Giorno per giorno – 24 Agosto 2010

Carissimi,

“Filippo trovò Natanaèle e gli disse: Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret. Natanaèle gli disse: Da Nàzaret può venire qualcosa di buono? Filippo gli rispose: Vieni e vedi” (Gv 1, 45-46). E Natanaele, pur diffidente, va. Natanaele, che la tradizione ha voluto identificare con l’apostolo Bartolomeo (anche per il fatto che questo nome, anzi, il patronimico “figlio di Tolomeo”, nell’elenco dei Dodici, segue sempre quello di Filippo), è immagine di quanti sanno mettersi in discussione, senza restare prigionieri di opinioni o convinzioni pur maturate nel tempo, aprendosi alla novità che viene incontro, spesso da situazioni e ambienti, i più poveri, umili, impensati. Nazareth, per esempio. Oggi, forse, almeno per noi, diceva Nadia stasera, a casa di Suely, Goiás e la sua gente. C’è una verità che si comunica oltre ogni parola, concetto, astrazione, ed è ciò che fluisce dalla vita e ti chiede solo di venire a vedere. E di lasciarsi interpellare e coinvolgere. Cioè, convertire. Natanaele è allora la Chiesa, cioè, la nostra comunità e noi stessi, quando accettiamo, ogni volta di nuovo, la sfida di Nazareth (i senza-potere della storia), che smentisce persino la parola di Dio, come noi fino ad allora possiamo averla intesa. Ma che, come suggerisce l’amico Filippo, è già in grado di rileggerla e reinterpretarla del tutto coerentemente sotto il segno di Gesù, “colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti” (v.45).  E ci chiede di operare il salto della fede. Riconoscendo in essa il luogo in cui si manifesta la verità (il Figlio) di Dio, la sua regalità (nel servizio), in un incessante comunicarsi: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo” (v.51).  Il Figlio dell’uomo è Gesù. Ma potrebbe essere anche ognuno di noi, l’umanità intera. È il sogno di Dio.

 

Oggi la Chiesa celebra la memoria di Bartolomeo apostolo, a cui noi si aggiunge il ricordo di Simone Weil, mistica, prigioniera di Cristo, e di Alfredo Fiorini, missionario e martire in Africa.

 

24 BARTOLOMEO.JPGBartolomeo (sec.1°), figlio di Tolomeo, fu uno dei dodici apostoli. A partire dal IX secolo, alcuni lo vollero identificare con Natanaele, menzionato nel Vangelo di Giovanni: “Gesù vide venire Natanaele e disse: ‘Questo è un vero israelita, un uomo senza inganno” (Gv 1,45 ss).  Matteo, Marco, Luca e gli Atti fanno riferimento a lui come a uno dei Dodici. Un’antica tradizione armena afferma che l’apostolo Bartolomeo, dopo aver predicato l’Evangelo in India, si sarebbe recato in Armenia, portando la fede cristiana al re Polimio, alla sua sposa e a più di dodici città. Queste conversioni avrebbero provocato l’ira dei sacerdoti locali che ottennero dal fratello del re la condanna a morte dell’apostolo. La stessa tradizione  dice che fu spellato vivo e successivamente decapitato.

 

24_SIMONE_WEIL.JPGSimone Weil nacque a Parigi, il 3 febbraio 1909, in una ricca famiglia ebrea agnostica. Giovanissima, sentì fortemente l’esigenza di condividere la vita, i bisogni e le lotte degli “ultimi”. A tal fine, sceglieva di privarsi di tutto ciò che i più poveri non potevano comprarsi. Volle sperimentare la vita dura della manodopera comune delle fabbriche e delle campagne. Militante di sinistra, nel 1936 fu volontaria nelle file dei repubblicani durante la Guerra Civile spagnola, senza tuttavia arrivare ad uccidere nessuno. Nel 1938 aderì alla fede cristiana, senza però accettare il battesimo. Durante la 2ª Guerra Mondiale, collaborò con il movimento Francia Libera contro l’occupazione nazista. Visse letteralmente consumata nella dedizione di sé fino all’ultimo, in totale umiltà. Morì il 24 agosto 1943, a Londra, rifiutando cibo e medicine per solidarietà con le privazioni della popolazione della Francia occupata.

 

24 ALFREDO FIORINI.jpgAlfredo Fiorini era nato il 5 settembre 1954 a Terracina. Conseguita la laurea in medicina, nel 1982 era entrato nel Postulantato dei Missionari Comboniani a Firenze, e, al termine del noviziato, nel 1986, aveva fatto la sua professione religiosa. Conseguito il diploma in medicina tropicale e igiene, nel febbraio 1991 venne inviato in Mozambico. Il paese, devastato da undici anni di guerra civile, viveva una realtá di violenze, saccheggi, uccisioni, odi e vendette. Fiorini sarà l’unico medico ad operare in un territorio di duemila km², aiutato solo da una suora, un’ostetrica e  quattro portantini. Della sua scelta ebbe a scrivere: “La vivo come momento prolungato di innamoramento. Ritengo che il Signore usi due modi per chiamarci alla sua volontà, attraverso esperienze di grande gioia o esperienze di grande dolore. La grande gioia e il grande dolore si ritrovano uniti in maniera quasi paradossale nel momento in cui si è innamorati, quando si vive una situazione di pienezza e nello stesso tempo aspettando e desiderando il volto della persona amata”. Fu ucciso il 24 agosto 1992, da alcune raffiche di mitra sparate da un gruppo di guerriglieri del Renamo.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’apostolo Bartolomeo e sono tratti da:

Libro dell’Apocalisse, cap.21,9-14; Salmo 145 ; Vangelo di Giovanni, cap. 1,45-51.

 

 La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali del Continente africano.

 

Ieri è tornato a farci visita, a distanza di sue anni, l’amico Pasqualino di Parma, questa volta accompagnato dalla fidanzata, una ragazza indiana di nome Maria. Sarà un soggiorno lampo, quanto [non] basta per matar a saudade. Li ha accolti l’allegra euforia del bairro.  Ieri sera hanno ricoverato in ospedale seu Ciato e dona Almerita, entrambi colpiti da una forma violenta di influenza virale. Li mettiamo nella vostra preghiera.

 

Noi ci congediamo qui, lasciandovi alla lettura di un brano di Simone Weil, tratto dal suo “L’amore di Dio e l’infelicità” che troviamo nel sito di “Teologia Spirituale”. Che è assai bello ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Quando il benefattore di Cristo viene a trovarsi di fronte a un infelice, non avverte alcuna distanza fra se stesso e l’altro; trasporta tutto il suo essere nell’altro; di conseguenza l’atto di portare il cibo è istintivo e immediato come quello di mangiare quando si ha fame. E questa azione viene subito dimenticata, così come si dimenticano i pasti dei giorni passati. Un tale uomo non si sognerebbe mai di dire che si occupa degli infelici per il Signore; gli sembrerebbe assurdo come se dicesse che mangia per il Signore. Si mangia perché non se ne può fare a meno. Coloro che Cristo ringrazierà donano con la stessa naturalezza con cui mangiano. Essi donano ben più che un pezzo di pane, dei vestiti e delle cure. Trasportando il loro essere stesso in colui che soccorrono, gli donano per un momento quell’esistenza di cui egli è privato dall’infelicità. L’infelicità è essenzialmente distruzione della personalità, passaggio nell’anonimato. […] Colui che vedendo un infelice trasporta in lui il suo essere, fa nascere in lui per amore, almeno per un momento, un’esistenza indipendente dall’infelicità. Infatti, per quanto l’infelicità sia l’occasione di questo processo soprannaturale, non ne è però la causa. La causa è l’identità degli esseri umani attraverso tutte quelle distanze apparenti che il caso e la fortuna pongono fra di loro. Trasportare il proprio essere in un infelice significa assumere, per un momento, la sua infelicità, assumersi quindi volontariamente ciò la cui essenza consiste nell’essere imposto per costrizione e contro la volontà. È una cosa impossibile. Solo Cristo l’ha fatto. Soltanto Cristo può farlo, e gli uomini di cui Cristo occupa tutta l’anima. Costoro, trasferendo il loro proprio essere nell’infelice che soccorrono, mettono in lui non tanto il loro essere, perché essi non ne hanno più, quanto Cristo stesso.  (Simone Weil, L’amore di Dio e l’infelicità).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comuntà del bairro.

Giorno per giorno – 24 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-24T23:51:00+02:00da fraternidade
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