Giorno per giorno – 18 Ottobre 2010

Carissimi,

“In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!” (Lc 10, 5). La festa dell’Evangelista Luca ci riporta indietro di qualche capitolo del suo Vangelo, là dove si racconta della missione affidata da Gesù ai settantadue discepoli. E stamattina noi ci si è soffermati soprattutto su questo comando di Gesù, che è centrale nella missione affidata al cristiano: dire la pace. Che è un po’ il movimento contrario di “lasciami in pace”. Questo, infatti, consiste nel chiudere la porta, isolarsi, alla ricerca di una tranquillità con ogni probabilità  solo esteriore. Quello, invece, è un movimento più  faticoso, chiede di mettersi in cammino verso l’altro, bussare alla sua porta, superarne la diffidenza, chiedere di entrare, avvolgerlo con quel saluto. Che è assai più di un semplice saluto: è lo stesso nome (e, perciò, anche la stessa attitudine) di Dio. Significa, perciò, trasmettergli la notizia che chiunque e comunque egli sia, è amato da Dio (o, se non intende questo linguaggio, anche solo da noi), senza nessun’altra finalità del saperlo, vederlo, farlo felice.  In questo consiste, secondo il Vangelo, l’essere discepoli. Non quindi cercare clienti per la nostra chiesa, aumentare il nostro numero e neppure indurre qualcuno a credere, pensare, pregare come noi. Questo potrà venire, se mai verrà, dopo.  Il messaggio del Regno, di cui il discepolo si fa latore – e perciò anche il moto di evangelizzazione – non è di tipo essenzialmente religioso, anche se noi troppo spesso cadiamo ancora in questo frainteso. Si riferisce alla vita, alla vita concreta, di cui pretende curare i mali, instaurando relazioni di fiducia, di dono di sé e di accoglienza e valorizzazione dell’altro. L’altro, ogni altro, anche nei suoi aspetti che mi paiono problematici, è la parte di verità che mi manca. Il principio incarnazione sarebbe monco se non considerasse questa presenza della Verità di Dio, quand’anche ferita, in ogni frammento di esistente. Noi siamo chiamati a scoprirla, ogni volta, con delicatezza, trepidazione e stupore. Per questo, l’avventura umana non termina mai, né ha mai fine la rivelazione di Dio.   

 

Oggi, dunque, il calendario ci porta la memorie di Luca evangelista, a cui noi aggiungiamo quella del vescovo Giacomo Lercaro, profeta di una Chiesa povera con i poveri.

 

18_lucas.jpgSecondo la tradizione, Luca era medico, originario di Antiochia, che all’epoca, era  per importanza la terza città dell’impero romano. Dopo l’incontro con Paolo, si convertì al cristianesimo e accompagnò l’apostolo nei suoi viaggi missionari, diventando così un testimone prezioso della comunità cristiana delle origini. La tradizione gli attribuisce la redazione del terzo vangelo e gli Atti degli Apostoli, ma sono le lettere di Paolo a menzionarlo. È l’evangelista che dedica maggior spazio ai racconti d’infanzia di Gesù e alla madre di Gesù ed è il più sensibile ai temi della misericordia, del perdono e dell’amore preferenziale che Dio ha per i poveri e per gli ultimi.

 

18 LERCARO.jpgGiacomo Lercaro nacque a Genova il 28 ottobre 1891. Entrato in seminario, fu ordinato presbitero nel 1914. Al termine del conflitto mondiale, si dedicò dapprima all’insegnamento nel seminario arcivescovile, e poi, dal 1937, fu prevosto della parrocchia di Maria Immacolata. Durante l’occupazione tedesca della città, a causa della sua azione a favore dei perseguitati, dovette rifugiarsi, sotto uno pseudonimo, in una casa religiosa. Nel 1947 fu nominato arcivescovo di Ravenna. Nel maggio 1948, aprì la casa ai primi ragazzi di quella che sarebbe stata la sua Famiglia.  Trasferito nel 1952 alla sede metropolitana di Bologna e creato cardinale l’anno successivo, venne moltiplicando iniziative religiose volte in diverso modo a risaltare la centralità dell’Eucaristia e a valorizzare la dimensione liturgica nella vita della Chiesa. Clamorosa fu la sua protesta, nell’autunno 1956, per l’invasione dell’Ungheria da parte dell’esercito sovietico.  Durante il Concilio Vaticano II,  anche per la preziosa consulenza di don Dossetti, fu indiscusso protagonista sui temi della riforma liturgica, della pace, e della povertà della Chiesa. Nel 1966 l’amministrazione comunale di Bologna gli conferì la cittadinanza ordinaria. La ferma condanna dei bombardamenti americani in Vietnam, in occasione della 1ª Giornata mondiale per la pace, il 1° Gennaio 1968,  fornì, incredibilmente,  agli ambienti a lui ostili della Curia romana il pretesto per esigerne le dimissioni. Il 12 febbraio 1968, lasciata la cattedra di S.Petronio, si ritirò a Villa san Giacomo, continuando tuttavia a svolgere un’intensa opera evangelizzatrice in Italia e all’estero, finché la salute glielo permise. Si spense il 18 ottobre 1976.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono  tratti da:

2ª Lettera a Timoteo, cap.4, 10-17b; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.10, 1-9.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni  dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Nella festa di Ognissanti del 1968, il Card. Giacomo Lercaro, predicando ai suoi ragazzi della Villa San Giacomo, commentò le Beatitudini del Vangelo di Matteo. L’omelia è riportata nel libro pubblicato nel 1991, centenario della sua nascita, con il titolo “Discorsi sulla Pace” (Edizioni San Lorenzo). Nel congedarci, scegliamo di proporvene un brano, dedicato alla prima beatitudine: “Beati i poveri in spirito”. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

È una condizione essenziale, anzitutto per il cristiano questo distacco dai beni terreni; condizione essenziale evidente. Si parla di poveri in spirito prima ancora che di poveri effettivi, quantunque una qualche povertà effettiva sia necessaria perché sussista la povertà dello spirito. Senza una povertà effettiva difficilmente la povertà dello spirito regge, ma il distacco interiore dai beni terreni e anzitutto la non sopravvalutazione, la non idolatria dei beni terreni è assolutamente necessaria al cristiano, altrimenti non si capirà mai nulla di quello che è la vita cristiana, la vita sarà un tradimento continuo del Vangelo. Ma questo distacco è necessario anche all’uomo in sé, qualunque sia la sua fede, anche se non ne abbia nessuna, disgraziatamente! All’uomo, per essere uomo, per non diventare belva, è necessario questo distacco interiore dai beni terreni, perché senza di questo non può aversi l’essenziale giustizia nei rapporti umani e, prima ancora, nei rapporti con Dio. Ricordate la parola di Gesù Cristo: Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù. Guardando il panorama del mondo noi abbiamo una conferma spaventosa, ma una conferma dell’Evangelo. Che cos’è che rende la vita dei singoli, delle famiglie, delle comunità, delle nazioni, della comunità umana tutta; che cos’è che la rende oggi così ardua, così pericolosa, se non la corsa, una volta si diceva all’oro, adesso si può dire al petrolio, dite qualunque cosa, se non la corsa a questi beni terreni e alla disputa per averli? Che cos’è che affama i due terzi dell’umanità, che cos’è? È forse Dio che non ha dato pane sufficiente alla famiglia umana? È ancora la ricerca d’interessi nazionali, d’interessi di razza, d’interessi di gruppi sociali e di classi sociali, che impedisce un’equa distribuzione di quei beni che pure il Creatore ha dato. Senza la povertà delo spirito non c’è vita cristiana, c’è solo un’idolatria delle cose. Gli idoli delle genti – dice il salmo 113 – sono argento e oro; è sempre stato così. Non si fabbricano più statue, che perlomeno avevano un valore artistico, basta la carta; ma gli idoli delle genti sono argento e oro, petrolio, uranio, mezzi terreni alla cui conquista tutto è sacrificato e prima di tutto la coscienza. (Giacomo Lercaro, Discorsi sulla Pace).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 18 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-18T23:22:00+02:00da fraternidade
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