Giorno per giorno – 20 Ottobre 2010

Carissimi,

“Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo” (Lc 12, 39-40). Maria do Rosário è del partito della paura. Dice infatti: è vero, Gesù sta per tornare e ce ne sono i segni, terremoti, guerre, disastri. Dobbiamo tenerci pronti. Valdecí, che stamattina è riuscita a vincere il trauma dell’ora estiva e a sgattaiolare di sotto le lenzuola, non è così convinta. Dice anzi: se dobbiamo avere paura anche di Gesù, che brutta notizia è Gesù. Sì, certo i ladri vengono a scassinarci la casa, ma lui, Gesù,  viene per forzarci il cuore. Ora, se ci si lascia vincere dal sonno, in un caso come nell’altro, si mette male per noi. Perché il ladro ci deruberà, e Gesù non troverà con chi fare festa. No, Gesù non si sogna davvero di metterci paura, vuole solo trovare in noi dei testimoni coscienziosi  e attenti, degli amici di cui fidarsi. Pietro, anche a nostro nome, gli chiede se questa parabola [della vigilanza] è solo per noi o anche per gli altri. E Gesù risponde con un’altra parabola, in cui ribadisce la centralità della categoria del servizio nella sua comunità, che è chiamata a testimoniare il regno di Dio prossimo venturo. Al suo interno e al suo esterno. E chissà che il mondo, un giorno o l’altro, ci prenda sul serio.  In questo modo, l’unica gerarchia che Gesù riesce a immaginare per noi non è quella di chi comanda, ma quella di chi dà da mangiare nel tempo dovuto. E questa è anche la funzione/missione della comunità: dar da mangiare, o, meglio, “darsi” da mangiare. Che se non facessimo questo, Lui, tornando (e non c’è bisogno di aspettare la morte o la fine del mondo, Lui torna ogni sera), ci taglierebbe in due. Come infatti, invariabilmente, noi ci si trova divisi in due, per aver proclamato e celebrato una cosa – la condivisione, il dono di sé – e praticato il suo contrario – l’arraffamento, il tutto per me.

 

Di tre che, il servizio, l’hanno vissuto sul serio e fino in fondo, facciamo oggi memoria: Raimundo Hermann, prete e martire a difesa degli indios, in Bolivia, Jerzy Popieluszko, prete e martire della Solidarietà; Soeur Emmanuelle Cinquin, straccivendola per solidarietà.

 

20 Raymond Hermann.jpgRaimundo Hermann era un prete statunitense, parroco a Marochata, in Cochabamba (Bolivia). Quando il 20 ottobre 1975 lo trovarono morto assassinato, nella sua parrocchia, aveva quarantacinque anni. Stava aiutando i contadini a organizzarsi in cooperativa per commercializzare le patate che coltivavano. Ma questo avrebbe contribuito a smantellato la rete di potenti intermediari, che avevano nelle autorità locali i loro referenti naturali. Subito dopo il fatto, il vescovo di Cochabamba emise una dichiarazione che sottolineava la dedizione pastorale del sacerdote e l’amore e la venerazione che la sua gente nutriva per lui; nel condannarne l’assassinio, chiedeva poi che si facesse prontamente giustizia. L’autore materiale del delitto fu arrestato, ma riuscì a scappare di prigione e non fu più trovato.

 

20 Jerzy_Popieluszko.jpgJerzy Popieluszko era nato in una famiglia contadina, il 14 settembre 1947, a Okopy, nella provincia di Bialystok. Ordinato prete dal cardinal Stefan Wyszynsky il 28 maggio 1972 a Varsavia, fu destinato alla parrocchia di san Stanislao Kostka, assumendo come incarico pastorale anche quello di cappellano alla Facoltà di medicina. All’agosto 1980 risale il suo coinvolgimento in Solidarnosc (Solidarietà), il movimento sindacale, nato un anno dopo la visita di papa Woytila. E fu solo per caso. I dipendenti delle acciaierie di Varsavia in sciopero avevano chiesto alla curia che un prete andasse da loro a celebrare la messa. P. Jerzy era libero e ci andò. Quella messa, di fronte alla fabbrica, dove gli operai avevano eretto una grande croce, cambiò la vita del giovane prete, che si rese conto, come del resto accadeva altrove nel mondo, sotto dittature di altro colore o sotto le false democrazie borghesi, che le lotte dei lavoratori per giustizia e libertà costituivano una vera e propria battaglia spirituale. Divenne così il cappellano dei lavoratori in sciopero. Quando nel dicembre 1981, il governo dichiarò la legge marziale e migliaia di membri e di simpatizzanti di Solidarnosc furono arrestati, l’attività di Popieluszko incluse subito l’assistenza ai prigioniri e alle loro famiglie. Nello stesso tempo, attraverso i suoi “sermoni patriottici” che attiravano folle immense, sottolineava la dimensione morale e spirituale della causa di Solidarietà.  Quando il governo dichiarò che questo non era affare della Chiesa, P. Jerzy rispose: “La missione della Chiesa è di stare con la gente, condividendone gioie e dolori”. Minacce, attentati, arresti si susseguirono, senza che egli si lasciasse intimorire. La sera del 19 di Ottobre 1984, di ritorno da un servizio pastorale, padre Popieluszko veniva rapito. Sotto la pressione popolare, il governo avviò immediatamente le indagini, che portarono in pochi giorni, il 30 ottobre, alla scoperta dei colpevoli, tre funzionari del ministero dell’interno polacco: Grzegorz Piotrowski, Wademar Chmelewski, Leszek Pekala. Rei confessi, dichiararono che la mattina del 20 ottobre, dopo aver picchiato selvaggiamente il prete, l’avevano legato, ne avevano appesantito il corpo con pietre e l’avevano lanciato ancora vivo in una cisterna.  Oggi la tomba di Popieluszko presso la Chiesa di san Stanislao Kostka è diventata meta di continui pellegrinaggi.

 

20 Soeur Emmanuelle.jpgMadeleine Cinquin era  nata a Bruxelles, seconda di tre figli, il 16 novembre 1908, da padre francese e madre belga. Nel settembre 1914, visse il trauma di assistere alla morte per annegamento del padre. In seguito confesserà: “Nell’inconscio, la mia vocazione data da quel momento. Ho cercato l’assoluto, non l’effimero”. Entrata nel 1929 tra le suore di Notre-Dame de Sion, dopo la laurea alla Sorbona, insegnò per quarant’anni a Istanbul, Tunisi e Alessandria, in scuole  che offrivano insegnamento di qualità ai figli delle classe agiate dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Nel 1971, la svolta della sua vita, con la decisione di condividere la propria vita con quella degli straccivendoli del Cairo. La religiosa lascerà l’Egitto, ventidue anni più tardi, a ottantacinque anni, facendo ritorno in Francia, per dedicarsi a una vita di preghiera e di meditazione, senza comunque abbandonare il suo aiuto a molteplici situazione di povertà in diverse parti del mondo e l’appoggio a senzatetto e immigranti irregolari nel suo Paese. È scomparsa il 20 ottobre 2008, a Callian, in Francia, quando mancava poco meno di un mese al suo centesimo compleanno.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Efesini, cap.3, 2-12; Salmo (Is 12, 2-6); Vangelo di Luca, cap.12, 39-48.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia. 

 

Bene. Oggi la piccola Giulia, una nostra amichetta di costì,  doveva sottoporsi ad una visita di controllo, che suscitava qualche apprensione. Ma è andato tutto bene. Una nostra amica di qui, che se l’è presa in carico da tempo, Maria das Dores, ha anch’essa, ora bisogno di un sostegno forte. Vediamo di darci una mano, continuando a portarle, l’una e l’altra nella nostra preghiera. Che aiuta sempre.  

 

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi alla lettura di una pagina di Suor Emmanuelle, tratta dal suo ultimo libro che ha come titolo  Confessioni di una religiosa” (Jaca Book). È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La povertà è capacità d’amore. L’amore – ogni forma d’amore – suppone una spoliazione del cuore che si riconosce quale è, incompleto. Ovunque sia e comunque sia, in ogni essere umano c’è un buco. Ho cercato di confessarlo. Ma questo buco non è un buco nero, come quei corpi celesti che inghiottono tutto. Al contrario, è apertura alla luce, all’altro e alla sua chiamata. Anche inconsciamente, ognuno attende questa chiamata. Rispondervi è sentirsi più umani, più vivi. E anche questo non finisce mai. Ogni amore è fragile, e ogni risposta deve essere reiterata. Facendo il bilancio della mia vita, constato che, ogni volta che l’esperienza del mio nulla si faceva più radicale, ogni volta maturava la risposta di un’amore più vero. Credo che l’annientamento finale, la morte, sarà anche la porta definitivamente aperta all’amore. Credo che l’amore è uno, che si riferisca a Dio o all’uomo. Coloro che amano l’uomo sono anche, sempre senza renderseno conto, degli amanti di Dio. È semplicissimo amare, perché l’amore non è un ideale perso fra le nuvole. È nella vita di tutti i giorni, nella semplicità stessa della vita. Quando dico che l’amore è più forte della morte, non dico che è un luogo diverso dall’esperienza quotidiana. Non bisogna pensare che si tratti di qualcosa di straordinario. Vedo intorno a me tantissime persone che, senza pensarci, pongono tutti i giorni atti di interesse per qualcun altro, un prossimo: un bambino, un congiunto, un collega. Ed è vero anche il contrrario: chi non ha in vita sua beneficiato, in un’occasione o nell’altra, di una mano tesa, di un orecchio attento, di un cuore aperto? Ciò non impedisce che vi possa anche essere, nelle stesse azioni, dell’egoismo esacerbato. Vi può essere dell’uno o dell’altro. Inestricabilmente unite vi sono forze di vita e forze di morte. Tuttavia, oltre la morte, tocherà soltanto a Dio separare il grano buono dal loglio, e noi ritroveremo con stupore tutti gli istanti delle nostre vite in cui abbiamo saputo uscire da noi stessi. (Suor Emmanuelle, Confessioni di una religiosa).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 20 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-20T23:31:00+02:00da fraternidade
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