Giorno per giorno – 03 Ottobre 2010

Carissimi,

“Gli apostoli dissero al Signore: Accresci in noi la fede! Il Signore rispose: Se aveste fede come un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sràdicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe” (Lc 17, 5-6). Difficile da intendere, a una prima lettura, questa affermazione di Gesù. Soprattutto per noi che, sotto sotto, siamo convinti di avere una fede ben maggiore di un granello di senape. E meno male che non abbiamo mai avuto a disposizione un gelso per ordinargli di trapiantarsi in mare e così verificare la reale consistenza della nostra fede. Però, stamattina, durante l’omelia di padre Paulo, ci è ritornata alla mente una cosa che Rafael aveva detto qualche anno fa sul granello di senape, sia pure in altro contesto (Lc 13, 19), che cioè esso è in realtà lo stesso Gesù. E, perciò, quando si dice “come un granello di senape”, non si tratta di quantità (per cui basterebbe pochissima fede), ma di qualità. Se è così, Gesù ci sta prendendo in giro, perché ci sta dicendo: se voi aveste fede “come me”. La stessa fede che ho io. Che, poi, è la fede di Dio. Quella che lo porta a sparire sotto terra, a marcire, a morire come “sé”, per rinascere come molti altri. Quando c’è questa disposizione, è chiaro che non esiste più ostacolo di sorta al dispiegarsi del progetto di Dio. Per saperlo e constatarlo non si ha neppure più bisogno di un gelso o del mare vicino. Basta vedere come mi comporto con gli altri, se come un padrone pretenzioso che pone se stesso al centro di tutto e di tutti, o se “come” fa Dio in Gesù (in questo consiste la fede di Dio!), che “spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo… e umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 7-8). Senza aspettarsi nulla in cambio. Che ho fatto di speciale? Ho fatto solo tutto ciò che dovevo: darmi in dono. Non ho bisogno di salario. Mi basta la fatica e la gioia di averlo fatto. Già, dacci questa fede, Signore. La fede di un granello di senape. La tua fede.

 

I testi che la liturgia di questa XXVII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Abacuc, cap.1, 2-3; 2, 2-4; Salmo 95; 2ª Lettera a Timoteo, cap.1, 6-8. 13-14; Vangelo di Luca, cap.17, 5-10.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e Chiese cristiane.

 

Oggi facciamo memoria di George Allen Kennedy Bell, pastore e testimone di ecumenismo, e di  Antonio Bargiggia, fratello dei poveri, martire in Burundi. 

 

03 GEORGE BELL.jpgGeorge Allen Kennedy Bell era nato il 4 febbraio 1883 a Hayling Island, nello Hampshire (Inghilterra), maggiore dei figli di Sarah Georgina Megaw e di suo marito James Allen Bell. Dopo gli studi teologici a Oxford, Bell fu ordinato diacono, nel 1907, e presbitero, nel 1908. Nei tre anni che seguirono si dedicò alla cura pastorale di una parrocchia alla periferia di Leed, dove un terzo della popolazione era costituito da immigrati indiani e africani, provenienti dalle diverse regioni dell’Impero britannico. In questa attività ebbe modo di collaborare e di apprendere molto dai metodisti, di cui ammirava la capacità di coniugare fede e impegno sociale. Nel 1914 fu nominato, dapprima, cappellano dell’arcivescovo Randall Davidson, primate d’Inghilterra, poi, nel 1925, decano di Canterbury e, nel 1929, vescovo di Chichester. Dal 1932-34 fu primo presidente di “Vita e Azione”, quando questo movimento confluì nel Consiglio Ecumenico delle Chiese. All’avvento del nazismo, divenne il più importante sostenitore della “Chiesa Confessante” che, in Germania, si opponeva risolutamente all’ideologia hitleriana, denunciando come eretiche le posizioni assunte da settori consistenti della Chiesa Evangelica Tedesca in appoggio alla politica del Fuhrer. In questi anni, Bell strinse amicizia con Dietrich Bonhoeffer, Nathan Söderblom e Wilhelm Visser’t Hooft, ponendo le basi per il cammino di riavvicinamento tra le chiese che ebbe luogo alla fine della seconda guerra mondiale. Negli anni ’50, fu avversario della corsa al riarmo atomico, e appoggiò numerose iniziative contro la Guerra Fredda. I suoi contatti ecumenici lo portarono a stringere amicizia con l’arcivescovo di Milano, Montini, che in seguito sarebbe divenuto papa Paolo VI.  Bell morì il 3 Ottobre 1958. Aveva dedicato la sua ultima omelia a commentare la parola di Gesù che dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17, 10).

 

03 ANTONIO BARGIGGIA.jpgAntonio Bargiggia era nato a Milano il 21 giugno 1958, e nel 1979 era andato in Africa, a lavorare come volontario in una missione del Burundi. Ritornato in Italia, maturò la decisione di dedicare tutta la sua vita ai poveri. Entrò così tra i “Fratelli dei poveri”, una famiglia religiosa di laici consacrati che opera in Burundi. Per vent’anni, fratel Antonio lavorò nella bidonville di Buterere, nella periferia più povera di Bujumbura, capitale del Burundi. Viveva, povero come i suoi vicini, in una baracca senza luce e senza acqua, con un suo fratello burundese,  volendo bene e rendendosi disponibile a tutti, in qualunque ora del giorno o della notte,  quale ne fosse l’etnia, hutu o tutsi,  o la religione. Pochi mesi prima di morire, aveva scritto: “Abbiamo molti vicini, quasi tutti musulmani; andiamo d’accordo e ci aiutiamo gli uni con gli altri”. La mattina del 3 ottobre 2000, quattro uomini armati, due in divisa militare e due con abiti civili, bloccarono l’automezzo su cui stava viaggiando e lo uccisero, sparandogli a bruciapelo al volto, a Kibimba. Gli rubarono l’orologio e i sandali e abbandonarono il suo corpo per strada, portandosi via l’auto con il materiale che stava trasportando. Rintracciati poco dopo, furono nei giorni seguenti processati e condannati: l’esecutore materiale alla pena capitale, due complici all’ergastolo e l’autista a venti anni di detenzione. Il giorno prima dell’esecuzione, l’assassino fece chiamare il cappellano del carcere, l’abbé Gakona, per esprimere il suo pentimento e chiedere perdono del suo gesto. Restarono a parlare a lungo, il prete gli parlò di Gesù e della buona notizia dell’amore che Dio ha per gli ultimi e della festa che fa per quanti si convertono da una vita sbagliata. Alla fine del colloquio, il giovane chiese e ottenne di essere battezzato e il giorno dopo affrontò con grande serenità d’animo l’esecuzione della condanna.

 

A soltanto due ore dalla chiusura delle urne, i risultati delle elezioni, almeno per quanto riguarda la presidenza della repubblica e i governatori degli Stati, grazie al sistema elettronico delle votazioni, sono già praticamente completi. Dilma è abbondantemente in testa, ma non supera la soglia del 50% al primo turno.  Ora ci si aspetta che, in vista del secondo turno, negozi l’appoggio di Marina (che ha ottenuto quasi venti milioni di voti). Questo dovrebbe comportare la ripresa di questioni importanti, relative all’ambiente ma non solo, trascurate negli ultimi anni del governo Lula.  Speriamo in bene.

 

È tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura il brano di una lettera scritta da Antonio Bargiggia nel luglio 2000, solo pochi mesi prima della tragica morte. È tratta dal libro di Giuseppe Caffulli, “Povero tra i poveri” (EMI), ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Per me è stata una giornata estremamente ricca di emozioni e tanto “vera”, tanto vicina a Dio grazie a questi nostri fratelli carcerati. Ero nudo, ero affamato, “ero in carcere e mi avete visitato”. Non avevo mai pensato profondamente a questa frase di Matteo. Non ho mai neanche pensato più di tanto ad un carcere. E adesso sono qui tra loro, e questi miei fratelli si sono impossessati del mio cuore. Voglio loro bene, sono dei carissimi figli di Dio. Mi commuovo quando mi portano una lettera per la loro famiglia che non vedono da anni; mi fanno tenerezza quando vedo i condannati a morte sferruzzare per fare i golfini per i bambini che poi porto nei dispensari. Mi si stringe il cuore quando li vedo stracciati che chiedono un vestito. Forse Gesù ha messo apposta in fondo al brano di Matteo la frase “ero in carcere”, perché in carcere c’è chi è nudo, affamato, straniero, solo e malato; ci sono proprio tutti. La conclusione non può essere se non quella di ringraziare  il Signore di questo ennesimo dono che mi fa, nonostante tutti i miei handicap. (Giuseppe Caffulli, Povero tra i poveri).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Ottobre 2010ultima modifica: 2010-10-03T23:01:00+02:00da fraternidade
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