metodi tradizionali, senza successo. Morì il 2 dicembre 2002, al suo tavolo di lavoro. Ad un amico che poco tempo prima gli aveva chiesto a bruciapelo: “Ivan, credi in Dio?”, aveva risposto: “Dio danza sul mio naso, da sempre. Se non credessi in Dio niente nella mia vita avrebbe senso”.

 

I testi che la liturgia odierna propone  alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.30, 19-21. 23-26; Salmo 147; Vangelo di Matteo, cap.9, 35 – 10, 1. 6-8.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Nel gennaio 1978, Ivan Illich trascorse un periodo di meditazione nella capanna dove aveva vissuto Gandhi nell’ashram di Sevagram (Maharashtra, India). La riflessione che ne scaturì è raccolta in un breve testo dal titolo “The Message of Bapu’s Hut”, di cui troviamo la traduzione nel sito di altraofficina.it. Nel congedarci, ve ne proponiamo un brano come nostro   

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’uomo comune comprende in pieno che i mezzi giusti lo porteranno al fine giusto. Sono soltanto coloro che hanno interessi costituiti che si rifiutano di comprendere. I ricchi non vogliono capire. Quando dico ricchi mi riferisco a tutti quelli che posseggono “articoli domestici” nella vita, che non sono a disposizione di tutti. Si tratta di “articoli domestici” per vivere, mangiare e spostarsi; il loro modello di consumo è tale da aver cancellato la capacità di comprendere la verità. A loro risulta difficile comprendere e assimilare la proposta di Gandhi. La semplicità non ha alcun significato per loro. Sfortunatamente la loro condizione non permette di vedere la verità. La loro vita è diventata troppo complicata perché riescano a uscire dalla trappola in cui sono caduti. E ciò accade perché hanno perso il contatto con lo spirito di questa realtà. […] Dobbiamo capire che gli oggetti ed i beni superflui che un uomo possiede riducono la sua capacità di ricevere felicità dall’ambiente circostante. Per questo Gandhi disse ripetutamente che la produttività deve mantenersi nei limiti del desiderio. Il modi di produrre attuale non ha limiti e aumenta senza inibizioni. Tutto questo è stato tollerato fino ad oggi, però è arrivato il momento in cui l’uomo deve comprendere che dipendere sempre più dalle macchine significa avanzare verso il suicidio. Il mondo civilizzato, in Cina o America, ha iniziato a comprendere che, se vogliamo il progresso, non lo raggiungeremo per questa strada. L’uomo deve rendersi conto che, per il bene dell’individuo e della società è meglio che la gente conservi per sé solo ciò che è sufficiente per le sue necessità immediate. Dobbiamo cercare un metodo in cui questo pensiero possa esprimersi, al fine di comprendere i valori del mondo attuale. Questo cambiamento non si potrà produrre per la pressione del governo o attraverso istituzioni centralizzate. È necessario che si crei un’opinione pubblica che permetta alla gente di comprendere  gli elementi fondamentali della società. […] La capanna di Gandhi mostra al mondo come la dignità dell’uomo comune possa essere innalzata. Allo stesso tempo è un simbolo della felicità che possiamo ricevere dalla pratica dei principi di semplicità, servizio e verità. (Ivan Illich, Il messaggio della capanna di Gandhi).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-04T23:10:00+01:00da fraternidade
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