Giorno per giorno – 12 Ottobre 2010

Carissimi,

“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: Non hanno vino. E Gesù le rispose: Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora. Sua madre disse ai servitori: Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv  2, 3-5). Ora, di questo episodio, gli esegeti daranno tutte le loro buone spiegazioni e noi le ascolteremo attenti. Però, stamattina, ci chiedevamo cosa possa voler dire per noi, oggi, nel contesto della festa che celebriamo. Che cosa rappresentano le nozze? Cos’è il vino, neanche troppo buono, che c’era e non c’è più? E che sono quelle enormi anfore di pietra? E l’acqua di cui vengono riempite? E il vino nuovo, il migliore, che è servito per ultimo? E i servi? Su Gesù, ovviamente non ci sono dubbi. Gesù è Gesù, la rivelazione del Padre, e questo è il suo primo segno. All’insegna della gioia messianica. Anche la madre, quest’oggi, è la Madre. Maria, la madre di Gesù, ma anche l’antica alleanza tra Dio e i suoi poveri che lo ha generato. E continua a generarlo nel tempo, come storia del suo Spirito. Le nozze è quando l’umanità (e, perciò, anche la Chiesa, e ciascuno/a di noi) conosce Dio, il suo agire (più che i suoi dettagli anagrafici, sui quali si possono pure prendere degli abbagli), è posseduta da Lui. E il vino che manca è quando l’amore comincia a finire e niente è più come prima. E la società (ed anche la Chiesa, e ciascuno/a di noi) diventa una serie di consuetudini (mondane o religiose), senza più vera allegria, dove tutto si fa per obbligo, poi, appena si può, non lo si fa neppure più. La Madre è, per così dire, la voce dell’inquietudine di Dio: non hanno più vino, non hanno più allegria. E per una madre, e per un Dio, non c’è punizione peggiore che vedere i suoi figli tristi. E chi può porvi rimedio è sempre e solo Lui, quel benedetto Figlio. Che, a quel tempo, disse: Non è ancora giunta la mia ora. E adesso vorrebbe rispondere: beh, la mia ora è già passata, non ti pare? E, invece, la sua ora, è sempre. Per cui lei può ripetere ogni volta: Fate quello che vi dirà. Certo, gli unici che lavorano, e sodo, nel racconto sono i servi, che devono riempire d’acqua quelle giare che perdinci avrebbero potuto essere più piccole! E invece no, perché, quel vino in cui Lui ha provveduto a trasformare la nostra fatica, deve durare sino alla fine della festa. Cioè, sino alla fine del mondo. Già, noi, i servi, a servizio dell’allegria del mondo. Con la possibilità, naturalmente, di farci anche noi un goccetto di tanto in tanto, per non correre il rischio concreto di incattivirci o, al contrario, di finire distesi sotto il tavolo. Beatamente ignari di tutti. Beh, Maria, è questa cosa qui: uno sguardo, a cui noi solleviamo il nostro. Il tempo di intenderci e lei subito: forza, ora sotto a lavorare. Fate quello che Lui vi dirà. Solo quello, non inventatevi altro.      

 

Dunque, oggi, è la festa di N.S. Aparecida, che è chiamata anche la Vergine piccolina, Madre dei Poveri, Patrona del Brasile.

 

12. NS APARECIDA.jpgContrariamente a quello che può far pensare il nome (aparecida = apparsa), non si tratta della storia di un’apparizione mariana. La piccola statua in terracotta della Vergine Madre di Gesù, che è venerata in Brasile con questo titolo, fu trovata da alcuni pescatori nelle acque del fiume Paraíba nell’anno 1717, nell’entroterra dello Stato di São Paulo, a 160 chilometri dalla capitale. Per quasi vent’anni restò custodita, con affetto e devozione, nella casa di uno dei pescatori. Nel 1737 fu deciso di collocarla in una cappella. Più tardi, nel 1745, fu costruita una chiesa, poi una basilica (1888), fino a giungere alla basilica attuale, consacrata nel 1980, meta di pellegrinaggi e luogo di preghiera.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono propri della festività odierna e sono tratti da:

Libro di Ester, cap.5, 1b-2; 7, 2b-3; Salmo 45; Libro dell’Apocalisse, cap.12, 1.5.13a.15-16a; Vangelo di Giovanni, cap.2, 1-11.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Il nostro calendario ci porta anche la memoria di Elisabeth Fry, quacchera, amica dei carcerati e riformatrice delle prigioni, e di don Luigi di Liegro, prete dalle mani sporche.

 

12 ELIZABETH FRY.jpgElizabeth Gurney era nata a Norwich, nel Norfolk, in Inghilterra, il 21 maggio 1780, in una famiglia quacchera.  Diciottenne, durante un culto della Societa degli Amici,  dall’amica Deborah Darby si era sentita rivolgere le parole: “Tu sei nata per essere luce per i ciechi, parola per i muti, piede per gli zoppi”.  Ora, lei sapeva che quello non era semplicemente un messaggio della sua amica, ma la voce dello Spirito. Però non sapeva bene come e da dove cominciare. Decise di aprire una scuola domenicale, in casa. Dapprima fu solo per un ragazzino del vicinato, ma presto sarebbe stata una banda di un’ottantina di elementi ad invaderle la casa.  La ragazza dava loro da mangiare, vestiti, e gli insegnava a leggere usando la Bibbia.  A vent’anni sposò Joseph Fry, banchiere e anche lui quacchero osservante  e si trasferì nella sua casa, nei pressi di Londra. Insieme ebbero undici figli, ma lei potè ugualmente diventare predicatrice famosa  in seno alla Società. Nel 1812 fu per la prima volta a visitare la prigione femminile di Newgate e ne fu sconvolta. Le detenute vivevano ammucchiate coi loro bambini in piccole celle, dove dormivano sul pavimento, cucinavano da sé quel che potevano e provvedevano al bucato. Cominciò allora a dedicarsi alla missione di alleviare le condizioni di vita di quelle infelici, non solo a Newgate, ma presto in tutto il Paese e più tardi nel resto dell’Europa, sollevando il problema della riforma del sistema penitenziale. Nel frattempo, Elizabeth contribuì a creare un rifugio per i senzatetto, a Londra, fondò un’associazione di volontari con la finalità di visitare i quartieri più poveri, offrendo soluzione ai casi più difficili,  aprì una scuola per infermiere, e via di questo passo. Poi, sessantacinquenne, il 12 ottobre 1845, riposò in pace.        

 

12 LUIGI DI LIEGRO bis.jpgLuigi Di Liegro nasce a Gaeta, in provincia di Latina, il 16 ottobre 1928, ultimo di otto figli, di una famiglia che conobbe la sofferenza, le umiliazioni e lo sfruttamento della condizione propria degli emigrati. Entrato in seminario giovanissimo, fu ordinato sacerdote il 4 aprile del 1953, ed esercitò il suo primo incarico pastorale nelle parrocchie di borgata. Nel 1958 si recò in Belgio per approfondire i temi della pastorale del lavoro e per conoscere da vicino le condizioni di vita e di sfruttamento degli emigrati italiani che lavoravano nelle miniere del posto. Nel 1964 fu nominato responsabile dell’Ufficio pastorale della diocesi. Ricoprendo questo ufficio, organizzò nel 1974 il convegno “sui mali di Roma”, che denunciò la pessima amministrazione democristiana della città, nonché l’ostilità e l’indifferenza di gran parte della comunità cristiana nei confronti dei poveri. Nel 1979 diede vita alla Caritas Diocesana di Roma. Scontrandosi con la resistenza e l’aperta avversione di numerosi ambienti, dedicherà gli anni successivi ad organizzare servizi che rispondessero alle necessità delle categorie più deboli ed emarginate della popolazione: anziani, malati, senza tetto, nomadi, immigrati, tossicodipendenti e aidetici. La sua azione si estese oltre i confini della sua diocesi e del suo Paese: in Irpinia, in Armenia, nel Sud Est Asiatico, in Palestina e in Albania. Nell’estate del ’97, fu ricoverato all’Ospedale S. Raffaele di Milano per una crisi cardiaca. Il 12 ottobre 1997,  una nuova crisi ne provoca la morte. Aveva detto un giorno: “Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Lui l’ha fatto.

 

Anche per stasera è tutto. Noi non si sapeva bene con che cosa congedarci, poi si è trovata in rete questa preghiera che ci dicono essere della piccola Teresa di Lisieux, senza però che nessuno specifichi la fonte. E va bene, noi ve la giriamo così com’è, anche perché ci sembra che in essa potrebbe comunque riconoscersi la nostra gente, che durante tutta la notte scorsa, e poi durante il giorno si è messa in cammino per raggiungere il piccolo santuario dell’Aparecida, che sorge a dodici chilometri dalla città. È, dunque, questa, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Io so bene, o Vergine piena di grazia, / che a Nazaret tu sei vissuta poveramente, / senza chiedere nulla di più. / Né estasi, né miracoli, né altri fatti straordinari / abbellirono la tua vita, o Regina degli eletti. / Il numero degli umili, dei “piccoli”, / è assai grande sulla terra: essi possono / alzare gli occhi verso di te senza alcun timore. / Tu sei la madre incomparabile che cammina  / con loro per la strada comune, / per guidarli al cielo. / O Madre diletta, in questo duro esilio / io voglio vivere sempre con te  / e seguirti ogni giorno. / Mi tuffo rapita / nella tua contemplazione e scopro / gli abissi di amore del tuo cuore. / Tutti i miei timori svaniscono / sotto il tuo sguardo materno / che mi insegna a piangere e a gioire. / (Teresa di Lisieux).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 12 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-12T23:08:00+02:00da fraternidade
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