Giorno per giorno – 31 Ottobre 2010

Carissimi,

“Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”  (Lc 19, 5-6). Stamattina, nella chiesa del Monastero, forse a causa della pioggia e dei pochi ombrelli, si era proprio pochini. Non più di una ventina di persone. Sicché, ascoltando il Vangelo, veniva di pensare che Zaccheo non avrebbe avuto troppe difficoltà oggi a vedere Gesù, se mai fosse passato di lì. Senza necessità di salire su un sicomoro che non c’è o sullo jatobá che sorge invece maestoso proprio lì a fianco. Ma per arrampicarsi sul quale bisognerebbe essere scimmie. A meno che la chiesa stessa sia una sorta di sicomoro, su cui saliamo ogni volta per cercare di vederlo un po’ meglio. E la folla che ce ne ostacola la visione è ciò e chi è fuori (o, chissà, anche dentro), che ce ne tiene in diverso modo lontani. Pensavamo chi soprattutto potesse essere Zaccheo, non per fare il conto dei possibili peccati – dei poco di buono, ad essere onesti, lo siamo o lo siamo stati un po’ tutti, con l’eccezione di Divino, che il nome ed il suo riso la dicono tutta -, ma per immaginare chi sarebbe stato, questa volta, il fortunato a incontrare il Suo sguardo e a udire, inesperata, la sua voce. Zaccheo era uno che ad un certo punto deve essersi sentito in fondo al pozzo, in un vicolo senza uscita.  Forse era lui il personaggio della parabola di domenica scorsa che si era trovato inginocchiato ai piedi del letto (più probabilmente che in sinagoga) a pregare: O Dio, abbi pietà di me peccatore. Senza sapere però che fare. Poi, però, la notizia di Gesù. E quello che di lui si dice, che non disprezza i peccatori, anzi cerca la loro compagnia. Così, per un attimo, gli si era affacciata in cuore una speranza, che però aveva respinto subito come un cattivo pensiero. Di incontrarlo, per esempio. E tuttavia era sceso in strada ed era corso avanti e impacciato si era arrampicato su quell’albero  e se ne stava mezzo nascosto tra le sue fronde. Jonathas è un ragazzotto di vent’anni, con una storia complicata alle spalle, di droga, furti e quant’altro, che si era fatto i suoi nove mesi alla chácara di recupero, aveva ricevuto la cresima e se n’era tornato a casa. Pronto per una nuova vita. Poi però c’è ricascato. Da qualche settimana sta lavorando come manovale in Diocesi e sembra che fino ad ora regga. Forse, più che tutti noi, era lui che, impacciato e un po’ a disagio, cercava di incontrare lo sguardo di Gesù. Lui con tanti pesi, dei propri sensi di colpa e degli inesorabili giudizi altrui, pesi che paiono persino piegargli le spalle, e senza ancora una vera risposta, chissà se si è accorto che Gesù lo ha guardato e gli ha detto: Oggi devo venire da te. Solo da te. Anche se gli altri ti negano il saluto, io sarò tuo ospite. Poi, il resto, lo deciderai tu. Sì,  “Tu, Signore, hai compassione di tutti, perché tutto puoi, chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono” (Sap 11, 23-24). Ma noi, chiesa di Zacchei perdonati, sappiamo ogni volta ritrasmetterne lo sguardo amico, la parola che non giudica, l’invito accogliente?

 

I testi che la liturgia di questa XXXI Domenica del Tempo comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro della Sapienza, cap.11,22 -12,2; Salmo 145; 2ª Lettera ai Tessalonicesi, cap.1,11-2,2; Vangelo di Luca, cap.19,1-10.

 

La preghiera della domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

 

Oggi ricordiamo Louis Massignon, profeta del dialogo tra le civiltà, Abba Roweis, egiziano, folle di Cristo, nonché l’inizio della Riforma protestante.

 

31_MASSIGNON.JPGLouis Massignon nacque a Nogent-Sur-Marne (Francia), il 25 luglio 1883. Quand’era ancora incredulo, si appassionò per la cultura e la mistica islamica. Nel 1905 conobbe Charles de Foucauld, la cui testimonianza marcherà indelebilmente il cammino spirituale di Massignon. Nel 1908, accusato dalle autorità turche di spianoggio a favore del movimento nazionalista arabo, fu arrestato e incarcerato nelle prigioni di Bagdad. Qui, con una “visione” del patriarca Abramo, iniziò il processo della sua conversione, che Massignon fece coincidere con la data della sua prima confessione sacramentale, nella chiesa di san Giuseppe a Beirut, il 25 giugno 1908. Sposato con Marcelle Dansaert, ebbe tre figli. Trovò in Francesco d’Assisi il modello del dialogo con l’Islam e fece della non-violenza gandhiana la sua opzione di vita. Nel 1934, fondò con Maria Kahil, una cristiana egiziana, la Badaliya, una comunità che vuole contribuire alla fratellanza cristiano-musulmana, attraverso la preghiera, la carità e la santificazione personale. Nel 1949, Pio XII, ricevendolo in udienza, gli concesse di passare al rito cattolico greco-melchita, perché potesse essere ordinato sacerdote, nonostante il matrimonio. Solidale con la lotta di indipendenza dell’Algeria, non si stancò di pregare, digiunare, denunciare ripetutamente le violenze delle autorità coloniali francesi contro quel popolo. Morì improvvisamente d’infarto la notte del 31 ottobre 1962. Aveva scritto: “Esiste un popolo che nessuno veramente ama, perché nessuno veramente conosce, e che nessuno veramente conosce, perché nessuno veramente ama, e questo popolo è il popolo musulmano. Sento il dovere di dedicare tutta la mia vita per farlo conoscere e amare dai cristiani”.

 

31 s. RUEISS.jpgFreig (questo il nome che gli diedero i genitori) nacque nel 1334  nel villaggio di Miniet Yameen, sul delta del Nilo, da una famiglia di contadini così poveri che il nostro, fin da bambino, dovette aiutare il padre a guadagnarsi da vivere. Nonostante la miseria, essi possedevano un cammello, chiamato Roweis (“piccola testa”), che aveva l’abitudine, quando il ragazzino non si alzava per tempo, di accovacciarglisi vicino e passargli la testa sui piedi per svegliarlo.  Quando Freig ebbe vent’anni, scoppiò una dura persecuzione contro i cristiani. Temendo che questi arrivassero al punto di rinnegare la fede, decise di recarsi al Cairo,  per consolare e incoraggiare i cuori pavidi. Fu allora che assunse il nome del suo vecchio cammello, Roweis, e cominciò a percorrere le regioni dell’Alto Egitto. Nulla possedendo, lavorava con le sue mani, digiunava e passava le notti vegliando e pregando.  Girando nudo, con solo una cintola di cuoio in vita, passava nelle case, insegnava a pregare, benediceva le famiglie, curava i malati. Aggredito e percosso da malfattori, non si lasciava sfuggire un lamento. Spesso Cristo gli apparve, dialogando a lungo con lui. Indebolito dai digiuni e dalle privazioni, Roweis visse gli ultimi nove anni di vita , disteso sulla nuda terra. La gente continuava a recarsi presso di lui per chiedergli preghiere e consiglio. Quando presentì la fine, chiamò i suoi discepoli, lasciò loro il mandato dell’amore reciproco e li benedisse uno ad uno. Per la devozione che nutriva alla Vergine Maria, la pregò di farlo morire il giorno della sua festa. E, di fatto, egli morì il 21 babah del 1121 dell’era dei martiri (corrispondente al 18 ottobre 1404, nel calendario giuliano e,  nel nostro calendario gregoriano, al 31 ottobre).

 

31 riforma.jpgAl 31 Ottobre 1510, quindi esattamente cinquecento anni fa, risale la prima visita del monaco agostiniano Martin Lutero (1483-1546) a Roma e il suo incontro ravvicinato con la corte papale, che lo marcò dolorosamente per la frivolezza, il nepotismo e la corruzione che vi regnavano. Sette anni più tardi, il 31 ottobre 1517, Lutero avrebbe reso pubbliche le 95 tesi contro la predicazione delle indulgenze, così com’era praticata dal domenicano Johannes Tetzel. Egli non pensava ancora ad una riforma della Chiesa, né, tanto meno, sognava di provocare una divisione. Fu, infatti, solo a partire dalla sua condanna da parte del papa Leone X (1520), che Lutero, portato per una sorta di reazione a catena a posizioni ogni volta più radicali, elaborò una dottrina che mirava, nelle sue intenzioni,  a restaurare i dati autentici della fede cristiana, così come sono proposti nella Sacra Scrittura. Tale dottrina chiariva con energia rinnovata i grandi principi dell’autorita della Bibbia (sola scriptura), della giustificazione per fede (sola fides), del perdono universale (sola gratia); dell’unico mediatore (solo Christo). Al di là di ogni intenzione soggettiva, il 31 ottobre divenne la data convenzionale che segna l’inizio della Riforma protestante.

 

Dunque, è Dilma. A quest’ora, poco dopo le otto di sera, è gia stato scrutinato il 92% dei voti ed è risultata eletta lei, la candidata PT, con uno stacco di quasi dodici punti percentuali sull’avversario Serra, confermando così ampiamente i sondaggi dell’ultima ora. Siamo ovviamente soddisfatti. Ma anche troppo stanchi per aggiungere qualcosa a quanto già avevamo detto nel corso della campagna elettorale.

 

P8040606.JPGGiovedì scorso, con la donazione alla diocesi di Goiás delle strutture del Monastero dell’Annunciazione da parte della Congregazione Benedettina di Subiaco, si è ufficializzata  la chiusura di una pagina di storia, cominciata, per quel che riguarda la nostra città, nel 1977. Quell’anno, su invito di Dom Tomás Balduino, tre monaci, Filipe, Pedro e Marcelo,  erano giunti da Curitiba per dar vita a un monastero povero, inserito in un bairro di periferia, aperto all’accoglienza, all’inculturazione e a condividere la vita, i problemi, le allegrie, le lotte e le vittorie di vicini e di contadini senza terra. Più altre cose ancora, sul piano biblico, liturgico, ecumenico. Poi qualcosa, negli ultimi anni, aveva cominciato a scricchiolare e lo slancio iniziale è venuto meno. Sfortunatamente, a una crisi reale, si è cercato di rimediare stravolgendo la proposta iniziale del monastero inserito, per dare vita a un monastero tradizionale, estraneo alla cultura di qui, freddo e distaccato. Ma, con la morte dell’anziano Pedrão (che ha forse preferito andarsene con il suo sogno), non ci sono stati più i numeri su cui contare. Resterà, comunque, il monastero, un centro di spiritualità, ben  inserito nella camminata di questa Chiesa, che speriamo mantenga i tratti dell’impegno, della semplicità e dell’accoglienza di un tempo. Che molti di voi hanno conosciuto.         

 

È tutto per stasera. Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di una bella pagina dell’Introduzione all’Epistola ai Romani di Martin Lutero. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Fede non è quell’umana illusione e quel sogno che alcuni pensano essere fede. E se vedono che non ne deriva alcun miglioramento della vita né opere buone, sebbene odano parlare, e molto parlino essi stessi, di fede, cadono in errore e dicono che la fede è insufficiente, ma è necessario fare opere, divenire pii e santi. Di conseguenza se odono il Vangelo formulano qualche proprio pensiero nel cuore e dicono: “Io credo”. Stimano che questo sia vera fede; ma siccome si tratta soltanto di un pensiero umano che l’intimo del cuore non conosce, non ha efficacia e quindi non ne deriva miglioramento alcuno. La fede è invece un’opera divina in noi che ci trasforma e ci fa nascere di nuovo da Dio (Gv 1, 13). Essa uccide il vecchio Adamo, trasforma noi uomini completamente nel cuore, nell’animo, nel sentire e in tutte le energie, e reca con sé lo Spirito Santo. Oh la fede è cosa viva, attiva, operante, potente, per cui è impossibile che non operi continuamente il bene. Non chiede neppure se ci siano opere buone da compiere; prima che si chiedano essa le ha già fatte, ed è sempre in azione. Ma chi non compie tali opere è uomo senza fede, va a tastoni e cerca intorno a sé la fede e le opere, e non sa che cosa siano né fede né opere buone, eppure chiacchiera molto intorno alla fede e alle opere buone. Fede è una fiducia viva e audace nella grazia di Dio, tanto certa di questa che morrebbe mille volte piuttosto che dubitarne. E una tale fiducia e conoscenza della grazia divina rende lieti, baldanzosi, e giocondi dinanzi a Dio e a tutte le creature per l’opera dello Spirito Santo nella fede. Perciò l’uomo diviene volonteroso, senza costrizione, e lieto nel fare del bene a ognuno, nel servire ognuno, nel sopportare ogni cosa, nell’amore e nella lode di Dio che ha manifestato in lui tale grazia. È quindi impossibile separare le opere dalla fede, come è impossibile separare dal fuoco calore e splendore. Perciò guardati dai tuoi falsi pensieri e dalle chiacchiere vane, che vogliono essere intelligenti, dare giudizi sulla fede e le opere buone mentre sono sommamente stolti. Chiedi a Dio che operi la fede in te, altrimenti qualunque cosa tu voglia o possa immaginare e fare, rimarrai eternamente senza fede. (Martin Lutero, Prefazione all’Epistola ai Romani) .

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro

Giorno per giorno – 31 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-31T23:06:00+01:00da fraternidade
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