Giorno per giorno – 17 Novembre 2010

Carissimi,

“Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro (Lc 19, 11). Strana questa introduzione al brano evangelico, ma vale la pena di prestarvi attenzione, perché è probabilmente lì la chiave per intenderlo. Coloro che stavano ad ascoltare  sono quei “tutti” che avevano appena finito di criticare Gesù per essersi alloggiato a casa di Zaccheo (Lc 19, 7). Ed è proprio questo atteggiamento che convince Gesù dell’abisso che esiste tra la manifestazione del Regno di cui Lui è portatore e che sta per avere il suo epilogo a Gerusalemme e quella che invece  “essi” si aspettano. Che, quest’ultima, non è poi molto diversa da quella che ancor oggi, così spesso, immaginiamo anche noi. Incline com’è al gusto della provocazione, Gesù costruisce la sua parabola, fondendo insieme due racconti, ispirati presumibilmente ad un fatto storico di qualche decennio prima: il viaggio a Roma di Archelao, figlio di Erode il Grande, per ricevere dall’imperatore la ratifica della sua successione al trono del padre. E ci vuole tutta la fantasia di Gesù per disegnare la vicenda del Regno di Dio sulla filigrana dei fatti luttuosi che avevano visto protagonista l’ultimo re di Giudea. Ma tant’è, Gesù già in altre occasioni aveva preso spunto da personaggi negativi (il giudice ingiusto, l’amministratore infedele, i padri cattivi che sanno dare cose buone ai figli) per esprimere le realtà buone del regno, e anche questa volta dà la stura alla sua creatività, lasciando, c’è da pensare, i suoi uditori, di allora ma anche di oggi, tra lo scandalizzato e lo sbalordito. Dunque, la vicenda è quella di un re in attesa di investitura ufficiale che non incontra il favore dei sudditi, i quali mandano una delegazione all’imperatore per dirgli: non vogliamo questo qui come re. E con Archelao, gli andò parecchio male, perché Augusto non prestò loro ascolto e il re, al suo ritorno in patria, gliela fece pagare. Al racconto del viaggio in un paese lontano, Gesù intreccia quello della preventiva attribuzione, da parte del pretendente al trono, di alcuni importanti incarichi  (rappresentati dalle dieci monete d’oro) a dieci suoi funzionari, in vista della tutela dei suoi interessi, ma anche per metterli alla prova e sondarne le capacità (v.13). Stasera, nella chiesetta dell’Aparecida, ci chiedevamo come tutto questo si potesse applicare a noi e alle situazioni in cui viviamo. Ed è stata Maria Ferreira, che è intervenuta per prima, a dire: le dieci monete d’oro rappresentano la testimonianza  del Regno, che Gesù ci ha affidato: la buona notizia ai poveri, la cura dei malati, la liberazione dei prigionieri, la restituzione della vista ai ciechi, la lotta per la giustizia e così via. Ed è su questa delega che ci ha attribuito che, ogni giorno, il Signore “torna” ad interrogarci. Già, cosa abbiamo fatto della testimonianza del Regno che ci ha – imprudentemente – affidato? L’abbiamo vissuta in prima persona, moltiplicandone così i segnali, o l’abbiamo sepolta nei libri, confinata nelle pratiche devozionali o nelle belle teorie o, peggio, l’abbiamo travisata, trasmettendo un’immagine di Dio severo, che prende quello che non ha messo in deposito e miete quello che non ha seminato (v.21)? Se è stato così, Lui non può che licenziarci: Bello(a) mio(a), vai a fare dell’altro, forse ti riuscirà meglio. Del resto, meglio atei (così spesso capaci di testimoniare quello stesso Regno, senza menzionarlo), che con un Dio così. Quanto  a coloro che non vogliono che Gesù (che non è propriamente la stessa cosa della Chiesa e, meno ancora, di qualche ufficio di curia, ma è la verità di Dio), quanto allora a coloro che non vogliono che Gesù regni nella loro vita, non ci sarà bisogno della vendetta di nessun Dio-Archelao, si ridurranno a ciò a cui siamo ridotti in questo mondo di esclusioni, oppressioni, odio, violenze, guerre e morti. Che, appunto, Dio non c’entra. C’entriamo noi con il rifiuto che gli abbiamo opposto.       

 

Oggi è memoria del martirio di Roque  González de Santa Cruz, Alfonso Rodrígues e Juan de Castillo, gesuiti, vittime innocenti della reazione indigena alla brutalità della violenza coloniale. Ricordiamo anche Jacob Böhme, mistico della Chiesa della Riforma, e Grace Akullo e compagne/i, martiri della carità, durante l’epidemia di ebola, in Uganda.  

 

17_ROQUE_GONZALEZ E COMPANHEIROS.JPGFiglio di genitori spagnoli, Roque González nacque nell’anno 1576 a Asunción, che in quel tempo era capitale di tutta la immensa provincia del Rio de la Plata. Ordinato sacerdote a ventidue anni, dopo circa dieci anni entrò nella Compagnia di Gesù, affascinato dal lavoro missionario che i gesuiti svolgevano tra gli indios. Il suo contatto e il suo inserimento tra le popolazioni indigene furono  facilitati per il fatto di aver studiato, da bambino, una lingua difficile come il guaranì.  Fu lui che praticamente organizzò le celebri reducciones del Paraguay, una proposta originale di evangelizzazione, basata sul tentativo di conciliare cultura indigena e cultura cristiana in un lento processo di acculturazione. Questo sistema, di cui oggi siamo in grado di cogliere i limiti, mirava comunque a proteggere gli indios dalle conseguenze funeste della conquista e dell’occupazione di quei territori da parte di colonizzatori avidi di ricchezze e di guadagno facili. Odiati da questi, i gesuiti dovettero affrontare anche l’ostilità di alcuni capi indigeni che vedevano in loro gli alleati dei crudeli sfruttatori della loro gente. Fu così che Roque cadde vittima di una violenza da cui aveva salvato molti indios indifesi. Con lui, ucciso il 15 novembre, furono martirizzati altri due giovani gesuiti, Alfonso Rodríguez (1598-1628), spagnolo di Samora e, due giorni più tardi, il 17 novembre, Juan de Castillo (1596-1628), anche lui spagnolo di Belmonte, Cuenca.

 

17 Jakob_Boehme.jpgJacob Böhme nacque il 24 aprile 1575 ad Altseidenberg,  nella Lusazia, regione della Sassonia orientale al confine con la Slesia. Appartenente ad una famiglia di contadini relativamente agiata, ricevette una rigida educazione protestante. Curò lui stesso, da autodidatta, la sua formazione culturale, aiutandosi soprattutto con la lettura di testi della tradizione mistica tedesca. A quattordici anni, fu avviato al mestiere di ciabattino e in seguito impiantò la sua attività nella cittadina di di Görlitz, dove, nel 1594, sposò Catharina Kunschmanns, con cui visse fino alla morte  e che gli generò figli e figlie. Nel 1600, Böhme ebbe un’intensa esperienza mistica, che si ripeterà nel 1610 e un’ultima volta sette anni più tardi. Tali esperienze furono da lui vissute come rivelazione dell’essenza divina. Nel 1612 scrisse la sua prima e importante opera, Morgenröte im Aufgang , l’Aurora Nascente. La diffusione del manoscritto provocò le ire di Gregorius Richter, pastore protestante di Görlitz, che l’accusò di eresia, facendolo arrestare. Rimesso in libertà, Böhme visse gli anni successivi, subendo di volta in volta l’ostracismo dei suoi oppositori o le pressioni dei suoi sostenitori, che insistevano perché riprendesse a scrivere. Cosa che egli fece negli ultimi anni della sua vita. Jacob Böhme morì il 17 novembre del 1624. La chiesa luterana, superate le antiche diffidenze, ne fa oggi memoria come di un suo figlio devoto.

 

17 GRACE AKULLO.jpgGrace Akullo era nata nel 1973 in Uganda da una famiglia lango, profondamente cristiana ed anche lei, diplomatasi infermiera professionale nell’ottobre del 1999 e prestando servizio al St. Mary Hospital di Lachor, nel distretto di Gulu (Uganda settentrionale), viveva con giovanile entusiasmo la sua fede, partecipando attivamente all’azione missionaria nell’ambiente ospedaliero e animando la liturgia, soprattutto con il canto.  Sposata e madre di due figli, alla fine d’agosto del 2000, al rientro da un ritiro spirituale di tre giorni confessò di aver scoperto la sua vocazione: essere evangelizzatrice nel mondo della sofferenza, per mostrare agli ammalati l’amore e la compassione del Padre. Gliene fu data ben presto l’occasione. A fine settembre di quello stesso anno scoppiò infatti l’epidemia di ebola e Grace, con alcune altre infermiere e infermieri, si offrì come volontaria per lavorare nel reparto infettivi, consapevole lei e gli altri di mettere così a repentaglio la loro vita. Caddero in tal modo, sul fronte della carità: Christine Ajok, 20 anni; Daniel Ayella Oboke, 24 anni; Monica Aol, 20 anni, Margaret Adata, 42 anni, madre di dieci figli, Florence, madre di una bambina, suor Pierina Asienzo, 45 anni, delle Little Sosters of Mary Immaculate, e Simon Ajok. I cui nomi e la cui testimonianza uniamo idealmente a quella  di Grace Akullo, morta come oggi, il 17 novembre del 2000. Come scriverà in  seguito, mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu: “La loro testimonianza di amore e di servizio fino all’estremo sacrificio e la loro fede in Cristo è una sfida per tutti noi. Come Dio ha rivelato la sua potenza che ha trasformato la debolezza umana dei nostri fratelli, lo può fare anche in tutti noi. Tocca a ciascuno di noi, nella sua libertà, accettare la sfida. Così possiamo cambiare il mondo”.   

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Apocalissi, cap.4, 1-11; Salmo 150; Vangelo di Luca, cap.19, 11-28.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con gli operatori di pace, quale ne sia la fede, la religione, o la scelta ideale. 

 

Bene, noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione di Jacob Böhme, tratta dal suo “Dialogo tra un’anima illuminata e una priva di luce”. Dove si dice delle conseguenze cui si va incontro abbandonando il principio e l’azione di ogni volere in Dio. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La tua volontà sarà così pronta a spezzare le tue creature e stare pura davanti a Dio, circondata dal merito di Gesù Cristo. Egli viene al Padre col figlio perduto, che cadrà davanti al Suo volto posando in questa Potenza tutte le sue potenze, rimettendogli tutti i peccati e deviazioni e trasgressioni, e non semplicemente con le parole, ma con tal forza che in esse sia l’anima intera. Il Padre eterno vedrà il tuo arrivo, tornerai a Lui penitente e umile, ed Egli spirerà in te dicendo: “Guardate, questo era il figlio perduto, una volta morto e ora vivo di nuovo”. E ti verrà incontro con la grazia e l’amore di Gesù Cristo, ti rischiarerà coi raggi dell’amore, ti avvolgerà col Suo spirito possente: così troverai la forza di confessarti a Lui e pregare con ardore. Hai ora il luogo dove combattere in vista di Dio: diverrai forte abbandonando ogni debolezza, e infine vedrai ed esperimenterai un grande miracolo. Sentirai infatti come Cristo imperverserà nel tuo inferno, spezzando quella bestia che genera desolazione e tumulto; sentirai destarsi il peccato ignoto che ti voleva trattenere e separare da Dio; sentirai bene come morte e vita combatteranno in te, e cosa siano il cielo e l’inferno. Non devi né colpire, né scostarti, ma star salda finché le tue bestie si facciano fiacche e deboli, e muoiano sfrontate. La tua volontà sarà così sempre più forte e le tue inclinazioni maligne saranno schiacciate dal loro stesso peso; la tua volontà e il tuo animo saranno in cielo ogni giorno e ogni giorno le tue creature morranno. Otterrai un nuovo animo, diverrai una nuova creatura, tornerai ad essere l’immagine di Dio e la tua immagine di larva bestiale si perderà. Tornerai alla quiete e sarai salva da questa angoscia. (Jacob Böhme, Dialogo tra un’anima illuminata e una priva di luce, 64-67).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Novembre 2010ultima modifica: 2010-11-17T23:39:00+01:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo