Giorno per giorno – 31 Agosto 2010

Carissimi,

“Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio! Gesù gli ordinò severamente: Taci! Esci da lui. E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male” (Lc 4, 33-35). Nella sinagoga, dice il Vangelo. Che, oggi, sarebbe come dire nella comunità, in chiesa. Che paradosso! Gesù trova i suoi primi nemici, i suoi contestatori, proprio nello spazio in cui è proclamata la Parola di Dio. Ieri nella sinagoga di Nazareth, oggi in quella di Cafarnao. Là, Gesù, annunciando la sua missione, aveva denunciato l’incapacità dei fedeli (“fedeli a che cosa, poi?) di leggere i segni dei tempi, cioè, l’inedito irrompere di Dio nella storia, acciecati com’erano da un immobilismo religioso, che si limita a ripetere formule e riti, con in più la vana pretesa di monopolizzare Dio e il suo agire salvifico. E Gesù che se la ride: non avete capito niente, avete sbagliato tutto. Se pensate che la religione consista nell’andarsi a comprare una qualche forma di salvezza personale, e non invece nell’accogliere come vocazione e assumere come progetto di vita la salvezza degli altri, siete già perduti. Io, Dio, sto dalla parte degli altri, pagani per primi (magari nell’accezione letterale del termine, gli “abitanti dei villaggi” della periferia di questo mondo, di questo sistema imperante), quelli che indispongono tanto i paesi dell’opulenza, perché, dopo essere stati per secoli, proprio da questi,  colonizzati, sfruttati, saccheggiati, impoveriti, giungono a rivendicare il diritto alla vita, che con “superficialità” e “imprudenza” qualcuno gli deve aver predicato. Dio sceglie gli affamati e i lebbrosi del mondo. E chi vuole stare con Dio, sa, perciò, da che parte andare. Senza troppo preoccuparsi, se questi hanno appreso lingua e regole della grammatica del proprio paese. “Se no, se ne tornino a casa!”, secondo il consiglio scaturito dal genio più leghista che cristiano di un noto filantropo torinese. Il buon Dio per scendere a terra ha fatto lo sforzo di impararsi l’ebraico, non ci ha fatto l’esamino sulla sua, di lingua. Cafarnao, nel Vangelo di oggi, è dove Gesù  perde la pazienza. Con il diavolo che è in noi. Con il diavolo in sé, con le sue suggestioni, l’aveva già persa nel deserto. E l’aveva mandato a quel paese. Ora, invece, affronta il principio della divisione che ci abita. Quello che ci fa affermare di credere che Gesù è la verità di Dio e che, subito dopo, ci porta a parlare e ad agire al contrario di ciò che fa ed è Lui. Sì, noi abbiamo ragione di temere: Lui è venuto per la nostra rovina. Per la rovina di noi, prostrati davanti agli idoli del potere, timidi, reticenti, collusi con i potenti di turno; cappellani di corte, invece che profeti; pronti a celebrare i fasti dei vincitori, piuttosto che accompagnare il Dio delle loro vittime. Possa egli salvarci ancora una volta e sempre, sibilando il suo “Taci, esci da costui, esci da costoro!” e restituendoci alla semplicità e alla coerenza di una sequela senza più doppiezze. 

 

Il calendario ci porta oggi le memorie di Mons. Leónidas Proaño, pastore povero tra i suoi indigeni, e John Leary, giovane al servizio della vita e della pace. A tempo pieno.

 

31 Leónidas Proaño,.jpgVescovo di  Riobamba (Equador), taita (papà) e liberatore degli  indios, profeta della Chiesa latino-americana, Leónidas Eduardo Proaño Villalba era nato il 29 gennaio 1910, a San Antonio de Ibarra, nella Provincia di Imbabura, in Ecuador, figlio unico, solo perché i fratelli, nati prima di lui, erano morti prematuramente. Quando, terminata la scuola, stava frequentando filosofia, decise di farsi prete, per essere “parroco di campagna e dedicarsi agli indigeni”. Ordinato presbitero nel 1936 e consacrato vescovo di Riobamba nel 1954, scelse di ascoltare, condividere, dialogare con la gente, vittima secolare dell’egoismo, della menzogna istituzionalizzata, della miseria e della disperazione. Diede così avvio alla “nuova evangelizzazione” che intendeva promuovere l’organizzazione contadina, la sua autonomia economica e il riscatto della cultura indigena. Lo chiamarono il “vescovo rosso”. Lui rispose: “Non sono marxista, né comunista, cerco solo di essere fedele al Vangelo”. Quando, compiuti 75 anni, si ritirò dalla guida della diocesi, accettò le sofferenze causate da un cancro, senza ricorrere a cure straordinarie. Le sue ultime parole, in piena lucidità di mente, furono espressione di un drammatico esame di coscienza e denunciarono la grande responsabiltà della Chiesa per il peso sopportato dagli indios durante i secoli. Il  Taita-Vescovo entrò nella casa del Padre, accolto da milioni di fratelli indigeni, il 31 agosto 1988.

 

31 John Leary.jpgNon sono molte le notizie che abbiamo su John Leary, ma sappiamo che, quando l’Amico gli si fece incontro definitivamente, era il 31 agosto 1982. Lui, come ogni giorno, stava percorrendo di corsa la strada che separa il Centro di Pax Christi, a Cambridge, dalla Haley House, la comunità del Catholic Worker a Boston, dove viveva. Un infarto fulminante lo fermò a metá del cammino. John aveva solo ventiquattr’anni, di cui, gli ultimi sei, li aveva trascorsi a Boston, studiando all’Harvard College e dedicando il resto del suo tempo ai prigionieri, ai senzatetto e agli anziani o coinvolgendosi in proteste e manifestazioni contro le spese militari, la pena di  morte, l’aborto. Un paio di volte, era persino finito dentro.  Giusto poco prima di morire si era laureato con pieni voti e lode in Scienze Religiose ad Harvard. Quanti lo incontravano restavano colpiti dalla sua allegria, dalla sua semplicità, dalla sua saggezza, così rara nei giovani della sua età. John era cresciuto in una modesta famiglia cattolica di origine irlandese nel New England.  Ispirato da figure come Dorothy Day e Thomas Merton, aveva scoperto la via nonviolenta della croce di Gesù, nella dedizione agli altri, e se ne era appassionato. Partecipava ogni giorno all’Eucaristia, passava ore a leggere la Bibbia, pregava il rosario, e faceva spesso ritiri in un monastero trappista locale. Mentre faceva jogging, soleva recitare la preghiera del Nome. Sicché, quell’ultimo pomeriggio, dev’essere successo che Lui, a sentirlo per l’ennesima volta chiamare: “Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivo”, gli si è fatto incontro e gli ha detto: Eccomi. E se l’è portato via.   

 

I testi che la liturgia di oggi propone alla nostra riflessione sono tratti da:

1ª Lettera ai Corinzi, cap.2, 10b-16; Salmo 145; Vangelo di Luca, cap.4, 31-37.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Abbiamo parlato più sopra del “principio di divisione” che ci abita, e potremmo definire “esortazione alla coerenza” questo brano di P.Casaldaliga e J.M.Vigil, tratto da un testo che ha come titolo “Fedeli nella vita di ogni giorno”. L’abbiamo trovato nel sito di Giovani e Missione e ve lo proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’utopista, il rivoluzionario, il santo caratterizzato dallo spirito liberatore è una persona coerente: la sua fedeltà muove dalla radice della sua persona per arrivare fino ai minimi dettagli che gli altri trascurano: l’attenzione ai piccoli, il rispetto totale ai subordinati, l’estirpamento dell’egoismo e dell’orgoglio, la preoccupazione delle cose comuni, il generoso impegno nei lavori non rimunerati, l’onestà nei confronti delle leggi pubbliche, la puntualità, il riguardo per gli altri nella corrispondenza epistolare, il non fare distinzione di persone, il non lasciarsi comprare dal denaro… La delicata fedeltà quotidiana è la migliore garanzia della credibilità delle nostre utopie. Più coltiveremo l’utopia, più vivremo la quotidianità! Dice un proverbio che “ogni uomo ha il suo prezzo”: di fronte a una certa offerta (per una quota più o meno grande di denaro, potere, protagonismo, comodità, sesso, fama, adulazione…) ogni persona finisce qualche giorno per cedere, per vendere la sua coscienza, la sua dignità, la sua onestà… La corruzione è, a molti livelli, una piaga impressionante nei nostri paesi. L’uomo e la donna nuovi, ripieni di spirito, sono davvero incorruttibili anche nel piccolo, anche nei giorni grigi. Il giorno-per-giorno è il test più affidabile per mostrare la qualità della nostra vita e lo spirito da cui è animata. E’ qui che occorre dimostrare la verità di parole d’ordine come: “Essere ciò che si è. Dire ciò che si crede. Credere ciò che si predica. Vivere ciò che si proclama. Fino alle ultime conseguenze e nelle piccolezze della vita quotidiana”. Questa del giorno-per-giorno viene a essere una delle principali forme di “ascetica” della nostra spiritualità. L’eroismo della realtà quotidiana, domestica, abituale, l’eroismo della fedeltà che arriva fino ai dettagli oscuri e anonimi. La fedeltà vissuta giorno per giorno viene a essere uno dei principali criteri di autenticità. Perché “quelli che possiedono il messaggio di liberazione non sono gli stessi che liberano realmente”. Dimmi come vivi una giornata comune, una giornata qualsiasi, e ti dirò se è valido il tuo sogno di un domani diverso. (P.Casaldaliga e J.M.Vigil, Fedeli nella vita di ogni giorno).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 31 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-31T23:38:00+02:00da fraternidade
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