Giorno per giorno – 04 Ottobre 2010

Carissimi,

“Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui” (Lc 10, 33-34). Prima di lui erano sopraggiunti un sacerdote e poi un levita, come dire un prete che, forse, doveva correre a dir messa, e l’altro che doveva servirgliela. Anche loro avevano visto il poveretto, ma erano passati oltre. Avevano, appunto, altro da fare. Qualcosa di più urgente e, decisamente, di più importante. Non immaginavano che, in chiesa, non avrebbero incontrato nessuno, perché Dio non ha fretta per le sue cose, e così si era fermato sulla strada tra Gerusalemme e Gerico. Certo, non era il Dio presentato dalla religione ufficiale, era un Dio piuttosto eretico, trasgressivo, tanto che la parabola lo chiama Samaritano, che allora era per ogni buon giudeo una parolaccia. Un Dio pericolosamente in cammino verso Gerusalemme, dove si concentrano tutti i poteri ed è per questo che sarebbe stato eliminato. Dio è quello che vede e ha compassione. O, anche, Dio è “quando” si vede e si ha compassione. E il potere teme la compassione. Perché destabilizza, attenta all’ordine e alla sicurezza. Eppure, tutti noi viviamo per quello sguardo, che ci ha fatti uguali a sé. Ma ce lo dimentichiamo ogni volta. Condonati di un debito immane, quello che ci ha portati dalla non esistenza all’esistenza, non sapppiamo perdonare la piccola somma che ci è dovuta dal fratello. Come Gesù  ci insegna in un’altra parabola (Mt 18, 22-35). “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (v. 37). La chiesa è questa missione. Ma essa può assumerla e farla sua solo se ha sperimentato il suo essere gettata ai margini della strada e ha saputo che cosa significhi il Suo “prendersi cura”. Se no, sarà una chiesa dei libri, del culto slegato dalla vita, fredda e senza cuore, perduta tra nuvole di incenso e canti in gregoriano, mentre l’umanità muore. E Dio con essa. 

 

La Chiesa celebra oggi la memoria di Francesco d’Assisi, fratello dei poveri. Ad essa noi aggiungiamo quella di Carlo Carretto, piccolo fratello del Vangelo.

 

04_FRANCISCO.jpgGiovanni di Bernardone nacque ad Assisi, nel 1182, nella famiglia di un ricco commerciante che, per la simpatia che aveva per la Francia, dove si recava frequentemente per affari, passò presto a chiamarlo Francesco. Il giovane, che non doveva aver una grande propensione per l’attività paterna, preferì correre appresso alle glorie militari. Non ebbe molta fortuna, dato che, durante una guerra tra Perugia e Assisi, fu fatto prigioniero e questa esperienza lo portò a riflettere sulla vanità della vita che aveva condotto fino ad allora. Nel 1206, in un epoca in cui, sempre più, si affermavano gli ideali della ricchezza e dell’autoaffermazione, Francesco visse il suo personale cammino di Damasco, incontrando i lebbrosi e riconoscendo in essi la presenza di Cristo. Scelse allora di lasciare la famiglia, rinunciando ai suoi beni e proprietà, per sposare “madonna Povertà”. Ben presto altri giovani si unirono a lui, con il solo proposito di vivere il Vangelo, nella radicalità e nella libertà dei figli di Dio, facendosi compagni degli ultimi, fratelli minori, nella convinzione che è nelle categorie minori, nella gente povera, umile ed emarginata, che Dio ha da sempre la sua abitazione. Nel 1211, Chiara, una giovane assisiate affascinata dalla predicazione e dall’esempio di Francesco, diede vita a una famiglia di claustrali povere, immerse nella preghiera per sé e per gli altri.  In una Chiesa trionfalista e in pieno regime di cristianità e di crociate, Francesco, esente tuttavia da ogni forma di orgoglio spirituale, preferì essere immagine della tenerezza di Dio con tutti, usando le armi del dialogo, della non-violenza, della pace e dell’amore. A 45 anni, malato e quasi cieco, di fatto emarginato dalla fraternità cui aveva dato vita, portando nel corpo i segni della passione di Cristo, morì, nudo sulla nuda terra, cantando la gioia di servire Cristo e le bellezze del creato. Era la sera del 3 ottobre del 1227.

 

04_CARLO_CARRETTO_IV.jpgCarlo Carretto era nato ad Alessandria, il 2 aprile 1910, da famiglia contadina. Militante dell’ Azione Cattolica, professore e, nel 1940, direttore di scuola, fu presto esonerato dall’incarico a causa della sua opposizione al regime fascista. Nel 1946 divenne presidente della G.I.A.C. (Gioventù Italiana di Azione Cattolica). Nel 1953, per il  contrasto con i settori cattolici che progettavano un’alleanza con la destra italiana, si dimise dall’incarico. È in questo periodo di ricerca laboriosa e sofferta che maturò la decisione di entrare nella congregazione di Charles de Foucauld, i piccoli fratelli di Gesù. L’8 dicembre 1954 partì per il suo noviziato in Algeria, dove, per dieci anni, condusse una vita eremitica nel Sahara. Fu questa una profonda esperienza di vita interiore e di preghiera, nel silenzio e nel lavoro, che alimenterà tutta la sua vita e azione posteriore. Nel 1965, tornato in Italia si stabilì a Spello (Perugia), dove, poco prima, in un antico convento disabitato era sorta una comunità di piccoli fratelli. Ben presto, la fama di cui fratel Carlo godeva cominciò a richiamare moltissime persone, credenti o no, che erano comunque  in ricerca. Da allora la comunità divenne spazio di accoglienza, preghiera e riflessione. Dopo alcuni anni di malattia, la notte del 4 ottobre 1988, festa di Francesco d’Assisi, di cui, pochi anni prima, aveva steso un’appassionata biografia, fratel Carlo entrò nell’abbraccio di Dio.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Lettera ai Galati, cap.1, 6-12; Salmo 111; Vangelo di Luca, cap.10, 25-37.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni  dell’India: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Oggi, dona Nady si è finalmente sottoposta all’intervento di angioplastica. Fino a domani resterà in rianimazione e se tutto procederà come deve, uscirà dall’Ospedale, restando tuttavia ancora una settimana a Goiânia, in attesa della visita di controllo. Dopo, se Deus quiser,  sarà di nuovo qui con noi. 

 

Noi si sta ricevendo da molti di voi in questi giorni un certo numero di cahiers de doléances sulla stagione politica che vivete (che tutto è fuorché politica, a quel che pare, divisa come è tra cronaca rosa, vicende giudiziarie, barzellette – ora anche blasfeme e contestualizzate, ma il peggio è ancora il resto – del grande timoniere). E, a noi, la fantasia non suggerisce quasi nulla, salvo le condoglianze di prammatica. E la confessione di un po’ tanta vergogna da parte di chi, qui da noi, ha, volente o nolente, trascorsi italiani. Che aggiungere? Ha da passà a nuttata. Certo, se passasse rapidamente sarebbe meglio.

 

Bene, noi ci si congeda qui, con una pagina di Carlo Carretto, tratta dal suo “Lettere dal deserto” (La Scuola). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Il Cielo è quel luogo dove ciascuno dei presenti dev’essere talmente “maturo all’amore”, da offrire la sua vita per tutti gli altri. È l’amore perfetto, universale, radicale, senza ombra d’avversità, d’antipatia, di limite, colati in esso come nel fuoco. Chi è pronto a ciò, alzi la mano! […]   Dio non ha fretta nel fare le cose; e il tempo è suo e non mio. Ed io, piccola creatura, uomo, sono stato chiamato da essere trasformato in Dio per partecipazione. E ciò che mi trasforma è la carità, che Dio ha infuso nel mio essere. L’amore mi trasforma lentamente in Dio. E il peccato, è proprio qui: resistere a questa trasformazione, saper e poter dire di no all’amore. Vivere nel nostro egoismo significa fermarsi allo stato di uomo e impedirne la trasformazione nella carità divina. E fin tanto che non sarò trasformato “per partecipazione” in Dio, attraverso la carità, sarò di “questa terra” e non di “quel cielo”. […] L’aver resistito all’amore, il non essere stato capace di accettare la sollecitazione di tale amore che mi aveva detto: “Da’ la coperta al tuo fratello”, è talmente grave, che crea, tra me e Dio, la porta del mio purgatorio. Che vale dire bene l’Ufficio divino, ascoltare la S. Messa e non accettare l’amore? Che vale aver rinunziato a tutto, l’essere venuto qua tra la sabbia e il caldo e resistere all’amore? Che vale difendere la verità, battersi per i dogmi coi teologi, scandalizzarsi di coloro che non hanno la stessa fede e poi restare per epoche geologiche sulla porta del purgatorio? “Sarete giudicati sull’amore”: ecco ciò che mi grida quel pezzo di deserto tra Tit e Silet. “Sarete giudicati sull’amore” mi dice la grande pietra sotto la quale trascorrerò il mio purgatorio in attesa di maturare in me la carità perfetta, quella che Gesù mi ha recato sulla terra e mi ha donato col prezzo del Suo Sangue, accompagnandolo col grido della grande speranza: “Io vi risusciterò nell’ultimo giorno!” (Gv 6, 40). Che quel giorno non sia troppo lontano! (Carlo Carretto, Lettere dal deserto).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-04T23:04:00+02:00da fraternidade
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