Giorno per giorno – 28 Ottobre 2010

Carissimi,

“Fratelli, voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2, 19-20). Se vogliamo parlare di evangelizzazione oggi, dobbiamo ripartire da qui. L’autore della Lettera agli Efesini sembra avesse davvero le idee chiare su ciò che aveva significato l’avventura di Gesù e su ciò che doveva perciò essere la Chiesa. Gesù è colui che fa i lontani vicini (v.13), è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro (e, da allora, ogni muro) di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (v.14). La chiesa, se è Sua,  è questo stesso dinamismo in atto. È continuo superamento delle peculiarità delle culture e delle religioni (della sua stessa religione), in vista del bene supremo, la conoscenza dell’altro, la comunione con lui, la pace: “annullando, per mezzo della sua carne, la legge (e, perciò, ogni legge) fatta di prescrizioni e di decreti – per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace” (v.13). Il principio identitario del cristiano, un po’ paradossalmente, non può costruirsi come identità statica, cristallizzata, che nuovamente separi noi dagli altri (se, infatti, Dio è Trinità, cioè è comunione, ciò che ostacola la comunione agisce contro Dio). Può dirsi e darsi, invece, soltanto in un continuo superarsi, perdersi, soccombere, morire, per la vita dell’altro. Che è l’unica verità dell’amore che Gesù ci ha insegnato: se c’è qualcuno tra noi che deve cedere, diminuire e, nel caso, morire, preferisco essere io. Perché voglio amare di più. In questo senso, la parola più alta dell’evangelizzazione in questi nostri (e non solo nostri) tempi è stata la vita e la morte del monaci di Tibhirine. Sicché non ci sarebbe davvero bisogno di creare un pontificio consiglio all’uopo. Basterebbe un pugno di coraggiosi che in ogni città, paese o continente, sapessere vivere e, se necessario, morire così. Questo è ciò che Cristo ha lasciato in eredità alla chiesa, edificata sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti: nessuno è più straniero tra di noi. Qui si giocano le radici cristiane di un popolo. Il resto sono giochini che lasciano il tempo che trovano.   

 

Oggi la Chiesa celebra la memoria di Simone Zelota  e  Giuda Taddeo, apostoli.

 

28 SIMãO APÓSTOLO.JPG28 Giuda Taddeo.jpgSimone, detto lo Zelota, originario di Cana di Galilea, appare nell’elenco degli apostoli assieme a Giuda, chiamato Taddeo. Il soprannome del primo lascia intendere che, prima di porsi al seguito di Gesù, appartenesse al partito degli “zeloti” (sostenitori della lotta armata contro l’occupazione straniera), o che, per lo meno, ne fosse stato simpatizzante. Giuda, secondo il Vangelo di Giovanni, è colui che durante l’ultima cena, a Gesù che diceva: “Ancora un po’ e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete” (v. 14,19) domanda: “Signore, perché mai ti manifesterai a noi e non al mondo?” (v. 22). Al che Gesù risponderà: Chi non ama non vive la mia Parola [e si chiude così ad ogni possibile manifestazione dell’amore] (cf v.24). Un’antica tradizione vuole che i due abbiano sofferto il martirio in Persia.

 

I testi che la liturgia  propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:

Lettera agli Efesini, cap. 2,19-22; Salmo 19; Vangelo di Luca, cap.6,12-16.

 

La preghera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Per stasera è tutto. Dell’apostolo Giuda, il Vangelo di Giovanni riporta una domanda da lui rivolta a Gesù durante l’ultima cena e la risposta che ne ebbe. Nel congedarci, vi proponiamo un breve commento che, su quel passo evangelico, fece il biblista Augustin George. Lo ricaviamo dal suo  Les venues de Dieu aux croyants”, in “Assemblées du Seigneur”, n° 51. Che è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

“Signore, com’è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo ?” (Gv 15, 22). Questa domanda di Giuda permette a Gesù di spiegare tutto il suo pensiero. Lasciando da parte ogni prospettiva escatologica, non vuole parlare che delle venute di Dio nella Chiesa e nel tempo ; esse sono riservate a chi osserva la sua parola ; sono il frutto della sua morte. “Se uno mi ama, dice, osserverà la mia parola ; e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. A prima vista, Gesù sembra non tenere in considerazione la domanda di Giuda e lo stupore dei discepoli. In realtà, gli risponde direttamente, perché annuncia la manifestazione del suo mistero e il motivo per cui il mondo non può ottenerla. Per accogliere Dio, bisogna amarlo. Tutta la tradizione biblica l’ha proclamato: la conoscenza di Dio è relazione personale, intimità, amore. Otto secoli prima di Gesù, Osea già annunciava la salvezza d’Israele come uno sposalizio, e infine nella conoscenza di Dio : “Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”. Alla fine del Vangelo, i discepoli sanno che amare Gesù consiste in primo luogo nell’ “osservare la sua parola”, nel riconoscere nel suo messaggio  le esigenze e i doni dell’amore divino, nel rispondervi con l’impegno realista e generoso di tutta la vita. A quanti lo amano così, Gesù fa la sua promessa più bella. Neppure parla dell’amore che ovviamente dà loro in cambio. Ma annuncia loro quello del Padre e il suo dono meraviglioso: il Padre e il Figlio verranno nel loro fedele; abiteranno in lui come nel loro Tempio. (Augustin George, Les venues de Dieu aux croyants).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 28 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-28T23:07:00+02:00da fraternidade
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