Giorno per giorno – 10 Agosto 2010

Carissimi,

“In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12, 24-25). Gesù, queste cose, le ha imparate (o reimparate) dai poveri. Forse, da una vicina di casa come dona Dominga. O, magari, era sua madre come dona Dominga, o come dona Aparecida, o Maria do Rosário, o molte altre. Perché loro, che leggono (o ascoltano) il Vangelo solo da poco tempo, alcune da qualche anno (ma è sempre poco tempo), queste cose le sapevano, ma, più ancora, le vivevano, già da prima. Per questo Gesù ci addita i poveri come depositari della verità di Dio. Lui che se la portava dentro come ragione unica della sua vita, incontenibile, pronta ad espolodere ad ogni momento, la coglieva poi dalle labbra e nei gesti dei più poveri e il Vangelo registra che se ne incantava e rideva di felicità. Noi, stamattina e, poi, stasera, a casa di dona Rita, questa cosa, l’abbiamo detta e ripetuta, proprio così, e le donne, a dire il vero ci guardavano tra lo stupito e lo scandalizzato, perché come immaginare che noi si sappia le cose come Gesù? Eppure è Lui che lo dice, mica ce lo inventiamo noi. E del resto, non è forse vero che le parabole che racconta sono così simili a quelle che raccontate voi? Ma, più ancora, non è vero che ciò che dice Lui, voi lo vivete già come una chiamata che portate da sempre in cuore? Questo morire poco a poco perché i vostri figli crescano e vivano, questo trovare la vostra ragione di vita nel dimenticare voi stesse. Il Vangelo dice “odiare” e chi vi vede sarebbe proprio portato a dire così anche di voi, se non fosse per il sorriso che, sì, qualche volta è stanco, ma vi accompagna sempre. Il Vangelo di oggi è motivato dalla memoria del martire Lorenzo (a cui noi abbiamo aggiunto quella di frei Tito), e dice in primo luogo del seme che si chiama Gesù che accetta appunto di morire per dare la vita ai suoi. E dice, poi, dei martiri di un giorno, quegli eroi coraggiosi che noi non sapremmo mai imitare. Ma, dice anche dei martiri di “ogni” giorno, come le madri, soprattutto, ma anche i padri, i figli e le figlie, i fratelli e le sorelle, i vicini, i lontani, gli sconosciuti, che, nel silenzio, nel nascondimento, ignorati dai più, generano ad ogni momento nuova vita. E, senza saperlo, sanno già tutto della vita di Dio, e vivono già in essa. Di essa. Noi si può solo guardare, stupirci, incantarci, e, se ci riesce, cercare di imparare qualcosa.  


Dunque, oggi, è memoria di Lorenzo, diacono della chiesa di Roma, e di Tito de Alencar Lima, frate domenicano, martire della dittatura in Brasile.

             

10_LOURENÇO.JPGLorenzo soffrì il martirio durante la persecuzione di Valeriano. Era il primo dei sette diaconi della Chiesa di Roma. Ricopriva un ruolo di rilievo nello svolgimento degli uffici ecclesiastici. Come diacono, Lorenzo era incaricato di assistere il papa nelle celebrazioni, amministrava i beni della Chiesa, provvedeva alle necessità dei poveri, degli orfani e delle vedove, dirigeva la costruzione dei cimiteri. Fu giustiziato con il papa Sisto II e i suoi collaboratori, il 7 agosto dell’anno 258.  Una tradizione, registrata un secolo più tardi dal vescovo di Milano, Ambrogio, asserisce che fu bruciato vivo su una graticola.

 

10_FREI_TITO.GIFTito de Alencar Lima  era nato a  Fortaleza, nel Ceará (Brasile), il 14 settembre 1945, da  Isaura Alencar Lima e Idelfonso Rodrigues Lima.  Dirigente regionale della Gioventù Studentesca Cattolica (ala giovanile dell’Azione Cattolica), partecipò nel 1964 alle prime manifestazioni studentesche contro la dittatura militare. Nel 1966, a Belo Horizonte, entrò nel noviziato dell’ ordine domenicano e il 10 febbraio 1967 fece la sua prima professione religiosa e si trasferì a São Paulo, per continuarvi gli studi. Il 4 novembre 1969 fu arrestato assieme a frei Betto, frei Fernando, frei Ivo e altri, accusati di sovversione e nelle settimane che seguirono fu torturato brutalmente dalla squadraccia agli ordini del delegato Sérgio Paranhos Fleury, capo del Dipartimento per l’Ordine Politico e Sociale (DOPS). Trasferito al Presidio Tiradentes, il 17 dicembre fu portato alla sede dell’Operazione Bandeirantes, dove il capitano Maurício Lopes Lima, gli disse: “Adesso conoscerai la succursale dell’inferno”. E così fu. Fu torturato per due giorni. Appeso al “pau-de-arara”, ricevette scariche elettriche alla testa, agli organi genitali, alle mani e ai piedi, pugni, bastonate e bruciature di sigaretta su tutto il corpo. Il capitano Albernaz sadicamente gli ordinò di aprire la bocca per ricevere l’ostia consacrata, e gli introdusse un filo elettrico che gli bruciò la bocca al punto di impedirgli di parlare. Nel gennaio 1971, incluso nel gruppo di prigionieri politici scambiati con l’ambasciatore svizzero, Giovanni Enrico Bücker, sequestrato dall’APR (Avanguardia Popolare Rivoluzionaria), fu mandato prima in Cile, poi a Roma e, infine, a Lione, in Francia. La piaga aperta dalla tortura psicologica non l’avrebbe, tuttavia, mai abbandonato. E con essa l’immagine del delegato Fleury che continuò ad accusarlo, dargli ordini, minacciarlo, accompagnarlo come un’ombra nel suo esilio in Cile e il Francia. Riuscì a liberarsene solo quando s’impiccò ad un albero, a vent’otto anni, in un pomeriggio torrido d’agosto, nella campagna francese. In quel 10 agosto 1974, Tito risuscitò alla vita, incontrando l’abbraccio amoroso del Padre. Il card. Paulo Evaristo Arns, ne accolse solennemente le spoglie nella cattedrale di São Paulo, il 25 marzo 1983. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria del Martire Lorenzo e sono tratti da:

2ª Lettera ai Corinzi, cap. 9,6-10; Salmo 112; Vangelo di Giovanni, cap. 12,24-26.

 

La preghiera del martedì è in comunione con le religioni tradizionali africane.

 

Jean-Claude Rolland  è lo psiohiatra e psicanalista di Lione che si occupò di Frei Tito de Alencar Lima, quando questi giunse in Francia, sopravvissuto, anche se solo per poco, alla drammatica esperienza dell’arresto, della prigione e della tortura. Da un suo articolo, che, con il titolo “Um homem torturado: Tito de Alencar”, troviamo nel sito www.dominicanos.org.br, prendiamo questo brano che vi proponiamo, nel congedarci, come

 

PENSIERO DEL GIORNO

Nella testimonianza che Tito de Alencar ha scritto in carcere nel 1970, troviamo una descrizione molto accurata di quanto ha subito. Il suo primo contatto con la tortura è stato il “pau de arara”, una tortura che consiste nel fare inginocchiare il prigioniero nudo, infilare una barra di ferro nella piega delle ginocchia, legare da dietro i suoi polsi ai talloni e poi sospenderlo a testa in giù. “Così sospeso, nudo, ricevevo scariche elettriche a corrente continua nei tendini dei piedi e sulla testa. I torturatori erano sei. Essi mi applicavano anche il “telefono” (consiste nel battere contemporaneamente le due orecchie con le palme delle mani per far esplodere i timpani) e mi gridavano insulti”. […] I torturatori non hanno nessuna esitazione nell’aggiungere crudeltà a crudeltà sulle diverse parti del corpo. “Lanciavano alcune scariche elettriche sulle mani, sui piedi, nelle orecchie e sulla testa. A ogni scarica tutto il mio corpo cominciava a tremare come se finisse a pezzi” […] “Mi era impossibile sapere quale parte del corpo dolorasse di più. Avevo la sensazione di essere rotto in ogni sua parte. La mia mente non aveva più coordinamento e io desideravo solo perdere i sensi”. […] Un passo in più nella trasformazione psichica segreta nella vittima è percettibile in quest’altro fatto raccontato da Tito: egli cade nelle mani di un nuovo torturatore, il capitano Albernaz.  “Quando arrivo qui all’Operazione-Bandeirante, lascio il cuore a casa. Ho orrore dei preti… Tu conosci Tizio e Caio? (Fa i nomi di due prigionieri politici da lui torturati con molta crudeltà), ebbene, tu avrai diritto allo stesso trattamento: scariche elettriche durante tutto il giorno. Per ognuno dei tuoi “no”, riceverai una scarica più forte. C’erano tre militari nella stanza. Uno di loro gridò: “Voglio i nomi di uomini e di organizzazioni clandestine!”. […] Quando risposi: “Non li so”, ricevetti una scarica elettrica così forte, di quelle collegate direttamente alla presa, che ho perso il controllo delle mie funzioni fisiologiche”. (Jean-Claude Rolland, Um homem torturado: Tito de Alencar).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 10 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-10T23:55:00+02:00da fraternidade
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