Giorno per giorno – 10 Ottobre 2010

Carissimi,

“Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?” (Lc 17, 15-18). Stamattina, si era proprio pochini nella chiesa del Monastero, così pochi che non si riempiva neppure la prima fila di banchi. Eppure ci veniva da pensare che forse è bene così. Forse – beh certo c’erano gli assenti giustificati – ma, l’inizio della chiesa (pensiamo alle persone, non ai muri), una chiesa che non sia tradizione, né pia o pietosa abitudine, o anche trattenimento di buona qualità (sempre che non si trovi nel frattempo di meglio), deve essere costitutivamente di pochi. Non necessariamente, anzi quasi mai, i migliori. Chiesa samaritana, in tutti i sensi. Come faceva notare dona Felícia, che, di norma, se ne sta sempre zitta, ma quando parla, uno immancabilmente si dice: ma da dove le tira fuori queste cose? Così, dopo che dom Eugenio ha fatto il suo commento alle letture e ha dato la parola ai presenti, lei fa: è curioso che il Vangelo insista ad additarci come esempio dei poco di buono come i samaritani. È una samaritano che torna a ringraziare Gesù, è un samaritano che si ferma a soccorrere quel poveraccio caduto lungo la strada, è una samaritana che dà ascolto a Gesù e poi corre ad annunciarlo ai suoi concittadini. Forse, è per dirci che la chiesa è chiesa di esclusi che si sentono accolti, si vedono guariti e hanno bisogno di dire grazie e di moltiplicare gesti di accoglienza e di cura. Già, al buon Dio sembra non interessi proprio nulla che le nostre idee su di Lui e sui suoi paraggi siano obbligatoriamente ortodosse e anche sulle nostre pratiche (basti pensare, per restare in tema, alla samaritana) parrebbe disposto a chiudere più di un occhio. Da qui l’inutilità di tutti quei funzionari di chiesa che, infelici, si vedono affidato il compito di spulciare gli scritti o le pratiche altrui per scovarvi piccole o grandi eresie. Tempo perso, ragazzi miei, i samaritani erano anche peggio. E così peggio che in quel nome, ritenuto a quei tempi un insulto, il mio Figliolo ci si identificò in pieno. Già, cominciamo allora col dire, poveri coi poveri: grazie. Che poi è questo “fare eucaristia”. Oggi, però, c’era anche quella bella lettera a Timoteo, che noi spesso cantiamo nelle nostre comunità: “Lembra-te de Jesus Cristo, ressuscitado dentre os mortos…”. E noi ce lo vediamo, il suo autore, riprendere temi paolini, che forse erano già diventati formule di fede o inni liturgici: “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà…” (2Tm 2, 11-12). Ma qui, dev’essere intervenuto qualcosa, qualcuno, chissà, una tirata d’orecchi, un “ma che diavolo stai scrivendo?” – il che ci rivela una volta di più la struttura dialogica della Parola di Dio – e subito dopo l’ispirazione più vera: “se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (v. 13). Sì, questa è Parola di Dio. Così è il Dio cristiano. E noi stamattina, ci dicevamo che qui sta la rivoluzione copernicana della religioni. Tutte così vincolate al principio retributivo, anche la cristiana, nella sua evoluzione successiva. Eppure, la sua ultima parola era stata: Perdona loro, perché non sanno quello che fanno. Il perdono è l’unico modo per interrompere il circolo vizioso della violenza e della vendetta. E inaugurare il circolo virtuoso della grazia, cioè della gratuità. Perdono, invenzione divina, che può cambiare il mondo, la storia, la nostra vita.

 

I testi che la liturgia di questa XXVIII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

2° Libro dei Re, cap.5, 14-17; 2ª Lettera a Timoteo, cap.2, 8-13; Vangelo di Luca, cap.17, 11-19.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

 

Tre sono le memorie che il nostro calendario ci propone oggi: Jules Monchanin (Swami Parama Arubi Anandam), precursore del dialogo tra cristianesimo e induismo; Michele Pellegrino, pastore e profeta di una Chiesa rinnovata, Daniele Comboni, missionario del Regno in Africa.

 

10 Monchanin.jpgLa vita di Jules Monchanin, nato a Fleurie, in Francia, il  10 aprile 1895, fu quella di un pioniere dell’incontro tra le religioni, vissuta fino al limite delle sue possibilità fisiche, psicologiche, intellettuali e culturali. Ordinato presbitero, nel 1938 si trasferì nell’India del Sud, dove si mise a disposizione della Chiesa di Tiruchirapalli. Dopo qualche anno, assieme a Henri Le Saux, fondò l’ashram della Trinità, assumendo il nome di Swami Parama Arubi Anandam (= Felicità dello Spirito Santo).  Monchanin credette profondamente che la spiritualità hindu potesse arricchire e vivificare il cristianesimo. Fermamente convinto, fin dall’inizio del suo ministero sacerdotale che la missione del cristiano fosse quella di stabilire una relazione dialettica con il pensiero scientifico moderno e con le altre religioni, dedicò tutto se stesso a questo fine. Alla fine dell’agosto 1957 gli fu diagnosticato un tumore e gli fu suggerito di tornare in Francia per essere operato.  Fu ricoverato all’ospedale Saint-Antoine di Parigi, stremato e ridotto a 42 kg di peso.  Lo stato di avanzamento della malattia, rese impossibile operarlo, e Monchanin, il 10 ottobre 1957, dopo aver ricevuto il viatico, stese le braccia in forma di croce come estremo gesto di offerta e dopo alcune ore spirò dolcemente.

 

10 Card. MICHELE PELLEGRINO.jpgMichele Pellegrino era nato a Centallo (Cuneo) il 25 aprile 1903.  Sacerdote a soli 22 anni nella diocesi di Fossano, fu professore di Letteratura cristiana antica e di Storia del cristianesimo all’Università di Torino, fino a quando, nel 1965, papa Paolo VI lo chiamò alla guida della Chiesa torinese. L’amore per la Parola di Dio e la profonda conoscenza dell’insegnamento dei Padri, ne fecero un pastore sensibilissimo, sollecito e coraggioso di fronte alle necessità e alle sfide inedite che via via si manifestavano nella comunità dei fedeli e nella società civile del tempo. Rassegnate le dimissioni, nel luglio del 1977, continuò negli anni successivi ad impegnarsi in Italia e all’estero sui temi dell’attuazione del Concilio, della povertà, della comunione, del dialogo interreligioso e della libertà nella comunità dei credenti in Cristo. Colpito da ictus cerebrale, l’8 gennaio 1982, paralizzato e reso afono, chiese di passare quanto gli restava da vivere tra gli ultimi degli ultimi, al Cottolengo. Lì si spese leggendo i Padri della Chiesa, sgranando senza sosta il rosario, visitando, sorridendo e benedicendo gli altri malati. Fino a che la morte lo colse la mattina del 10 ottobre del 1986.

 

10 DANIELE COMBONI.jpgDaniele Comboni era nato in una povera famiglia contadina, quarto degli otto figli di Domenica e Luigi Comboni, a Limone sul Garda (Brescia) il 15 marzo 1831. Durante gli studi a Verona aveva maturato la sua vocazione, che lo portò, completati gli studi di filosofia e teologia ad essere ordinato sacerdote nel 1854 e a partire, tre anni dopo,  per la sua prima missione in Africa, con destinazione Khartoum, la capitale del Sudan. Da lì scrisse ai genitori: “Dovremo faticare, sudare, morire, ma il pensiero che si suda e si muore per amore di Gesù Cristo e della salute delle anime più abbandonate del mondo è troppo dolce per farci desistere dalla grande impresa”. Tornato in Italia, elaborò nel 1864 un Piano per la rigenerazione dell’Africa, sintetizzabile nello slogan “Salvare l’Africa con l’Africa”, espressione della sua fiducia incrollabile nelle risorse umane e religiose delle popolazioni africane. Sull’onda di questa sfida, fondò, nel 1867 e nel 1872, l’Istituto maschile e l’Istituto femminile dei suoi missionari, che saranno conosciuti in seguito come Missionari Comboniani e Suore Missionarie Comboniane. Nominato Vicario apostolico dell’Africa Centrale e consacrato vescovo nel 1877, dedicò i suoi ultimi anni con instancabile energia a battersi contro la piaga dello schiavismo e a consolidare l’attività missionaria con gli stessi africani. Il 10 ottobre 1881,  a soli cinquant’anni, stroncato dalle fatiche e dalla malattia, moriva a Khartoum, tra la sua gente.

 

Anche per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi ad una citazione del Card. Michele Pellegrino, tratta dalla sua Lettera Pastorale “Camminare insieme”, dell’8 dicembre 1971. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La libertà cristiana, insegna Paolo, si attua quando ci mettiamo gli uni a servizio degli altri per amore (cf Gal 5,13b). La libertà è sempre in ordine a qualche cosa. Non c’è libertà senza una meta. La libertà tende responsabilmente ad attuare l’amore. Non c’è libertà più vera di quella di cui ci ha dato l’esempio nostro Signore, offrendosi liberamente alla sua passione. Lui che aveva detto: “Io do la mia vita per riprenderla di nuovo. Nessuno, infatti, me la toglie, ma io la do da me stesso, poiché ho il potere di darla e di riprenderla di nuovo. Tale mandato ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10,17-18). Non è libertà cristiana quella che non accetta l’obbedienza alla volontà del Padre; non è libertà cristiana quella che rifiuta il sacrificio, la rinunzia, la lotta contro l’egoismo per aprirsi all’amore (Card. Michele Pellegrino, Camminare insieme).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-10T23:02:00+02:00da fraternidade
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