Giorno per giorno – 04 Settembre 2010

Carissimi,

“Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani. Alcuni farisei dissero: Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?” (Lc  6, 1-2). “Il Sabato è il dono più prezioso che l’umanità abbia ricevuto dal tesori di Dio” scriveva il rabbino Abraham Heschel. E, forse, è vero. Noi lo potremmo definire lo spazio della gratuità, della libertà, della contemplazione, dell’amore. O il tempo dell’incontro gioioso tra Dio e i suoi figli, senza più impedimenti od ostacoli di sorta. È come l’amplesso per una coppia di sposi. O come dovrebbe essere l’Eucaristia per i cristiani. Ma gli uomini sono capaci di rovinare tutto. E se dalla Legge o dalla saggezza dei popoli è sensato attendersi che diano indicazioni di massima perché, di un’esperienza felice, non venga tradito il senso, ecco che, subito, qualcuno si inventa legislatore aggiunto, censore, inquisitore, giudice e, nel caso, boia. Succede a quei farisei del racconto di oggi, a cui il tempo che dovrebbe essere tutto per Dio non impedisce di sbirciare ossessivamente sull’operato degli uomini, tradendo così, loro per primi, il significato del Sabato. Ma, succede anche in molti altri casi, come nella fiduciosa consegna di sé all’abbraccio nuziale, che deve subire l’incursione malevola e lo sguardo sospettoso di chi non ha mai letto il Cantico dei Cantici; o nella celebrazione del mistero dei misteri, quello del corpo di Dio ridotto a un pezzo di pane, che si dona per farci vivere della sua stessa vita, banalizzata da chi si perde a determinare formule, gesti e giravolte e a misurarne meticolosamente e piuttosto biecamente l’osservanza. E il dono di Dio già non c’è più, soffocato dall’insipiente presunzione umana. Davanti a tutto questo, Gesù riafferma: “Il Figlio dell’uomo (o, anche, il suo significato: il dono di sé, la misericordia, l’amore), è signore del sabato” (Lc 6, 5), è, cioè, l’interpretazione più vera di ogni legge, che sia la Sua Legge, così come di ogni culto e celebrazione, di ogni vita, insomma, che accetti di fluire dalla Sua. Il Figlio dell’uomo è signore anche nostro?  

 

Oggi il calendario ci porta le memorie di Mosè, profeta, guida e legislatore d’Israele;  Albert Schweitzer, teologo, filosofo, organista, medico e missionario in Africa; Rabbi Simcha Bunam di Pžysha, mistico ebreo, André Jarlan, prete e martire in Cile.

 

04 MOSÈ.jpgFigura dominante nella Bibbia, dall’Esodo al Deuteronomio, per l’ebraismo tradizionale è considerato “Padre dei profeti”, il profeta maggiore, superiore a tutti coloro che lo precedettero e lo seguirono. Nell’ebraismo che seguì la diaspora, Mosè é “Moshè Rabbenu”, “Mosè, nostro Maestro”. La sua storia, che ha come unica fonte la Bibbia,  si svolge, probabilmente, all’epoca del faraone Ramses II (1301-1234 a.C.). Alla guida del suo popolo, per quarant’anni, durante il lungo viaggio attraverso il deserto, gli fornì una formazione religiosa, basata  sul culto esclusivo di Jhwh, il Dio che libera [Israele] dalla schiavitù, facendone suo popolo testimone. Mediatore dell’Alleanza sul Sinai, Mosè pose le basi dell’organizzazione sociale e legislativa di Israele, quale nazione indipendente. Giunto alle soglie della terra promessa, punito da Dio a non entrarvi, potè però contemplarla, prima di morire, dalla cima del monte Nebo. La morte avvenne il 7 del mese di Adar dell’anno 2488 [dalla creazione del mondo]. Dio stesso seppellì Mosè, nella valle, nel paese di Moab, davanti a Beth Pe’or, secondo l’espresso desiderio del suo servo. Che volle con ciò testimoniare che continuava ad amare tutti come suoi propri figli, anche quanti avevano peccato gravemente contro Dio (cf Nm 25,3).

 

04 ALBERT SCHWEITZER.jpgAlbert Schweitzer nacque in Alsazia (all’epoca tedesca, ma oggi francese), il 14 gennaio 1875, figlio di un pastore luterano. Studiò a Strasburgo e a Parigi, dove, nel 1900, ottenne il dottorato in filosofia e teologia. Ben presto si fece conoscere come pregevole organista e profondo conoscitore della musica di Bach. La notte di Pentecoste del 1905, Schweitzer decise di lasciare l’insegnamento accademico e la brillante carriera, per dedicare la vita alla lotta contro la miseria e la sofferenza. A tal fine, decise di studiare medicina. Nel 1913, lui e la moglie, Hélène Bresslau, partirono alla volta di Lambaréné, nell’attuale Gabon, dove costruirono l’ospedale che, in seguito, diventerà famoso. Schweitzer era profondamente convinto della responsabilità e del debito infinito accumulato dai cristiani bianchi nei confronti dell’Africa, attraverso il dominio coloniale. La sua vita e la sua dedizione come medico furono, per lui, il modo di pagarne personalmente una piccola quota. Nel 1952 ricevette il Premio Nobel per la Pace. Morì il 4 settembre del 1965.

 

04 Rabbi Bunam.jpgRabbi Simha Bunam era nato a Voidislav (Polonia) nel 1767. Ebbe modo di lavorare come scrivano, mercante di legna e farmacista. Introdotto nel chassidismo dal suocero, divenne dapprima discepolo di Rabbi Israele, il Magghid di Kosnitz, e, in seguito di Rabbi Giacobbe Isacco (il “Chozeh” o Veggente) di Lublino, da cui si distaccò per seguire a Pžysha, l’omonimo discepolo di quello, detto lo Jehudi, divenendo in poco tempo il più caro dei suoi allievi. Al punto da essere scelto, alla sua morte, benché riluttante, come  suo successore dalla grande maggioranza dei chassidim di Pžysha. Secondo le parole di Martin Buber “L’insegnamento, quando vi si mise veramente, era per lui un impegno vitale, grave di responsabilitá; e il suo influsso sui giovani, che venivano da ogni parte e lo scongiuravano di lasciarli vivere vicino a lui, era sconvolgente. Poiché i giovani lasciavano per lui casa e mestiere, le famiglie in tutto il paese lo osteggiavano come nessun altro”.  Un giorno i suoi scolari  chiesero a Rabbi Bunam: “Da che cosa riconosciamo, in questa epoca senza profeti, se un peccato ci è stato perdonato?”. Rispose: “Lo riconosciamo dal fatto che non commettiamo più il peccato”. Disse una volta: “Sì, io posso indurre a conversione tutti i peccatori, ma i bugiardi no”. Rabbi Simha Bunam morì il 12 elul 5587 (4 settembre 1827).     

 

04 Jarlan-Pouccel.jpgAndré Jarlan era nato in Francia il 25 maggio 1941.  Ordinato prete a Rodez, nell’Aveyron, il 16 giugno 1968, era stato destinato alla parrocchia di Aubin. Le sue esperienze con la Gioventù e l’Azione operaia cattolica e, più tardi, come prete operaio, assieme ai numerosi incontri con missionari lo portarono a maturare la vocazione missionaria. Chiese allora ed ottenne di essere inviato come prete “fidei donum” in Cile, dove giunse nel febbraio del 1983, in piena dittatura pinochetiana, stabilendosi a La Victoria, un quartiere povero della periferia di Santiago. Abitando con un altro prete, Pierre Dubois,  in una casa di fango e paglia come quelle dei vicini, si dedicò, con pazienza e allegria, ai bambini, ai giovani e alle categorie più emarginate: drogati, disoccupati e senza-tetto. Il 4 settembre 1984, gli abitanti di La Victoria promossero una manifestazione di protesta. Giunsero sul posto plotoni di polizia che le repressero con estrema violenza. I preti si diedero da fare per soccorrere i feriti, consolare, incoraggiare. Al tramonto, approfittando di un momento di calma, André si ritirò in camera a pregare. Era seduto al tavolino, con la Bibbia aperta, quando, nel quartiere,  giunse di nuovo la polizia. Due proiettili attraversarono le pareti e una lo raggiunse alla testa. André reclinò il capo sulla Bibbia aperta al salmo 130, che si apre con: “Dal profondo a te io grido, Signore; Signore, ascolta la mia voce”. Il giorno 7, migliaia di abitanti del quartiere accompagnarono la bara portata a spalle fino alla cattedrale dove l’arcivescovo, durante l’Eucaristia, disse: “André, fratello, il tuo sacrificio comincia a fiorire con la fecondità che Dio concede a chi dà la vita per amore”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap.4, 6b-15; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap. 6, 1-5.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Ci siamo dilungati (e vi avremo stancati) anche troppo, così ci congediamo qui, lasciandovi ad un insegnamento di Rabbi Simha Bunam, tratto da “I racconti dei Chassidim” (Garzanti) di Martin Buber. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Rabbi Bunam raccontava: “Quando il santo Baalshemtov fece i chassidim, l’Istinto del Male si sentì in grande angustia perché, disse alle sue schiere, ‘ora i chassidim del Baalshem incendieranno il mondo con la loro santità’. Ma poi trovò un rimedio. Travestito e contraffatto, andò da due chassidim che vivevano insieme in una città e disse: ‘Le vostre opere sono lodevoli, ma dovete diventare almeno dieci, perché possiate pregare insieme’. Andò a prendere otto dei suoi e li mise insieme a quelli. Ma poiché mancava loro il denaro per un rotolo della Scrittura e altro ancora, andò a prendere un uomo ricco dei suoi e lo condusse da quelli perché desse loro ciò di cui avevano bisogno. Così fece dappertutto. Ma quando fu arrivato a questo punto, disse alle sue schiere: ‘Ora non abbiamo da temere più niente, perché abbiamo la maggioranza e questa decide’.”  (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 04 Settembre 2010ultima modifica: 2010-09-04T23:12:00+02:00da fraternidade
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