Giorno per giorno – 07 Agosto 2010

Carissimi,

“I discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: Perché noi non siamo riusciti a scacciare il demonio? Ed egli rispose loro: Per la vostra poca fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: Spòstati da qui a là, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17, 19-20). Se il male, cioè, l’ingiustizia, con il carico di sofferenza che inevitabilmente comporta, o anche ciò che ci divide, ci oppone, fino a renderci nemici gli uni degli altri, è ancora così diffuso e profondo, è perché la nostra fede non ha ancora raggiunto le dimensioni di un granello di senape. È perché noi non lo si sa affrontare con la stessa durezza e categoricità di Gesù, che è, sì, mite e umile di cuore, ma qui, sorprendentemente, davanti al male, parla minacciosamente (v.18). Perché c’è in ballo la vita di un figlio (Luca specificherà l’unico figlio, proprio come Lui, ma anche come ogni altro figlio, che è sempre “unico”) e la disperazione di un padre (e anche del Padre), che non si adegua così facilmente al fatto che un suo figlio possa essere minacciato di morte. “Generazione incredula e perversa” siamo allora noi, e lo è ogni generazione che dà spazio al male. E la nostra, forse, più di molte altre. Considerati i livelli intollerabili della sua diffusione, il suo accanimento, e la sfrontata impunità di cui non si limita a godere, ma che rivendica. Fede in Gesù è già questa capacità di indignarsi, questo non starsene quieti e zitti, questo sapere, all’occorrenza, gridare e minacciare il male che giunga a sfiorare il nostro piccolo fratello o sorella  (ogni volta, l’unico/a, anche se sono milioni). Il primo di agosto è entrata in vigore la convenzione che mette al bando l’uso delle bombe a grappolo, firmata da 107 paesi, ma ratificata fino ad ora solo da 38. Tali bombe sono dette a grappolo, perché quando sono sganciate rilasciano numerosi ordigni più piccoli che si sparpagliano sul terreno, rimanendovi a lungo, anche molti anni dopo la fine dei conflitti. Il fatto che, per la loro forma e il loro colore, possano essere scambiati per giocattoli, ne aumenta la pericolosità e il danno che ne deriva soprattutto per i bambini. Tra i paesi produttori di bombe a grappolo risultano Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Polonia Pakistan, Brasile, Italia. Che, non a caso, non hanno firmato o ratificato la convenzione. Ed è una vergogna! Beh, la fede, ha a che fare anche con queste cose qui, sporche quanto basta, e con la nostra capacità di dire no.      

 

Oggi è memoria di Rabindranath Thakur (anglicizzato in Tagore), filosofo, poeta e mistico indiano.

 

07_TAGORE.JPGNato a Calcutta, il 6 maggio 1861, figlio di una famiglia di riformatori religiosi e sociali, che in tutte le maniere cercava di liberare l’India dai pregiudizi millenari che opprimevano il popolo, Rabindranath fu mandato, diciassettenne, in Inghilterra, per compiervi gli studi di Diritto; vi rimase un anno e mezzo, studiando però letteratura e musica. Tornato in patria, partecipò ai movimenti per l’indipendenza della India, ma quando questi imboccarono la via della violenza, se ne allontanò. Si rivelò presto poeta, musicista, teatrologo, novelliere e filosofo, profondamente identificato con la natura, innamorato della sua gente e, soprattutto, aperto all’infinito. Una serie di lutti, assai dolorosi lo segnarono profondamente nei primi anni del nuovo secolo: nel 1902 gli morì la moglie ventinovenne, Mrnalini, che gli aveva dato cinque figli, nel 1904 fu la volta di una figlia,  l’anno successivo del padre e infine, nel 1907, perse il figlio minore. Notevole fu nella sua formazione l’influsso del misticismo dei sufi islamici e dell’insegnamento di Gesù, oltre che naturalmente del pensiero upanishadico.  Per lui, la via migliore all’unione completa con Dio consiste nel donarsi con gioia all’amore e al servizio degli altri. Premio Nobel per la letteratura nel 1913, morì il 7 agosto 1941, acclamato da Gandhi come il “grande maestro” e riconosciuto da tutti gli indiani come il “sole dell’India”. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Abacuc, cap.1,12-2,4; Salmo 9; Vangelo di Matteo, cap.17, 14-20.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Nel pomeriggio, ci si è ritrovati con il gruppo di Fé e Luz, nel Centro di Pastorale della Diocesi, per celebrare la nostra Festa. Ed è superfluo aggiungere che è stato tutto molto bello. C’era con noi padre José Raimundo Galvão, un buon compositore di canti di questa  Chiesa del “continente” Brasile, che, alla fine, ha confessato di essersi incantato ed emozionato davanti alla bellezza, alla poesia, alla semplicità, della liturgia che i nostri hanno celebrato con dom Eugenio. Conferma che Lui ha proprio un debole per la compagnia dei piccoli e che il suo Spirito c’è ormai di casa, ogni volta, allegramente. Lunedì scorso, la nostra Francielle ha fatto i suoi quindici anni, che qui è, per le ragazze, un anniversario significativo, una sorta di rito d’ingresso alle responsabilità e alla consapevolezza della vita adulta. Chi se lo può permettere, lo festeggia senza badare a spese. Francielle però, fino a qualche giorno prima della data, non s’aspettava nulla, anche perché la famiglia vive una stagione di ristrettezze aggiuntive. Però noi ci siamo detti che dovevamo fare qualcosa. E, allora, una volta di più, com’era già successo col matrimonio di e Djari, il tam tam sotterraneo del bairro è riuscito a organizzare le cose come si deve. E Francielle era stasera splendente come una principessa, per l’allegria sua, dei parenti, degli amici e dei vicini; e, soprattutto, dei bambini che, quando c’è un rinfresco e una torta come quella che le donne della comunità ci hanno preparato, è per loro un’anticipazione del banchetto del regno.      

 

Bene, noi ci si congeda qui. Dicevamo più sopra della nostra poca fede e della difficoltà che spesso abbiamo di scrollarci di dosso una pigrizia, ovviamewnte interessata, che ci vede ripiegati su noi stessi, indifferenti a ciò che ci accade intorno. Sono un po’ le catene di cui dice Rabindranath Tagore in questa sua breve lirica “Obstinate are the trammels”, tratta dalla raccolta Gitanjali. Che è, per stasera, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Resistenti sono le mie catene, / ma il cuore s’affligge / quando cerco di spezzarle. / Libertà è tutto ciò che voglio, / ma sento vergogna a sperarla. // Ho la certezza che in te / ci sia una ricchezza inestimabile / e che tu sia / il mio amico migliore / ma non ho il coraggio di spazzar via gli orpelli / che riempiono le mie stanze. // Il sudario che mi avvolge / è un sudario di polvere e morte; / lo odio / ma lo stringo  a me con amore. // Sono molti i miei debiti, /  gravi i miei errori,  / segreta e pesante la mia vergogna, / ma quando vengo a chiedere il mio bene /  tremo nel timore di essere esaudito. // (Rabindranath Tagore, Gitanjali: 28 ).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Agosto 2010ultima modifica: 2010-08-07T23:40:00+02:00da fraternidade
Reposta per primo quest’articolo