Giorno per giorno – 09 Agosto 2010

Carissimi,

“Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: Il Figlio dell’uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà. Ed essi furono molto rattristati” (Mt 17, 22-23). Stamattina ci dicevamo che a consegnare nelle nostre mani il Figlio dell’uomo è Dio stesso (il cosiddetto “passivo divino” della Bibbia). E, nel Figlio, egli consegna se stesso con il suo significato, la sua verità. Perché noi, poi, ne facciamo un po’ ciò che vogliamo: assumerlo, sperabilmente, come verità della nostra vita, o, come spesso accade, snobbarlo, irriderlo, eliminarlo, ucciderlo. Ma, aggiungevamo, con il significato di Dio ne va del significato dell’uomo, o, meglio, di un certo uomo. Ed abbiamo ricordato la lezione dei rabbini, riportata da André Neher, nello spiegare il versetto di Genesi in cui Dio dice: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza” ((Gen 1, 26). Com’è che Dio parla al plurale? A chi si rivolge? Ed essi rispondono: si rivolge all’uomo, ad ogni uomo, e all’umanità intera. Egli ci vuole, infatti, liberamente associati a sé nel creare l’uomo che siamo chiamati ad essere. Leggendolo in prospettiva cristiana possiamo dire che, in Cristo, Dio consegna a noi il progetto dell’uomo perfetto, figura, a immagine sua, della libertà e della generosità del dono, perché noi lo si realizzi. Ma, come dicevamo, può succedere che noi si scelga altro.  Si scelga di essere altro da Lui  come uomini, e i risultati ci sono davanti, ma anche, e il che sarebbe peggio, come cristiani, o, persino, Dio non voglia, come pastori. E sarebbe catastrofico. Per esempio. In questi giorni ci è capitato di leggere sulla vostra stampa una certa  presa di posizione di un vescovo austriaco. Ottimisti come siamo, continueremo ovviamente a sperare che non sia vera. Dunque, il nostro avrebbe sostenuto che, senza per altro voler giudicare nessuno (excusatio non petita, accusatio manifesta), le 21 giovani vittime del Love Party  di Duisburg se la sono proprio cercata, dato che Dio giudica e punisce gli eventi peccaminosi. Il fatto è che, di  tali eventi, il personalissimo dio di mons. Laun dev’essersene perduti per strada un buon numero d’altri (persino in ambito ecclesiastico). E c’è comunque da dire che, mentre per i peccatori comuni l’unica preghiera (e cioè, anche l’unico giudizio e l’unico enunciato teologico) di Gesù è quella che si lasciò scappare sulla croce: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, per i suoi discepoli (soprattutto con carichi di responsabilità) che, smentendo quell’immagine, gli rendano un cattivo servizio, ha promesso – lo abbiamo letto nel Vangelo di ieri – che li sculaccerà mica male (Lc 12, 47). Noi pregheremo, comunque, perché questo gli (e ci) sia evitato. E non mancheremo comunque di interrogare noi stessi sul come e perché avvenga che così tanti giovani abbiano bisogno, alla ricerca di un’improbabile felicità, di impasticcarsi, stordirsi e consegnarsi alla cultura dell’eccesso e della trasgressione. Non sarà che fuggono anche dalla mortificante immagine di un dio che, di fronte all’errore  dei suoi figli (che poi decidiamo sempre noi quale sia), sa solo dilettarsi al tiro a segno, in proprio o per interposta persona? Ed è sempre un dio talebano, sia pure sotto mentite spoglie, che ha già crocifisso di nuovo quello di Gesù.  Anche solo con i “calci nel sedere” invocati in questi giorni dall’ineffabile vescovo emerito di Otranto per il governatore di Puglia e quelli come lui.    

 

Oggi il calendario ci porta le memorie di Edith Stein, martire, assieme al suo popolo, dell’idolatria nazista; Frantz Jägerstätter, profeta e martire della non-violenza; e  Betinho, testimone di giustizia e solidarietà.

 

09 edith-stein bis.jpgEdith Stein nacque a Breslavia (allora in Germania, oggi in Polonia), il 12 ottobre 1891, nella festa ebraica di Yom Kippur, ultima degli undici figli di Siegfried e Auguste Courant, coniugi ebrei di fede profonda e grande rigore morale. Allieva brillante, discepola e poi collaboratrice del filosofo Husserl, si fece presto conoscere negli ambienti accademici. Il 1o  gennaio 1922 fu battezzata nella chiesa cattolica, assumendo come nome di battesimo quello di Teresa. Continuò tuttavia a frequentare regolarmente con la madre la sinagoga, pregando i salmi della liturgia. Il 14 ottobre 1933, lo stesso anno in cui Hitler salì al potere, all’età di quarantadue anni, entrò nel convento carmelitano di Colonia, dove prese il nome di Teresa Benedetta della Croce. Nell’agosto del 1942, con sua sorella Rosa fu arrestata dalle SS naziste e portata con moltissime altre donne al campo di sterminio di Auschwitz. Come milioni di altri fratelli ebrei, Edith, fu uccisa in una camera a gas e cremata il giorno 26 del mese di  Av de 5702 (9  agosto 1942).

 

09 Franz Jägerstätter.jpgFranz Jägerstätter nacque il 20 maggio 1907 nella cittadina di  St. Radegund (Austria). In tempi di conformismo e di apatia politica, non esitò ad esprimere pubblicamente la sua opposizione al regime nazista. Sposato a Franziska Schwaninger  e padre di tre figlie, quando fu chiamato a servire nell’esercito, Frantz chiese consiglio ad almeno tre sacerdoti e ad un vescovo, che cercarono di tranquillizzare la sua coscienza, assicurandogli che il servizio militare era del tutto compatibile con la fede cristiana.  Jägerstätter non si lasciò convincere. Incarcerato, fu processato da una corte militare e decapitato il 9 agosto 1943. Lasciò scritto nel testamento: “Scrivo con le mani legate, ma preferisco questa condizione al sapere incatenata la mia volontà. Non sono il carcere, le catene e nemmeno una condanna che possono far perdere la fede a qualcuno o privarlo della libertà […]. Perché Dio avrebbe dato  a ciascuno di noi la ragione ed il libero arbitrio se bastava soltanto ubbidire ciecamente? O, ancora, se ciò che dicono alcuni è vero,  e cioè che non tocca a Pietro e Paolo affermare se questa guerra scatenata dalla Germania è giusta o ingiusta, che importa saper distinguere tra il bene ed il male? ”.

 

09_BETINHO.JPGBetinho (Herbert de Souza) nacque il 3 novembre 1935, a Bocaiuva, in Minas Gerais (Brasile), terzo di otto fratelli. Ancora giovane, fece parte della dirigenza nazionale dei giovani cattolici che rappresentavano le aspirazioni di trasformazione sociale, rinsaldate in seguito dal Concilio Vaticano II. Sociologo, dopo il golpe del 1964, partecipò alla resistenza contro la dittatura militare. Il che gli costò l’esilio. Tornato in Brasile nel 1979, entrò di peso nelle lotte sociali e politiche. Pubblicò libri, articoli, saggi, sempre con la stessa preoccupazione di criticare le strutture che rendono la vita difficile e ingiusta per milioni di persone. Emofiliaco dalla nascita, contrasse il virus dell’Aids attraverso una trasfusione di sangue. La sua presenza nei mass-midia si trasformò in simbolo delle vittime di questa malattia e della lotta per la salute della popolazione. Morì a Rio de Janeiro il 9 agosto 1997, a 61 anni di età.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Ezechiele, cap.1, 2-5.24-28c; Salmo 148; Vangelo di Matteo, cap.17, 22-27.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

Bene, per stasera è tutto. Noi ci si congeda con una citazione di Edith Stein, tratta dal suo  Source cachée” (Cerf). Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

È soprattutto il sacramento in cui Cristo si fa presente in persona che ci rende membra del suo corpo. Partecipando al sacrificio e al pasto sacro, nutriti dalla carne e dal sangue di Gesù, diventiamo noi stessi sua carne e suo sangue. Ed è solo quando siamo membra del suo corpo, e nella misura in cui lo siamo per davvero, che il suo Spirito può vivificarci e regnare in noi: “È lo Spirito che vivifica”; perché è lo Spirito che dà vita alle membra; ma lo Spirito dà vita soltanto alle membra che sono già presenti nel corpo che vivifica. Così il cristiano nulla deve temere tanto quanto l’essere separato dal corpo di Cristo. Perché, se è separato dal corpo di Cristo, allora non ne è più membro; e se non ne è più membro, non è più vivificato dal suo Spirito. Ma noi diventiamo membra del corpo di Cristo non solo con l’amore, ma anche molto realmente nel formare una sola cosa con la sua carne. E questo si è avverato attraverso il cibo che ci ha offerto per provarci il desiderio che ha di noi. È per questo che lui stesso si è abbassato fino a venire in noi ed è per questo che ha modellato in noi il suo proprio corpo, affinche noi siamo una sola cosa, come il corpo è unito alla testa. Come membra del suo corpo, animate dal suo Spirito, noi offriamo noi stessi in sacrificio, “per lui, con lui e in lui”, e uniamo le nostre voci all’eterno rendimento di grazie. È per questo che la Chiesa pone sulle nostre labbra la preghiera dopo la Comunione: “Colmàti da un così grande bene, ti supplichiamo, Signore, fa che possiamo trarre frutti per la nostra salvezza e che mai cessiamo di cantare la tua lode”. (Edith Stein, Source cachée).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-09T23:30:00+02:00da fraternidade
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