Giorno per giorno – 11 Ottobre 2010

Carissimi,

“Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona” (Lc 11.32). Mentre Gesù stava guarendo il muto (Lc 11, 14), il Vangelo riporta che alcuni lo accusavano di agire in nome di Beelzebùl, altri invece “gli domandavano un segno dal cielo” (v.16). Gesù aveva già risposto ai primi (vv. 17-20), ed ora si rivolge ai secondi: “Questa generazione è una generazione malvagia: essa cerca un segno” (v.29). Parla per il suo tempo, ma anche per ogni tempo, per noi. Ci accusa di cercare segni, sempre un segno in più, per motivarci all’azione, al cambiamento. Perché cambiare costa. E sì che la parabola di Giona racconta che, sulla semplice parola di un piccolo uomo, persino un po’ codardo, appartenente a un popolo insignificante, e personalmente senza nessuna credibilità, perché al servizio di un Dio straniero,  un’intera città si era convertita. Così come la regina del Sud, spinta da una chiacchiera giunta sino al suo paese circa la sapienza di Salomone, aveva fatto centinaia di chilometri per vederlo. Ora, lì c’era qualcuno più grande di Giona e più sapiente di Salomone, che parlava e agiva in nome e con il dito di Dio. Ma nessuno si muove, nessuno cambia, nessuno si converte. Sì, i niniviti e la regina del Sud si alzeranno e condanneranno [anche] la nostra generazione, non tanto perché non si sia lasciata smuovere dalla pletora di testi e di pronunciamenti, così generosamente prodotti dagli scribi di tutti i tempi, né dalle nuove od obsolete tecniche di evangelizzazione (segni prodigiosi, quelli e queste, della creatività umana, spesso solo umana purtroppo), ma perché non avrà dato ascolto a quell’unica parola di un uomo, che era, lui stesso, nella sua vita e nella sua morte, la Parola, cioè l’evento di Dio, suo Figlio. Il segno che diceva il Dono e il prendersi cura. Della terra e dell’uomo.    

 

Oggi il calendario ci porta la memoria padre João Bosco Penido Burnier e Tutti i Martiri dell’America Latina.

 

11 burnier.jpgEra la sera dell’11 ottobre 1976. Due contadine, Margarida e Santana, erano sotto tortura nella prigione del presidio di polizia di Ribeirão Bonito, nel Mato Grosso, località del latifondo prepotente, del bracciantato semischiavo, della brutalità poliziesca.  La Comunità celebrava l’ultimo giorno della novena della patrona, N.S. Aparecida. E, in quel giorno erano arrivati in paese il vescovo, dom Pedro Casaldáliga e padre João Bosco Penido Burnier, un gesuita missionario tra gli Indios Bakairi. Informati di quanto stava succedendo, i due si recarono al commissariato per intercedere a favore delle due donne torturate. Quattro poliziotti li aspettavano sul posto. Solo un accenno di dialogo: Sapete che non potete fare questo. Dovete smetterla. Come tutta risposta, uno degli agenti colpì il p. João Bosco prima con un pugno, poi con il calcio della pistola infine gli sparò. Durante l’agonia che seguì, il prete riuscì a sussurrare: Offro la mia vita per il CIMI (Consiglio Indigenista Missionario) e per il Brasile. Poi invocò il nome di Gesù, ripetutamente, e ricevette l’unzione degli infermi. Fu trasportato a Goiânia e morì il giorno dopo, festa della Vergine Aparecida, coronando così con il martirio una vita santa. Le sue ultime parole furono le stesse del maestro: “Abbiamo compiuto la nostra missione”. In questo giorno le Comunità cristiane dell’America Latina uniscono alla celebrazione del martirio di p. João Bosco, la memoria di tutti i martiri del nostro continente. Memoria di uomini, donne e perfino di bambini, di differenti razze, fedi e culture, assassinati per il solo fatto di lottare per un mondo più giusto e fraterno, per affermare i diritti degli indigeni, dei negri, delle minoranze, dei lavoratori, contro la violenza e la tortura, per la riforma agraria, la protezione dell’ambiente e la pace.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Galati, cap.4, 22-24.26-27.31-5,1; Salmo 113; Vangelo di Luca, cap.11, 29-32.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con i fedeli del Sangha buddhista.

 

11 CONCILIO VATICANO II.jpgL’11 ottobre 1962,  Giovanni XXIII  inaugurava il Concilio Vaticano II, occasione, o sogno, per molti, di una nuova Pentecoste. E perciò anche di un nuovo modo di essere chiesa, nuovo solo relativamente, perché intendeva riandare, niente meno, che allo stile della comunità di Gesù. La costituzione dogmatica Lumen Gentium avrebbe di lì a poco fin troppo coraggiosamente affermato: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza. Gesù Cristo «che era di condizione divina… spogliò se stesso, prendendo la condizione di schiavo» (Fil 2,6-7) e per noi «da ricco che era si fece povero» (2 Cor 8,9): così anche la Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione” (L.G. n.8). Certo, la Chiesa non è solo questo, ma, visto che lo ha solennemente dichiarato, dovrebbe forse farne la sua maniera di presentarsi al mondo.  E, invece, spesso. Ora, è vero che qua e là è riuscita a farlo. Noi si ha un buon numero di chiese che hanno saputo darsi questo volto. E di rispettivi pastori. Come Dom Pedro Casaldáliga, per molti anni voce profetica dei poveri, non solo del Brasile, che vive oggi una stagione di povertà aggiuntiva, quella dell’infermità e della debolezza (solo del corpo, perché l’animo è sempre forte e all’erta). Di Dom Pedro Casaldáliga vi proponiamo, nel congedarci, questa poesia, tratta dalla sua raccolta “El Tiempo y la Espera” (Editorial Sal Terrae). È un invito a Pietro, ma anche a tutti noi, se sappiamo intenderlo. E dice anche il sogno del Concilio. Ed è il nostro     

 

PENSIERO DEL GIORNO

Lascia la curia, Pietro, / smantella il Sinedrio e la muraglia, / ordina di cambiare tutti i filatteri impeccabili / con parole di vita, trepidanti. / Andiamo al giardino dei banani, / rivestìti di notte, ad ogni rischio, / perché lì il Maestro suda il sangue dei Poveri. / La tunica inconsutile è questa umile carne fatta a pezzi, / il pianto dei bimbi che non ha risposta, / la memoria ricamata di morti anonimi. / Legioni di mercenari minacciano la frontiera dell’aurora nascente / e Cesare li benedice dall’alto della sua arroganza. / Nell’elegante bacile Pilato si lava le mani, legalista e codardo. /  Il Popolo è solo un “resto”, / un resto di Speranza. / Non lasciamolo solo tra guardie e prìncipi. / È ora di sudare con la Sua agonia, / è ora di bere il calice dei Poveri / e di sollevare la Croce, spoglia di certezze, / e spezzare la pietra – legge e sigillo – del sepolcro romano, / e l’alba / di Pasqua. / Di’ loro, dicci a tutti, / che vigono sempre irrinunciabilmente / la grotta di Betlemme, / le Beatitudini / e il Giudizio dell’amore dato in cibo. / Non ci turbare più! / Come Lo ami, / amaci, / semplicemente, /  da uguale a uguale, fratello. / Dacci, con i tuoi sorrisi, con le tue lacrime nuove, / il pesce dell’Allegria, / il pane della Parola, / le rose della brace… / la chiarezza dell’orizzonte libero, / il Mar di Galilea ecumenicamente aperto al Mondo. (Pedro Casaldáliga, Deja la Curia, Pedro).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-11T23:48:00+02:00da fraternidade
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