Giorno per giorno – 27 Ottobre 2010

Carissimi,

“Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi” (Lc 13, 29-30). Fin dall’inizio del suo ministero, Gesù aveva dichiarato apertamente a chi, già da ora,  appartiene il regno di Dio, cioè su chi si estende la sua benevola sovranità (o, forse meglio, la sua amichevole sudditanza) e si tratta dei poveri: “Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio” (Lc 6, 20). I signori del Suo regno sono loro ed è la nostra fortuna, perché loro non conoscono frontiere, non tracciano confini, non erigono barriere, né frappongono ostacoli. Così che sono correnti interminabili di persone che provengono da ogni dove, “da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno” per sedersi e saziarsi alla tavola comune. È così che accade il regno e, se Dio regna, i salvati, già qui, ora, sono un numero esorbitante, infinito. Se, invece, a prevalere sono gli istinti egoisti, la sete di dominio, di possesso, di profitto, allora quanti si illudono di salvarsi saranno inevitabilmente pochi, sempre meno, né sarà, comunque, la salvezza di Dio che avranno conosciuto, ma l’effimera salvezza mondana (quand’anche benedetta da qualche chiesa), il successo costruito sulla fame e sull’impoverimento dei più. Luca ha ben presente il rischio che corre la sua comunità e ogni comunità avvenire e ridice perciò per loro e per noi il severo monito di Gesù: non pensiate che basti ascoltare la mia parola, cibarvi della mia carne e bere il mio sangue, frequentare le vostre chiese, insomma, se non agite secondo giustizia. Secondo la mia giustizia. Che libera da ogni oppressione e sazia ogni fame. Allontanatevi da me, non vi conosco!

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Tukârâm, mistico indiano.

 

27 Tukaram x.jpgNon abbiamo grosse notizie su di lui, salvo il fatto che nacque nel 1598, a Pandharpour, nello Stato indiano del Maharastra, nella famiglia di un contadino analfabeta, appartenente alla casta dei shudra, la più umile delle caste indiane. Sposatosi, ebbe un figlio, ma perse lui e la moglie durante una grave carestia. Nonostante questa tragedia, non venne mai meno in lui la fede e l’amore nei confronti di Krishna. Scrisse innumerevoli poesie che cantano la sua devozione a lui, in forma di abhanga nella lingua Marathi. Assalito dalla frustrazione e dai dubbi, un giorno era pronto a suicidarsi, ma fu proprio allora che percepì la presenza del divino. Da quel momento la sua vita cambiò. La sua filosofia era semplice ed efficace: “Siedi in silenzio e ripeti il nome di Dio. Questo solo basta per realizzarti”. Costantemente ripeteva che le norme morali e gli insegnamenti religiosi, come lo studio dei Veda, erano solo formalità e che il fine ultimo della religione sta nella realizzazione del divino attraverso l’amore. Morì nel 1650.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Efesini, cap.6, 1-9; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.13, 22-30.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia. 

 

Dona Fia, la sposa di seu Ciato era dolorante da parecchi giorni. Pensava fosse conseguenza di una caduta e i medici di qui si erano limitati ad imbottirla di antinfiammatori. Stamattina, Valdecí e Lazinho, un po’ in dubbio sulla diagnosi, dopo una riunione di famiglia, hanno deciso di portarla a Itapuranga, a una cinquantina di chilometri da qui, dove l’attendimento medico pare decisamente migliore. Risultato: a mezzogiorno è stata operata per due ernie. Se tutto va bene, resterà internata un paio di giorni, assistita da Valdecì, che, ci diceva poco fa per telefono, passerà la notte su…  uno sgabello. E sarà una lunga notte.

 

Bene, noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una poesia  di Tukârâm, che dice la bellezza del riempirsi di Dio, ripetendo il suo nome. Che poi è la stessa spiritualità cui attinge la tradizione orientale della preghiera del Nome, così cara al nostro Pedrão e ad alcuni(e) di noi. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Colui che pronuncia il Nome di Dio mentre cammina / ottiene il merito di un sacrificio ad ogni passo. / Il suo corpo diventa un luogo di pellegrinaggio. / Colui che ripete il nome di Dio durante il suo lavoro / trova sempre la pace perfetta. / Colui che pronuncia il nome di Dio mentre si alimenta / ottiene il merito di un digiuno / pur prendendo i suoi pasti. / Anche se si dovesse dare in beneficenza / il mondo intero circondato dai mari / non sarebbe uguale il merito del ripetere il Nome. / Con la potenza del Nome / si conoscerà ciò che non può essere conosciuto, / Si vedrà ciò che non può essere visto, / Si arriverà a parlare di ciò di cui non si può parlare, / Si troverà ciò che non si può trovare. / Tuka dice: / Incalcolabile è il guadagno che deriva / Dal ripetere il Nome di Dio. // (Tukârâm, Name of God).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 27 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-27T23:07:00+02:00da fraternidade
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