Giorno per giorno – 19 Ottobre 2010

Carissimi,

“Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli” (Lc 12, 35-37).  Qualche giorno fa ascoltavamo lo sfogo di una ragazza di buona famiglia che manifestava tutta la sua insofferenza per la piccola gente di qui e per la vita insignificante che, a sua detta, essa conduce. E aggiungeva che lei, al contrario, aveva grandi ambizioni e voleva per sé il meglio della vita. Stamattina, alla preghiera, noi si era proprio pochini, per via della pioggia che si è abbattuta violenta a partire dalle ultime ore della notte, e forse anche per l’orario estivo che, da domenica, ci obbliga ad uscire di casa quando è ancora buio. E mica tutti ci fanno subito l’abitudine. Comunque noi, pochi o tanti – stamattina si era in tre come la Trinità -, si canta, si prega, si ascolta la Parola, e si condivide ciò che viene alla mente o in cuore. Così, dona Dominga, che è una bella rappresentante di questa gente piccola e senza ambizioni, fa subito: chi potrebbe immaginare Dio come qualcuno che fa sedere a tavola tutti i suoi figli e poi si mette  a servirli, uno dopo l’altro, riempiendo loro il piatto, cominciando dai più affamati fino all’ultimo, per poi ricominciare da capo, senza pensare a sé? Già, chi poteva immaginare Dio così, se non Gesù, il suo figliolo, che lo conosceva fin troppo bene!  Dona Dominga è chiaro che ci si specchia in un Dio così, anche se ora alcuni figli sono fuori casa (periodicamente, però, l’uno o l’altro vi ritorna), ma, in compenso, si sono aggiunti i nipoti. E non è così importante sedersi a tavola, dato che tra l’altro, in tal modo, si risparmia sull’acquisto di tavoli e sedie e ci si può liberamente sedere dove capita; i piatti, però, da riempire ci sono comunque sempre. Dona Dominga dice: non c’è felicità maggiore che quella di servire. E Gesù insegna che quella felicità è Dio. Che, però, mica lo capiscono tutti da subito. Solo le grandi anime. Che poi sono quelle piccole, rese tali dal dono gratuito di Dio.

 

Il calendario ci porta oggi la memoria di Daudi Okelo e Jildo Irwa, catechisti e martiri in Uganda, e quella di Aldo Capitini, maestro di nonviolenza.

 

19 OKELO E IRWA.jpgDaudi Okelo e Jildo Irwa appartenevano entrambi alla tribù Acholi, stanziata ancor oggi nel Nord dell’Uganda. Daudi era nato nel 1902 da genitori pagani e a 14 anni aveva chiesto di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana nella missione aperta dai missionari comboniani a Kitgum. Assieme a lui, ricevette il battesimo, l’Eucaristia e la Cresima, anche Jildo Irwa di quattro anni più giovane. Dopo la somministrazione della Cresima, Daudi aveva ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei catechisti. Alla morte del catechista di Paimol, un villaggio a 80 chilometri da Kitgum, Daudi chiese di essere inviato al suo posto. I missionari gli fecero presente la pericolosità di tale missione, ma il giovane insistette. Così, a fine novembre 1917, Daudi si trasferì a Paimol, accompagnato dal giovanissimo Jildo, che era stato deciso di affiancargli. I due cominciarono la loro missione, riunendo ogni giorno all’alba i catecumeni per le preghiere del mattino e l’insegnamento dei primi rudimenti di catechesi. Durante il giorno visitavano i villaggi vicini, dove altri catecumeni erano impegnati nella guardia del bestiame o nei lavori dei campi. Poi, al tramonto, ancora un tempo dedicato alla preghiera in comune. Le minacce di quanti non gradivano tali pratiche non tardarono tuttavia a manifestarsi.  La mattina del 19 ottobre 1918, prima dell’alba, un gruppo di cinque persone raggiunse la capanna dove abitavano Daudi e Jildo,  per indurli a lasciare la zona o concretizzare le minacce. Davanti al sereno rifiuto opposto, presero Daudi, lo trascinarono fuori dal recinto e lo uccisero a colpi di lancia. Poi tornarono da Jildo che protestò: “Non abbiamo fatto niente di male, ma se avete ucciso Daudi, dovete uccidere anche me, perché insieme abbiamo insegnato la parola di Dio”. Lo portarono fuori, lo trafissero con una lancia e lo finirono con una coltellatata alla testa.

 

19 ALDO CAPITINI.jpgAldo Capitini era nato a Perugia il 23 dicembre 1899 e la sua avventura esistenziale fu segnata dall’incontro con la Bibbia, la figura di Cristo, Francesco d’Assisi, Mazzini, Tolstoj e Gandhi. Nel 1924, ottenne una borsa di studio alla Normale di Pisa per la facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laureò nel 1928. Seguì la vicenda politica di quegli anni con un crescente distacco critico nei confronti del fascismo. Rifiutata la tessera del Partito Nazionale Fascista, fu allontanato, nel 1933,  dal posto di segretario della Scuola Normale, dove nel frattempo si era impiegato. Risale a quegli anni la scoperta del pensiero di Gandhi che portò Capitini a cogliere nella non-collaborazione la via della resistenza nonviolenta alla guerra, la sola forza capace di sconfiggere l’oppressione. Scelta che esige necessariamente una buona dose di amore per la persona che compie il male. Del resto, la lotta violenta alle strutture ingiuste e violente  presenta “un difetto molto grave, che per guarire il male uccide spesso il malato, e allora il male risorge in noi”. E, in ogni caso, “dove si semina morte, non può nascere vita”. La critica severa dell’istituzione ecclesiastica, di cui Capitini denunciava la perdita della carica profetica ed evangelica,  e il rifiuto, sul piano civile, della forma partito, cui imputava l’obiettivo della ricerca del potere, spiegano l’isolamento, il disinteresse e l’ignoranza in cui Capitini fu volutamente lasciato per molti anni. Nel giugno del 1944 fondò a Perugia il primo C.O.S. Centro d’Orientramento Sociale) e, successivamente, il C.O.R. (Centro d’Orientamento Religioso). Soprattutto il primo rappresentò un’esperienza fondamentale di democrazia dal basso, per la discussione dei problemi amministrativi e sociali. Dove dal basso “vuol dire esattamente di muovere dai singoli esseri, nella loro esistenza e molteplicità”. Per dare spazio a quella che lui chiamò l’omnicrazia, l’unica forma di potere in cui tutti abbiano davvero la parola e vivano in solidarietà.  Importante fu la sua attuazione sul fronte della pace. Presidente della Consulta per la pace, fondatore del Movimento Nonviolento per la Pace e del suo mensile Azione nonviolenta, nel 1961, organizzò la prima Perugia-Assisi, la marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli.  Nel 1965  ottenne la cattedra di Pedagogia all’Università di Perugia. E, nella sua città, Aldo Capitini morì il 19 ottobre 1968, per complicazioni insorte a seguito di un intervento chirurgico.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera agli Efesini, cap.2, 12-222; Salmo 85; Vangelo di Luca, cap.12, 35-38.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Bene, stasera è finalmente tornata a casa dona Nady. Influenzata e molto debole, ma, finalmente, a casa. Continuate a metterla nelle vostre preghiere per un pronto recupero. Noi ci congediamo qui, offrendovi in lettura una citazione di Aldo Capitini, tratta dal suo  Vita religiosa  (Cappelli), che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Tutte le persone, in qualsiasi parte del mondo, e quale che sia il loro vivere e il loro agire, hanno in loro la possibilità della vita spirituale: tutti sono, più o meno secondo il loro sviluppo e secondo la loro buona fede, coscienze; possono vivere e capire l’arte, il pensiero, le passioni umane, i problemi morali e sociali. Tutta l’umanità fa parte della storia senza limiti; in ogni uomo vedo che può abitare lo sforzo morale, come abita in me quando opero cercando in ogni azione il meglio sinceramente, talvolta con mio sacrificio. È bello che io non possa dire: lo spirito arriva fino a un certo punto, e basta; ed anzi tante volte vado oltre gli uomini, spingo la mia attenzione ad esseri non umani, animali, piante, sempre intorno a me. E mi pare che questa vita e svolgimento storico si allarghi fino a loro che vivono e operano, e spero che questo avvenga sempre meglio; ma certamente negli uomini c’è molto di più, quando penso ai possibili atti di Bontà, di Giustizia, di Bellezza, di Pensiero, di sentimenti elevati e di costruzioni sociali che essi possono compiere. La vita è ricerca e scoperta continua di questi valori (che appunto si scrivono talvolta con la maiuscola: il Bello, il Vero, il Giusto). Quando si vive di questi valori, e ci si interessa e appassiona per la bellezza artistica, per la bontà, per la giustizia nella società, per un ideale morale più alto, per un sentimento e uno slancio nobile e appassionato, per la verità e la più coerente organizzazione mentale, non ci si domanda che cosa ci stanno a fare essi valori e perché noi viviamo. Essi sono come una grazia che viene in noi, e preme persino su chi vorrebbe chiudersi: operiamo per attuare quei valori, e quando essi appaiono, ci sembrano superiori alle nostre miserie, ci sentiamo come umili davanti a un dono, e se l’atto l’abbiamo fatto noi, diciamo: è Dio che mi ha dato l’ispirazione e mi ha sorretto; se l’atto l’hanno compiuto altri, diciamo: quelli sono uomini prediletti da Dio, Dante, Mazzini, San Francesco, Leopardi, o anche una persona qualunque, ma diciamo “angelo” di bontà. Più amiamo quei valori, più il perché della vita scompare: chi ama non si domanda il perché del suo amore. (Aldo Capitini, Vita religiosa).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 19 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-19T23:04:00+02:00da fraternidade
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