Giorno per giorno – 22 Agosto 2010

Carissimi,

“Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: Signore, sono pochi quelli che si salvano? Disse loro: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno” (Lc 13, 22-24).  Giovedì sera, la comunità si è riunita a casa del Postino, che dà sul muro di cinta di quello che qui è chiamato l’Asilo e che è il ricovero per malati di mente e non solo. C’erano, per la prima volta, anche irmã Paula e Índia, che abitano entrambe lì vicino. E, quando è cominciata la ruota dei commenti, ci sembra sia stata Valdecí a dire che la dimensione della salvezza ha a che fare con l’ingresso nel regno. Per questo Gesù parla di porta. Paola ha chiesto: già, ma cos’è questa porta? O meglio, chi è la porta? Il regno, poi,  come ci ripetiamo spesso, e come ha ricordato Rafael, è qualcosa che succede, o non succede, qui. Si tratta perciò di relazioni a cui alcuni accedono e altri no. Dipende da loro, da noi. Quando, giorni fa, abbiamo letto l’episodio del giovane ricco e del suo rifiuto a seguire Gesù, abbiamo udito l’amara constatazione con cui lo stesso Gesù se n’è uscito: com’è difficile per un ricco entrare nel regno dei cieli. Anche oggi ripete lo stesso concetto e anzi, a prima vista, sembra estenderne addirittura la portata: “Molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno”. E non si parla del paradiso, ma del nostro mondo trasformato. Che questo sia vero, del fatto cioè che il nostro mondo sia ben lontano da quello sognato da Dio per noi, è sotto gli occhi di tutti. E, spesso, le religioni, come anche le chiese, invece di essere “sacramento” del regno, sembrano adeguarsi alla mentalità del mondo e testimoniare così il suo contrario, tanto da valere per esse il rimprovero di Gesù, rivolto nel Vangelo di Matteo a scribi e farisei: “Voi chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; così che non vi entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci” e, peggio ancora: “Percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi” (Mt 23, 13.15). Parlando di chiese, non ci riferiamo solo, né soprattutto, ai pastori, tra cui, grazie a Dio, si trovano ancora (non sappiamo quanti, ma ci sono) quelli che si sottraggono all’andazzo generale. Il dubbio che sorge è che tale adeguamento sia invece diffuso proprio tra coloro che sono detti i “praticanti”, ma forse sarebbe meglio dire i “praticoni” della religione. Quelli che, per intenderci, gli va bene la messa alla domenica, ascoltare un po’ sonnacchiosi il vangelo, fare persino la comunione, mandare i figli a catechismo, ma se poi il prete gli ricorda cosa significhi e cosa esiga il Vangelo, scuotono la testa e “Per favore, reverendo, il Vangelo va bene in chiesa, poi fuori lasci fare a noi”. E a loro va bene tutto (o, forse, non va bene, ma tacciono e s’adeguano, appunto): i continenti della fame, l’economia che li genera e la politica che li protegge da essi: deportazioni, respingimenti, annegamenti, violenze. “Signore, aprici”, diranno un giorno. “Ragazzi miei non so proprio di dove siete!”. “Ma come, abbiamo mangiato ostie e bevuto il calice consacrato  e ascoltato la tua Parola tutte le domeniche e le altre feste comandate” (cf Lc 13, 26). “Beh, voi siete delle gran facce di tolla, andate al diavolo, per favore!”, gli verrebbe da dire. Ma si limiterà a lasciarli un po’ fuori, il tempo che basta per vedere tutti quelli che avevano pensato di escludere e di cacciare via, loro sì, seduti alla mensa del regno, alla tavola imbandita della fraternità. E piangeranno e sentiranno vergogna (v. 28). Così, per ultimi, ma solo per ultimi, Lui farà entrare anche loro. Dopo aver chiesto il permesso ai poveri, però. Che sono gente per bene.  Oggi noi abbiamo celebrato il battesimo di Carlos Eduardo, figlio di Ana Lúcia, che però lo ha lasciato a Divino, che forse ne è il padre, il quale lo ha affidato ai genitori, Marlene e João, che, da quasi quattro anni se lo crescono con amore e semplicità, come fosse loro. E questa è stata finora (e, forse, lo sarà sempre) l’unica maniera che il bimbo ha avuto di conoscere Dio: le carezze di questi due nonni, che sembrano saltati fuori dalla Bibbia, o da un racconto di fate. Che, oggi, hanno chiesto per lui il battesimo. Per cercare di confermare a lui (con l’impegno degli anni futuri)  e dire a noi (perché possiamo impararlo) che, di Dio, ci si può fidare, come e anche di piu dell’opera delle loro mani, e dell’intenzione del cuore che le guida. E questa è la fede. Di chi mangia e beve  di Lui, anche se non tutte le domeniche. E ne ascolta la Parola. E vive di essa. Questa è la porta stretta: essere Lui.

 

I testi che la liturgia di questa XXI Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Isaia, cap.66, 18-21; Salmo 117; Lettera agli Ebrei, cap.12, 5-7. 11-13; Vangelo di Luca, cap.13, 22-30.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Il calendario porta ci oggi la Festa di Maria,  Contadina di Galilea, che si volle serva e che Dio si scelse come regina.

 

22 INCORONAZIONE.jpgCome dire: Servire Dio (il suo progetto di liberazione dell’umanità, di ogni uomo e donna) è regnare. L’unico modo di regnare che Lui riconosce come suo. A maggior ragione nelle sue chiese. Ogni altra maniera si risolve quasi sempre in un’impresa a delinquere. 

 

Oggi facciamo memoria anche di  Alexis d’Ugine, presbitero ortodosso 

 

22 FATHER ALEXIS.jpgAlexis era nato il 1° luglio 1867 nel villaggio di Fomistchevo (distetto di Viazma), in Russia, nella famiglia di Ivan Medvedkoff, un semplice prete di campagna, che morì poco dopo la nascita del figlio. Nonostante le condizioni povere della famiglia, Alexis potè frequentare l’intero ciclo di studi classici che era offerto a quel tempo ai figli del clero sposato. Dopo aver lavorato per alcuni anni presso la chiesa dedicata a S. Caterina martire, a San Pietroburgo, ed essersi sposato, potè vedere coronato il suo desiderio di essere ordinato sacerdote, il 26 dicembre 1895. Già dal gennaio seguente si vide affidata una parrocchia molto povera, dedicata alla Dormizione della Vergine, a Vruda (provincia di San Pietroburgo), dove resterà 23 anni. Poco dopo lo scoppio della rivoluzione bolscevica del 1917, nel clima di persecuzione religiosa che si affermò, padre Alexis fu arrestato, picchiato e torturato a più riprese.  Condannato alla fucilazione, ebbe tuttavia salva la vita. Nel 1919, come molti altri compatrioti, si recò in esilio in Estonia, dove lavorò duramente, prima come minatore, poi come guardiano notturno, senza tuttavia mai tralasciare di celebrare la Divina Liturgia. Dopo  la morte della moglie, che lo lasciò solo con due figlie, nel 1929 chiese e ottenne di trasferirsi in Francia, dove il metropolita Euloge Guéorguievsky lo nominò rettore della piccola chiesa di Saint-Nicolas d’Ugine, in Savoia, il 15 dicembre dello stesso anno. Le sue relazioni con la comunità russa in esilio furono certamente la prova più dolorosa che gli toccò vivere, dovendo fare i conti con le lotte intestine che l’attraversavano e con i ripetuti tentativi degli opposti schieramenti di influenzarlo e di metterlo contro gli altri. Di carattere dolce e umile, si sforzò in diversi modi di essere per tutti fonte e causa di pace, quali fossero le condizioni sociali, gli orientamenti politici ed ecclesiali dei suoi fedeli.  La lotta e le persecuzioni che un piccolo gruppo di ex-militari gli mosse, con il tentativo di metterlo in cattiva luce agli occhi del metropolita, non riuscì ad ottenerne l’allontanamento, ma contribuì, assieme al duro lavoro e alle altre prove sostenute in passato,  a minarne la salute. Nel luglio 1934, padre Alexis fu ricoverato all’ospedale di Annecy, dove gli fu diagnosticato un tumore allo stomaco in via di generalizzazione. Nelle ultime settimane di vita, ricevette nella sua camera d’ospedale la visita di un numero crescente di persone, desiderose dei suoi consigli spirituali. A quanti l’avevano calunniato, mandò a chiedere perdono, affermandosi colpevole. Il giorno prima della morte, dopo essersi confessato e aver ricevuto la comunione, cantò a lungo inni religiosi. Morì all’alba del 22 agosto 1934. È stato canonizzato dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, il 4 febbraio 2004.

 

Beh, dato che, di Alexis d’Ugine, non disponiamo di scritti, scegliamo di proporvi, nel congedarci, la citazione di un autore ortodosso, Anthony M. Coniaris, tratta dal suo libro “Orthodoxy: A Creed for Today” (Light and Life Publishing), che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

L’uomo più felice che io abbia mai conosciuto, disse un pastore, era un tale che, quand’era solo un ragazzo di quindici anni era caduto e si era rotto la schiena. Da quarant’anni era costretto a letto, e poteva muoversi solo a costo di grandi dolori. Probabilmente, in tutto quel tempo, non aveva trascorso un sol giorno senza un’acuta sofferenza. Gli chiesere un giorno: “Satana non ti ha mai tentato, facendoti  dubitare di Dio  e pensare che sia un Signore crudele?”. “Oh sì, disse lui, lui cerca di tentarmi. Io giaccio qui e vedo i miei vecchi compagni di scuola andare in auto e Satana mi dice: Se Dio è così buono, perché ti ha tenuto qui per tutti questi anni? Avresti potuto essere ricco e guidare anche tu una limousine. Quando vedo qualcuno, che era stato giovane come me, camminare in perfetta salute, Satana mi sussurra: Se Dio ti amasse, non avrebbe potuto impedire che ti rompessi il collo?”. “E cosa fai quando Satana ti tenta?”. “Ah, mi limito a portarlo sul Calvario e gli mostro Cristo e gli addito le ferite che ha sulle mani,  sui piedi e sul costato, e dico: “Forse che Lui non mi ama?”.   (Anthony M. Coniaris, Orthodoxy: A Creed for Today ).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 22 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-22T23:15:00+02:00da fraternidade
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