Giorno per giorno – 18 Novembre 2010

Carissimi,

“Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19, 43-44).  Il “Suo” tempo, non è dunque il giorno del castigo, anzi, come ci dicevamo già ieri, riflettendo sulla parabole delle mine (Lc 19, 11-27), ciò che noi chiamiamo a volte castigo è propriamente il rifiuto del suo tempo, il mancato riconoscimento della sua venuta, cioè il rifiuto ad accogliere il suo significato nella nostra vita e nella nostra storia. Tempo, venuta e significato che Gesù definisce come “la via della pace”, nascosta ai nostri occhi. E non per colpa o volere di Dio. Gerusalemme non sarà perciò distrutta per una qualche vendetta di Dio, considerando anche che, quali che fossero i responsabili della morte di Gesù, se le autorità romane o quelle ebraiche, o in diversa misura entrambe, egli avrà già pronunciato da subito e per tempo l’irrevocabile parola del perdono (Lc 23, 34). Ogni distruzione avviene, invece, per il rifiuto opposto alla “via della pace”, che è la via della cura e della salvaguardia del creato, che Dio ha tracciato per suoi figli. Ne ha parlato anche il papa all’Angelus di domenica scorsa, con un richiamo che rappresenta una piacevole sorpresa. Ma, forse non per i tanti governi dei paesi di civiltà cristiana(?), che continueranno a fare orecchie da mercante. Dopo aver menzionato “il perdurare dello squilibrio tra ricchezza e povertà, lo scandalo della fame, l’emergenza ecologica e, ormai anch’esso generale, il problema della disoccupazione”, il papa ha aggiunto: “Nell’attuale situazione economica, la tentazione per le economie più dinamiche è quella di rincorrere alleanze vantaggiose che, tuttavia, possono risultare gravose per altri Stati più poveri, prolungando situazioni di povertà estrema di masse di uomini e donne e prosciugando le risorse naturali della Terra, affidata da Dio Creatore all’uomo – come dice la Genesi – affinché la coltivi e la custodisca (cf 2,15). Inoltre, malgrado la crisi, consta ancora che in Paesi di antica industrializzazione si incentivino stili di vita improntati ad un consumo insostenibile, che risultano anche dannosi per l’ambiente e per i poveri. Occorre puntare, allora, in modo veramente concertato, su un nuovo equilibro tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali. È fondamentale per questo coltivare e diffondere una chiara consapevolezza etica, all’altezza delle sfide più complesse del tempo presente; educarsi tutti ad un consumo più saggio e responsabile; promuovere la responsabilità personale insieme con la dimensione sociale delle attività rurali, fondate su valori perenni, quali l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione della fatica nel lavoro. Non pochi giovani hanno già scelto questa strada; anche diversi laureati tornano a dedicarsi all’impresa agricola, sentendo di rispondere così non solo ad un bisogno personale e familiare, ma anche ad un segno dei tempi, ad una sensibilità concreta per il bene comune”. Dunque, ogni giorno, anche per noi, è il suo tempo, il tempo in cui si manifesta la sua grazia e si dispiega la sua salvezza. Ma può anche non esserlo, per aver preferito fare di esso il tempo della nostra sorda resistenza al suo progetto. Su cui, una volta di più, Gesù non può far altro che piangere.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro dell’Apocalisse, cap.5, 1-10; Salmo 149; Vangelo di Luca, cap.19, 41-44.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

18 Adriana Zarri.jpgAbbiamo letto nel pomeriggio della scomparsa, avvenuta la notte scorsa, a Crotte di Strambino,  di Adriana Zarri, eremita e teologa. Nata il 26 aprile 1919 a San Lazzaro di Savena (Bologna), era stata, ancora giovane, dirigente di Azione Cattolica, poi giornalista pubblicista e teologa, collaborando via via a diverse testate cattoliche, dall’Osservatore Romano, a Il Regno, Studium, Concilium, Servitium, Sette Giorni e Politica, ma anche a quelle degli altri, Avvenimenti, Micromega, Il Manifesto. Protagonista e testimone appassionata del Concilio, maturò nel 1975 la vocazione eremitica, ritirandosi a vivere in una cascina, dapprima ad Albiano, poi a Fiorano Canavese, e, infine a Crotte di Strambino, in provincia di Torino, dove è sempre vissuta in semplicità, a contatto con la natura che era, assieme al mistero cristiano, la sua fonte d’ispirazione. Critica esigente e libera della sua Chiesa, sempre per troppo amore, fu spesso missionaria “in partibus infidelium”, senza la pretesa di convertire nessuno, sapendo anzi leggere in essi una fedeltà a volte maggiore a quella di chi si dice fedele, solo, chissà accompagnata da una più grande discrezione nel nominare Dio e le cose ultime. Ha lasciato questa poesia come epigrafe: “Non mi vestite di nero: / è triste e funebre. / Non mi vestite di bianco: / è superbo e retorico. / Vestitemi / a fiori gialli e rossi / e con ali di uccelli. / E tu, Signore, guarda le mie mani. / Forse c’è una corona. / Forse / ci hanno messo una croce. / Hanno sbagliato. / In mano ho foglie verdi / e sulla croce, / la tua resurrezione. / E, sulla tomba, / non mi mettete marmo freddo / con sopra le solite bugie / che consolano i vivi. / Lasciate solo la terra / che scriva, a primavera, / un’epigrafe d’erba. / E dirà / che ho vissuto, / che attendo. / E scriverà il mio nome e il tuo, / uniti come due bocche di papaveri”.

 

Noi scegliamo di congedarci, offrendovi il brano di un suo saggio, apparso con il titolo “Una teologia della vita” nella collettanea a cura di Luce IrigarayIl respiro delle donne” (Il Saggiatore). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La passione teologica mi è nata dentro con la vita. Forse ogni esistenza del credente è teologia fatta, così come ogni teologia riflessa porta il sangue e l’umore del vissuto. Si dirà forse che questa è una teologia “impura”. Sono ben consapevole che lo è, e voglio chiaramente che lo sia. Dato, e tutt’altro che concesso, che una teologia “pura” possa esistere, si tratterebbe di una pessima teologia e non vorrei mai farla. La teologia va scavata dalla teologalità della vita di fede, e il teologo di professione è colui che sa fare questo lavoro di lettura sotterranea dell’esistenza propria e di quella degli altri. Poi le dà un nome: “sensus fidei” o qualcosa di analogo e, se è un cattivo teologo, si appaga della formula latina, dimentica il solco terragno e sanguigno dello scavo e mette tutto in biblioteca, consegnato alla carta. Talvolta la rosicchiano i topi ed è, di nuovo, il sopravvento della vita, della teologia vissuta. Meglio un topo vivente che una pagina morta. E io, autrice di pagine, so bene quanto possano essere vive e generatrici di vita, ma anche morte e portatrici di morte. Una teologia “impura”, contaminata, compromessa con il vivere è una teologia piena di passioni, di eventi, di topi, di tutto. Essa è proprio  una teologia totale perché il discorso su Dio è il discorso su tutto, tutto ciò che Dio assume in sé, redento e risorto, tutto tramite il peccato che è una sorta di vuoto metafisico, tutto tranne il nulla. Nemmeno il topo è nulla. Anche un topo ha dignità teologica, anche di lui la teologia deve dar conto. (Adriana Zarri, Una teologia della vita).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Novembre 2010ultima modifica: 2010-11-18T23:45:00+01:00da fraternidade
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