Giorno per giorno – 11 Agosto 2010

Carissimi,

“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” (Mt 18, 15). Ieri, se non fosse stato per la memoria del martire Lorenzo, che prevede una sua specifica lettura tratta dal Vangelo di Giovanni, avremmo letto l’inizio del capitolo 18 di Matteo, con cui si apre il quarto discorso di Gesù, quello che raccoglie gli insegnamenti riguardanti la vita della comunità dei discepoli ed è per questo comunemente detto “Discorso comunitario (o ecclesiastico)”. Dunque, dopo il Sermone della Montagna (Mt 5-7), che ci additava i destinatari del Regno di Dio, coloro cioè sui quali Dio sa di poter regnare e di fatto regna, i poveri, e la giustizia e le relazioni nuove che esso instaura; e dopo il Discorso missionario (Mt 10), con cui Gesù istruisce i suoi su ciò che dovranno fare e ciò che li dovrà caratterizzare (la cura dei poveri, uno stile di vita povero, l’annuncio e la testimonianza di una società riconciliata), ma anche sugli ostacoli, le resistenze e le persecuzioni che incontreranno; e dopo il Discorso in parabole (Mt 13), in cui illustra la logica segreta che guida la crescita e l’espansione del regno; ora si preoccupa di chiarire chi debba essere al centro delle attenzioni di una comunità che voglia davvero testimoniare “quel” regno. E, per non smentirsi, si tratterà ancora dei piccoli, cioè, gli ultimi, gli oppressi, gli esclusi. E guai a coloro che ne metteranno a repentaglio la fede, cioè la fiduciosa e fondata attesa di una vita all’ombra della benedizione di Dio. Subito dopo, il Vangelo propone alcune regole che consentano di sanare contrasti, tensioni, incomprensioni, conflitti, che possano manifestarsi in seno alla comunità. Il tutto sempre all’insegna di un grande rispetto nei confronti di chi è ritenuto in errore. Perché la verità di cui si è investiti e che si pretende testimoniare – il regno, cioè, le relazioni nuove di fraternità e di cura reciproca – non sia smentita dai mezzi con cui la si persegue. Dunque, se si ritiene che qualcuno sbagli in qualcosa, c’è da avvisarlo, richiamarlo, discuterne con lui, in privato. Poi, non ottenendo nulla, è il caso di coinvolgere qualchedun altro, perché quattro occhi vedono meglio di due, e sei meglio di quattro, e in due o tre si opina meglio. Se si fallisce ancora nell’intento, proviamo a coinvolgere l’intera comunità nella discussione, chissà che lo Spirito suggerisca all’uno o all’altro una soluzione. Alla fine, però, ciò che più importa è che sia salva la libertà dell’ipotetico errante. In questo consiste, l’affermazione: “sia per te come il pagano e il pubblicano” (v.17). Cioè, non esigere nulla da lui. Esigi, piuttosto, da te, un comportamento nei suoi confronti, che sia come quello del tuo Maestro, che era “amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11, 19). Così, gratuitamente. E poi, limitati a pregare per lui, affidandolo alla benevolenza del Padre, perché se anche solo due o tre si accordano qui sulla terra per domandare qualunque cosa, Egli finirà per concederla, perché è come se fosse Gesù stesso a chiedergliela (cf 18, 19-20). E, in ogni caso, la vostra decisione di considerare qualcuno vincolato a un determinato comportamento, o scioglierlo invece da ogni obbligo, secondo la legge superiore della misericordia, sarà sempre ratificata in cielo (v.18). Già, questa è la prassi di una Chiesa, che voglia essere fedele a Cristo. E noi?

 

Oggi il nostro calendario ci porta la memoria di Chiara d’Assisi, povera per essere libera; John Henry Newman, pastore buono che seppe andare controcorrente; Maurice Zundel, profeta della povertà di Dio; e Yves de Montcheuil, prete, resistente, martire.

        

11_CHIARA_D_ASSISI.JPGChiara Offreduccio, nata nel 1193, era figlia di una nobile famiglia d’Assisi. A 18 anni, ascoltando l’omelia del suo concittadino Francesco, fu spinta a seguire l’esempio dei “fratelli minori”, consacrandosi ad una vita di povertà. Lottando con determinazione contro l’opposizione dei familiari, assieme ad Agnese, sua sorella più giovane, e altre compagne, Chiara andò ad abitare nell’oratorio di san Damiano. Era l’inizio delle “povere dame”, che sceglievano di dedicarsi alla preghiera, ad assistere gli ammalati e ad aiutare poveri ed emarginati, adottando una regola di vita di estrema austerità e di assoluta povertà, individuale e collettiva. Chiara morì all’alba dell’11 agosto 1253. 

 

11 Newman.jpgJohn Henry Newman era nato a Londra il 21 febbraio 1801 da John Newman e Jemima Fordrinier, entrambi appartenenti a famiglie di tradizione riformata. Battezzato nella chiesa anglicana, dopo gli studi a Oxford, fu, nel 1824, ordinato presbitero. Negli anni successivi, assieme ad altre figure di prestigio, diede vita al Movimento di Oxford, con il proposito di riformare la vita della Chiesa d’Inghilterra. Il 9 ottobre 1845, dopo un lungo periodo di riflessione, decise di passare alla Chiesa cattolica. Nel 1847, a Roma, fu ordinato presbitero nella congregazione dei preti dell’Oratorio di san Filippo Neri. Al tempo del Concilio Vaticano I (1869-1870), Newman giudicò inopportuna la definizione dell’infallibilità pontificia. Ma, quando, in Inghilterra, ci fu chi osservò che questo dogma rendeva i cattolici cittadini inaffidabili, affermò che in nessun modo l’obbedienza dovuta al papa, avrebbe minato il principio della responsabilità morale dell’individuo. La sua comprensione della storicità della dottrina, la sua difesa della laicità, il suo approccio non scolastico alla teologia, il suo spirito di tolleranza, la sua affermazione della separazione tra chiesa e stato, la sua celebrazione dei dirittti della coscienza, tutti questi valori concordano in profondità con la moderna sensibilità cattolica. Nominato cardinale nel 1879 da papa Leone XIII, morì ad Edgbastion l’11 agosto  1890.

 

11 MAURICE ZUNDEL.jpgMaurice Zundel era nato il 21 gennaio 1897 a Neuchâtel, in Svizzera. Una profonda esperienza mistica all’età di 14 anni gli farà percepire in Maria il sacramento dell’amore materno e verginale di Dio, che senza sosta dona, senza voler mai arrivare a  possedere l’altro. A questo e ad uno straordinario amore per i poveri comincerà da subito a conformare la sua vita. Entrato in seminario a Friburgo, fu ordinato sacerdote nel 1919, e, subito dopo, venne mandato come vicario nella parrocchia di san Giuseppe a Ginevra. Qui assunse subito posizioni coraggiose e innovatrici su temi ecclesiali, sociali ed economici, suscitando l’inevitabile ostilità degli ambienti più conservatori del clero. Fu così che il suo vescovo, mons. Besson, pensò bene di inviarlo a Roma, a riciclare la sua teologia nella facoltà tomista dell’Angelicum. Negli anni seguenti Zundel si recò, come predicatore itinerante, a Parigi, poi nuovamente in Svizzera, a Bruxelles, a Londra, al Cairo e a Beirut. Fu in quegli anni che Zundel scoprì la figura di Francesco d’Assisi e la sua povertà, che lo confermarono nella sua passione per uno stile di vita povero ed essenziale, e per la cura e l’attenzione nei confronti degli ultimi. Uomo di una curiosità insaziabile e di una cultura enciclopedica, prese l’abitudine di dormire tre ore per notte, studiando senza sosta per meglio comprendere il mondo. Nel 1972, Paolo VI lo chiamò in Vaticano a predicarvi il ritiro quaresimale. All’inizio del 1975 un’embolia lo rese muto fino alla morte, avvenuta il 10 agosto dello stesso anno.

 

11 Yves de Montcheuil.jpgYves de Montcheuil nacque nel 1900 a  Paimpol (Francia). A diciassette anni entrò nel noviziato della Compagnia di Gesù e nel 1922, compiuto il servizio militare, cominciò i suoi studi di filosofia, dando in tal modo seguito al lungo processo di iniziazione che caratterizza questa famiglia religiosa. Completò la sua formazione con uno straordinario lavoro personale, approfondendo soprattutto la filosofia di Maurice Blondel, ma anche quella di Kant, Bergson e di altri, spesso piuttosto trascurati negli ambienti clericali. Questo gli consentì di acquisire una cultura di una tale varietà e apertura da sorprendere ogni volta i suoi uditori. A partire dal 1930 intraprese i suoi studi di teologia. Ordinato prete, nel 1936 fu nominato professore all’Institut Catholique di Parigi, dove dispensò un insegnamento solido, chiaro, senza artifici. Contemporaneamente prese a dedicare le sue cure pastorali a studenti, professori, gruppi di preghiera, nonché alla JOC e all’Azione cattolica femminile. Durante la guerra entrò in resistenza spirituale, partecipando attivamente all’elaborazione dei quaderni di “Témoignage chrétien”, denunciando apertamente l’antisemitismo come incompatibile con il cristianesimo, chiamando i cristiani a ridestare le loro coscienze e a non aver paura di testimoniare la loro fede. Nel 1944 si unì alle formazioni partigiane del Vercors. Dopo un attacco nazista, avendo scelto di restare in una grotta ad accudire i feriti, assieme a medici e infermieri, fu con questi  catturato, imprigionato a Grenoble e fucilato, la notte tra il 10 e l’11 agosto 1944. Dopo la guerra, il teologo e futuro cardinale De Lubac, che ne era stato amico e ammiratore, contribuì a farne conoscere il pensiero teologico, anticipatore di molte visioni del Concilio Vaticano II. Scrisse: “Una vita salvata da un gesto di viltà, è peggiore della morte, è al di sotto della morte”.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap.9, 1-7; 10, 18-22; Salmo 113; Vangelo di Matteo, cap.18, 15-20.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con quanti ricercano l’Assoluto della loro vita nella testimonianza  per la pace, la fraternità e la giustizia.

 

ramadan.jpgOggi, per i nostri fratelli musulmani, è il primo giorno di Ramadan, il nono mese del calendario lunare islamico. Il digiuno (sawm) che lo caratterizza  consiste nell’astensione da cibi, bevande, rapporti intimi, fumo, ma anche da ogni altro cattivo pensiero o azione, durante l’intera giornata fino al tramonto. Una leggera refezione è consentita un poco prima dell’aurora, mentre, dopo il tramonto, il digiuno è rotto da un ricco pasto e da ore di allegro convivio, con musica, danze e giochi. Questa festa del digiuno, che dura un mese intero, vuole esprimere in primo luogo l’ubbidienza alla parola di Dio che l’ha comandata; educa il fedele alla pazienza, al trascendimento di sé, al controllo delle passioni, al dominio di istinti e pulsioni; lo stimola alla solidarietà nei confronti di  quanti sperimentano la fame durante tutto l’anno, e contribuisce ad una purificazione/disintossicazione del suo organismo. Beh, volendolo, ce ne sarebbe anche per noi. Per intanto, una felice festa ai nostri amici musulmani!

 

Questa volta, abbiamo davvero strafatto e speriamo che almeno qualcuno di voi abbia retto a questo po’ po’ di roba. Chi è arrivato fino a qui, non disperi, c’è ancora soltanto una citazione di Yves de Montcheuil, tratta dal suo “Leçon sur le Christ” (Édition de l’Épi). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La sofferenza non è segno dell’abbandono di Dio. Essa non è, come gli spiriti non ancora sufficientemente illuminati dell’Antico Testamento hanno creduto, segno che Dio abbandona chi patisce ai suoi nemici. In realtà colui che soffre sulla croce, è colui per il quale il Padre testimoniava: Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt. 3, 17). Chi è crocefisso, è colui nel quale Dio si compiace. […] Colui che soffre può ad ogni istante ripetere quella che fu l’ultima espressione di Cristo sulla croce: Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito! (Lc 23, 46). Egli può essere consegnato al tormento dell’abbandono sensibile: la fede gli darà la certezza che perfino nelle tenebre, volendolo, egli si trova nelle mani di un Padre che lo ama. Egli non è lontano da Dio; al contrario, è a lui vicino più di quanto non sia prossimo a tutto ciò che lo opprime. […] Grande consolazione è sentire attorno a noi l’affetto nella sofferenza, perfino quando questo affetto è impotente, quando viene da qualcuno che nulla può sugli avvenimenti. A maggior ragione, è fonte di grande pace credere all’amore di colui che permette alla sofferenza di raggiungerci e colpirci. Questa fede ci ispira l’abbandono; ci adatteremo allora ai disegni di Dio su noi. Solo nell’abbandono potremo estirpare dalla nostra sofferenza ogni impulso di rivolta e di rancore, che tanto facilmente si insinuano; né l’accoglieremo più con la rassegnazione degli stoici che non ha niente a che fare con la rassegnazione cristiana. Ora, il fatto che il Figlio di Dio ha sofferto, dà forza a questi sentimenti e solidità al nostro abbandono, in quanto ci assicura che, nel momento cruciale della nostra sofferenza, noi siamo avvolti dall’amore di Dio. Infatti, il simbolo della sofferenza, la croce, è nel medesimo tempo il simbolo dell’amore. Essa toccò in sorte a colui che il Padre ama soprattutto. La sofferenza, fisica o morale che sia, (lutto, separazione, insuccesso, delusione)… non è per questo attenuata o assopita. Essa acquista, invece, una qualità ed una risonanza del tutto diverse. Essa viene interiormente trasformata, prende un senso nuovo. (Yves de Montcheuil, Leçon sur le Christ).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 11 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-11T23:11:00+02:00da fraternidade
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