Giorno per giorno – 05 Dicembre 2010

Carissimi,

“Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: Abbiamo Abramo per padre! Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo” (Mt 3, 7-9). Sono le parole aspre e minacciose che Giovanni Battista rivolge a farisei e sadducei – a quanti cioè erano espressione della pietà popolare e ai sostenitori della gerarchia sacerdotale – che pure erano venuti a ricevere da lui il battesimo. Luca, nel testo parallelo, dice invece che queste parole erano rivolte a tutta la folla, indistintamente  (cf Lc 3,7). Ed è curioso questo fatto. Perché uno si aspetterebbe che stramaledicesse magari gli assenti, atei, mangiapreti, agnostici, indifferenti. E che chi si è messo in viaggio per il deserto – senza trasporti di lusso né con la previsione di hotel cinque stelle – fosse almeno gratificato da un “bravi ragazzi, a voi andrà tutto bene!”. E invece no: chi vi ha fatto credere di poter sfuggire dall’ira imminente? E l’ira non è attributo di Dio, come il lettore soprattutto dell’Antico Testamento sarebbe portato a credere, ma è la conseguenza della Sua assenza. L’ira di Dio è il disordine intrinseco delle cose e la violenza che si scatena negli eventi, quando, in quelle e in questi,  viene meno il significato di Dio, che è la cura, la compassione, la liberazione dal male come principio unificatore e regolatore della realtà. Insomma, Giovanni Battista è come se dicesse: se è solo per farvi battezzare che siete venuti, senza decidere solennemente di impegnarvi per trasformare le relazioni umane, potevate anche starvene a casa. Vi risparmiavate almeno la fatica, sempre che sia fatica certo turismo religioso. Battezzàti, il buon Dio è capace di suscitarne anche da queste pietre! “Fate dunque un frutto degno di conversione!”. Dove il frutto capace di testimoniare la trasformazione avvenuta in noi, da figli e seguaci del serpente a figli di Dio, è il diverso sguardo portato sul fratello, nei confronti del quale e con il quale siamo chiamati ad essere “facitori di pace”. Senza di ciò, avrà ragione Giovanni a riversarci addosso le espressioni della sua indignazione. Non era proprio un tipino tranquillo, lui!

 

I testi che la liturgia di questa 2ª Domenica d’Avvento propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.11, 1-10; Lettera ai Romani, cap. 5, 4-9; Vangelo di Matteo, cap.3, 1-12.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Il nostro calendario ecumenico ci porta oggi la memoria di Matthew Lukwiya Gulu, martire della carità in Uganda; dei Martiri ebrei durante la peste nera (1348-1350); e quella di Srî Aurobindo Ghose, mistico indiano.

 

05 MATTHEW LUKWIYA.jpgMatthew Lukwiya Gulu era nato il 24 novembre 1957 a Kitgum, in una famiglia anglicana, profondamente religiosa. Studente particolarmente dotato, risultò primo della sua scuola, alla fine delle elementari; primo del Nord Uganda alla fine delle medie e primo del Paese alla fine delle superiori. Laureatosi in medicina all’Universitá di Makerere, fu chiamato alla direzione del St. Mary’s Hospital di Lacor da Lucille e Piero Corti, fondatori di questa prestigiosa istituzione in campo sanitario. Specializzatosi in Pediatria tropicale a Liverpool e poi, in Sanità pubblica, a Kampala, fu a partire dall’ottobre del 2000, quando scoppiò l’epidemia di ebola, che diede il meglio (anzi tutto) di sé. In ventiquattro ore dalla prima segnalazione, l’ospedale di Lacor, sotto la sua guida, allestì un reparto di isolamento che divenne subito operativo, potendo contare sul generoso coinvolgimento del personale infermieristico, per lo più giovani uomini e donne, nella piena consapevolezza del rischio che questo significava. Molti di essi vi lasciarono infatti la vita, come lo stesso dott. Lukwiya. Il quale, una settimana prima di ammalarsi, così si rivolgeva ai suoi collaboratori: “Possiamo essere stanchi, avviliti per la morte di persone care, possiamo avere paura in quanto persone umane e possiamo considerare, in ogni momento, la possibilità di andarcene. Abbiamo la libertà di scegliere, nessuno ci può trattenere contro la nostra volontà. Allora riposerebbe il nostro corpo, ma non il nostro spirito. Sapremmo che potevamo offrire un aiuto a chi era disperato e non l’abbiamo fatto. Se io lasciassi in questo momento, non potrei più esercitare la professione medica nella mia vita. Non avrebbe più senso per me”. Matthew Lukwiya morì il 5 dicembre 2000. Solo un anno prima aveva deciso, seguendo in questo la moglie Margaret, di passare dalla chiesa anglicana ad una chiesa evangelica pentecostale. Chiese tuttavia di essere sepolto nell’ospedale, davanti alla  grotta della Madonna di Lourdes, accanto a Lucille Corti, che aveva dato la vita per curare i malati di Aids.     

 

05 MARTIRI EBREI.jpgFu un’epidemia tremenda quella che colpì l’Europa a metà del sec. XIV , provocando qualcosa come venti milioni di morti. Ignorando le reali cause della peste (le pulci dei ratti giunti con i mercantili provenienti dall’Oriente), vi fu chi, usando l’arma della superstizione e del fanatismo, additò i colpevoli nella minoranza ebrea, accusata di avvelenare i pozzi al fine di farla finita con il nemico cristiano. Un’ondata antisemita si scatenò e si diffuse presto in tutta Europa, dapprima in Francia e Spagna, poi in Svizzera e Germania. Inutilmente il papa Clemente VI denunciò le false accuse mosse agli ebrei, condannando con fermezza gli eccidi. Il 5 dicembre 1349 questi culminarono con il massacro, a Norimberga, di 500 ebrei, torturati, sgozzati e arsi vivi.    

 

05 AUROBINDO.jpgNato il 15 Agosto 1872 a Calcutta (India), Aurobindo venne mandato, all’età di sette anni, a studiare in Inghilterra. Tornato in patria nel 1893, presto si coinvolse nella lotta politica contro il potere coloniale, il che gli costò la condanna ad un anno di carcere. Quest’anno di isolamento forzato gli fece capire che la lotta anticoloniale è solo un aspetto di un problema più vasto: la trasformazione della natura umana. Uscito di prigione, ancora perseguitato e spiato dalla polizia britannica, si trasferì a Pondicherry, nell’India francese, dove giunse nel 1910. Qui trascorse il resto della vita nell’ashram che si formò progressivamente intorno a lui, sotto la supervisione di “Mère”, Mirra Alfassa, una francese giunta a Pondicherry nel 1920. I suoi lavori e i suoi scritti – composti per la maggior parte tra il 1914 e il 1920 – comprendono poemi, commedie, saggi filosofici e un’incredibile quantità di lettere, nelle quali Aurobindo cercò di spiegare ai suoi discepoli ciò che faceva nel silenzio della cameretta, in cui restò praticamente confinato per 23 anni, dal 1927 fino alla morte, avvenuta il 5 dicembre 1950. Nel frattempo l’ashram andò sviluppandosi rapidamente, diventando presto un grande centro di spiritualità, la cui influenza si estese presto a  tutto l’Occidente.  Srî Aurobindo scrisse: “Chi cerca Dio, non si limita a formulare idee, cerca di metterle in pratica. Il suo fine consiste nel raggiungere la vita divina, non nell’elaborare teorie su di essa”. Il principio in grado di condurre a ciò è il dono di se stessi, “in forza del quale si passa da una gioia minore ad una felicità senza confini e consapevole”. “Nessuna salvezza può essere raggiunta al prezzo di sottrarci all’amore di Dio nell’umanità, impedendoci di offrire al mondo quell’aiuto che gli possiamo dare. Se necessario insegniamo ciò: Meglio l’inferno con tutti i nostri fratelli infelici che una salvezza solitaria!”.

 

05 MOZART.jpgBeh, probabilmente non era proprio quello che si dice uno stinco di santo, ma dobbiamo riconoscere che, se non altro, i doni ricevuti, li ha messi abbondantemente a frutto. Così, ricordiamo anche lui, Johannes Chrysostomus Wolfgangus Gottlieb (o Theophilus), o anche soltanto Wolfgang Amadeus (che è “Theophilus” latinizzato) Mozart. Che nacque a Salisburgo il 27 gennaio 1756 e morì trentaseienne il 5 dicembre 1791, chiamato prematuramente a deliziare con la sua musica le schiere di angeli e santi del cielo e soprattutto Lui, che dev’essere un grande intenditore. Dopo aver allietato i suoi contemporanei e un numero non ancora finito di generazioni che gli han tenuto seguito.

 

Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione di Sri Aurobindo, tratta dal suo “Lo Yoga delle Opere divine” (Ubaldini). Che è per oggi il nostro  

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il Maestro delle nostre opere rispetta la nostra natura mentre la trasforma; agisce per mezzo di essa e non secondo un capriccio arbitrario. Questa nostra natura imperfetta contiene i materiali della nostra perfezione, anche se incoerenti, mal collocati, in disordine e alla rinfusa. Tutti questi materiali devono essere pazientemente perfezionati, purificati, riorganizzati, non fatti a pezzi, massacrati o mutilati, e nemmeno cancellati con una costrizione o una negazione pura e semplice. […] I nostri errori contengono la sostanza di una verità che tenta rivelarsi alle possibilità della nostra incerta intelligenza. L’intelletto umano sopprime l’errore, e con esso la verità, sostituendoli con una mezza verità ed un mezzo errore; la Saggezza divina lascia che continuiamo nelle nostre topiche fino al momento in cui saremo capaci di giungere alla verità nascosta e protetta dall’involucro che la nasconde. I nostri stessi peccati sono passi mal diretti di un Potere che cerca e ha come fine, non il peccato, ma la perfezione; qualcosa che potremmo chiamare la virtù divina. Sono in molti casi i veli di una qualità che dev’essere trasformata e liberata dal brutto e impuro travestimento, e che tuttavia nella provvidenza delle cose non  avrebbe avuto ragione d’esistere se non fosse a suo modo necessaria. Il Maestro delle opere non è un maldestro confusionario, né un testimone indifferente; non è verosimile che perda il suo tempo col lusso di inutili mali. È più sapiente della nostra ragione e più saggio della nostra virtù. (Sri Aurobindo, Lo  Yoga delle Opere divine).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 05 Dicembre 2010ultima modifica: 2010-12-05T23:59:00+01:00da fraternidade
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