Giorno per giorno – 03 Settembre 2010

Carissimi,

“I farisei e i loro scribi dissero a Gesù: I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere; così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!” (Lc 5, 33). Anche la comunità di Luca doveva vivere questa tensione tra l’inedita ma esigentissima libertà introdotta dalla prassi di Gesù e il fascino sottile delle regole, delle norme, dei costumi, delle tradizioni. Delle identità definite e preconfezionate, insomma. Che ci impediscano, possibilmente, di pensare e di scegliere, liberamente e responsabilmente, e di confrontarci con la realtà vera e le sue sfide. Gesù conosceva il rischo dei riti e delle liturgie che si sostituiscono alla vita e distolgono dai problemi della gente (pensiamo al prete e al levita, che abbandonano il poveretto assalito dai ladroni sul ciglio della strada), si costituiscono come spazi separati di autocontemplazione e autogratificazione, dove Lui non c’è già più, ci siamo solo noi, ministranti, cantori, teatranti. Una versione adattata alle anime religiose della vicenda dell’epulone, nella quale le portate che soddisfano la gola sono sostituite da quelle che dilettano certo spirito. Appunto: riti, costumi, tradizioni, bandiere, uniformi, paramenti (anche se, sotto il vestito, niente). Di effetto garantito ma, soprattutto, limitato nel tempo e nello spazio. Gesù non ci sta. Ciò che determina le nostre liturgie, i nostri digiuni come le nostre sacre refezioni, i nostri canti e le nostre preghiere, deve essere la presenza o l’assenza dello sposo. Che è sempre lui: il Povero della storia. Se i poveri sono “dentro” le nostre assemblee, le nostre chiese, le nostre intenzioni, le nostre lotte, le nostre scelte, le nostre vite, quando il prete ci augura: Il Signore sia con voi!, noi gli risponderemo gridando: Lui sta già in mezzo a noi! E la liturgia sarà una gran festa, anche se non avremo di che mangiare. Ma se “loro”, i poveri, (anche i “nuovi poveri” come ci suggeriva la nostra amica Marisa tempo fa) saranno fuori, lontani dal nostro orizzonte, sarebbe meglio non andassimo a profanare l’Eucaristia, rispondendo con un sonnacchioso “Lui sta in mezzo a noi”, sapendo di mentire al prete, a noi stessi, a Lui. Otri nuovi dobbiamo essere, per reggere l’effervescenza di questo messaggio. Che, poi, è il suo Messaggio, dall’origine dei tempi, oltre ogni tradizione e rito. Da quando modellò a sua immagine e somiglianza i cuccioli dell’uomo (ma soprattutto della donna) e decise che se ne sarebbe preso cura per sempre. E questo l’avrebbe distolto, nei secoli dei secoli,  dai suoi cori d’angeli e d’arcangeli e sottratto alla commensalità coi santi. In paradiso e nei templi della terra. Ma noi ci stiamo?

 

Oggi la Chiesa celebra la memoria di Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa. In America Latina noi ricordiamo anche Mons. Ramón Bogarín, pastore e difensore dei diritti umani in Paraguay.

 

03 Gregorio Magno.jpgGregorio era nato a Roma nel 540 circa. Nominato prefetto di quella  città a trent’anni, esercitò l’incarico riscuotendo la generale ammirazione. Tuttavia, alla morte del padre,  disgustato dal basso livello che caratterizzava la classe politica e la gestione della cosa pubblica, scelse la vita monastica. Fu notato dal papa Pelagio II, che lo ordinò diacono e, poco dopo, nel 579, lo inviò come suo emissario alla corte imperiale di Bisanzio, dove restò per sette anni. Tornato nel suo monastero, conobbe negli anni immediatamente successivi le incursioni, i saccheggi e i massacri  che investirono la penisola ad opera dei longobardi, accompagnati da carestie e pestilenze che colpirono pesantemente le popolazione italiche. Alla morte di Pelagio II, fu eletto, nonostante le sue resistenze, alla cattedra di vescovo di Roma, il 3 settembre del 590. Si mise subito al lavoro, ripulendo la curia romana di presuli e laici corrotti e simoniaci, sostituendoli con monaci umili e obbedienti. In una società civile e religiosa in profonda crisi, Gregorio divenne figura di riferimento di primo piano: fondò nuovi monasteri; avviò una politica di dialogo con i barbari che occupavano in armi i territori della penisola; organizzò l’amministrazione dei beni pubblici, si preoccupò degli acquedotti, lottò a favore dei contadini e contro i potenti che cercavano ancora di ridurli in schiavitù, promosse l’evangelizzazione dell’Inghilterra. Lasciò una poderosa mole di scritti (omelie, dialoghi, lettere, trattati di pastorale). Morì il 12 marzo 604.

 

03 Ramon BOGARÍN.jpgRamón Pastor Bogarín Argaña  era nato il 30 marzo 1911, nella famiglia di María de las Nieves Argaña  e di José Patricio Bogarín González  a Ypacarai (Paraguay), a una quarantina di chilometri dalla capitale, Asunción. Completati gli studi secondari e il servizio militare, si iscrisse, dapprima, alla Facoltà di Medicina nell’Università Nazionale, poi, insoddisfatto, a Ingegneria Meccanica, in Francia, ma anche in questo caso  desistette presto, scegliendo di avviarsi al sacerdozio, prima nel seminario di Saint Ilan, sempre in Francia, e poi al Collegio Pio Latinoamericano di Roma, dove restò sette anni e dove fu ordinato prete nel 1938.  Tornato in patria, all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, il giovane prete fondò, nel 1940, la Gioventù Operaia. Durante la dittatura del generale Higinio Morínigo, al potere dal 1940 al 1948, fondò e diresse il settimanale Trabajo, di orientamento socialcristiano, che dovette però cessare le pubblicazioni in seguito alla minacce dei settori filogovernativi. Nel 1957, alla creazione della nuova diocesi di San Juan Bautista de las Misiones, fu designato suo vescovo residenziale. Nel 1961 rappresentò l’episcopato paraguaiano in seno al CELAM (Consiglio Episcopale Latinoamericano). Prese parte attivamente a tutte le sezioni del Concilio Vaticano II, di cui aveva anticipato di quasi vent’anni il tema della Chiesa dei poveri. Durante gli anni della dittatura del generale Stroessner, salito al potere nel 1954, Mons. Bogarín non cessò di denunciare coraggiosamente le persistenti violazioni dei diritti umani da parte del regime, le persecuzioni messe in atto contro i settori democratici e contro le Leghe agrarie cristiane, da lui stesso fondate per organizzare i contadini poveri e, più in generale, l’iniquità di un sistema che favoriva solo pochissime famiglie, a danno della maggioranza della popolazione. Morì di infarto al miocardio il 3 settembre 1975.

 

Le letture che la liturgia propone oggi alla nostra riflessione sono tratte da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap.4,1-5; Salmo 37; Vangelo di Luca, cap.5, 33-39.

 

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che confessano l’unicità del Dio clemente e ricco in misericordia.

 

Noi ci si congeda qui, con il brano di un’omelia di Gregorio Magno, che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me (Gv 10, 14). Esaminatevi, fratelli carissimi, per vedere se siete veramente le sue pecore; esaminatevi per vedere se lo conoscete e se non ignorate la luce della verità. lo intendo dire: se conoscete, non nella fede, ma nell’amore; se conoscete – dico – non a parole, ma a fatti. Lo stesso evangelista Giovanni che ci ha detto queste cose, conferma dicendo: Chi afferma di conoscere Dio e non segue i suoi comandamenti, è mentitore (1Gv 2, 4). E nel nostro testo il Signore aggiunge: Così come il Padre conosce me, io conosco il Padre e dò la mia vita per le mie pecore (Gv 10, 15). E’ come se dicesse chiaramente: in questo si manifesta che io conosco il Padre e che sono da lui conosciuto, perché dò la mia vita per le mie pecore. In altri termini: questa carità che mi fa morire per le mie pecore, dimostra quanto io ami il Padre… E di queste pecore dice ancora: Le mie pecore odono la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono e io do loro la vita eterna (Gv 10, 27-28). Un po’ sopra aveva detto di loro: se qualcuno entra per mezzo mio sarà salvo; entrerà, uscirà e troverà pascoli (Gv 10, 9). Entrerà con la fede, uscirà invece passando dalla fede alla visione, dalla facilità a credere alla contemplazione e troverà pascoli nell’eterno festino. Le sue pecore troveranno pascoli, perché chiunque lo segue con cuore semplice, è nutrito con pascoli eternamente ubertosi. E quali sono i pascoli di queste pecore se non le gioie intime di un paradiso sempre verdeggiante? Infatti il pascolo degli eletti è il volto sempre presente di Dio…. Fratelli, riempiamo d’ardore il nostro cuore; che la nostra fede si consolidi e si infiammi il nostro desiderio per le cose celesti: amare così è già mettersi in cammino. Nessuna avversità ci distolga dall’intima gioia di questa festa, perché se qualcuno desidera raggiungere il fine che si è stabilito, nessuna asperità del cammino potrà arrestare il suo ardore. Nessuna seducente prosperità ci lusinghi, perché sarebbe stolto il viaggiatore che – guardando l’ameno paesaggio – dimenticasse di andare dove voleva. (Gregorio Magno, Homilia XIV in Evangelia).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Settembre 2010ultima modifica: 2010-09-03T23:15:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo