Giorno per giorno – 25 Luglio 2010

Carissimi,

“Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre” (Lc 11, 1-2). Noi, il Vangelo di oggi, l’abbiamo meditato giovedì sera a casa di Dominga, e, poi, lo si è ripreso stamattina, assieme alle altre letture, durante la liturgia della Parola, su nella chiesetta dell’Aparecida. Nadia aveva detto che la preghiera di Gesù si potrebbe sintetizzare tutta nella parola che la apre: Padre. Perché le richieste che seguono vi sono tutte già implicate. Le prime, come manifestazione del desiderio del figlio che si compia il progetto del Padre, le seconde come espressione della preoccupazione del Padre in ordine alle necessità del figlio. Non è quindi una formula di preghiera che Gesù vuole insegnare. Egli intende esprimere e trasmettere la relazione che vive e la propone anche a noi. Rafael, l’altra sera, era intervenuto per ultimo, sostenendo che la parabola (Lc 11, 5-8) e l’esortazione di Gesù (Lc 11, 9-13),  che seguono al Padre nostro, vogliono esserne in qualche modo il commento. E diceva, con la sicurezza che gli deriva dai suoi anni, che è Gesù che chiede per noi il pane al Padre – quel padre che, per una sorta di gioco delle parti,  deve fare quella dell’amico seccato, che è già a letto, nell’alto dell’alto dei cieli, con i suoi angeli e santi,  e non si vuole alzare; ma il Figlio insiste, e l’altro non può dirgli di no, se no questi continuerà a torgliergli il fiato. Così, si alza e gli dà il Pane che ha chiesto. E il pane per gli amici del figlio, che hanno bussato alla porta di questi, nel loro viaggio notturno – come spesso anche per noi è notte – è lo stesso Figlio, che ci alimenta di sé. E con il dono del pane, ci è dato insieme anche lo Spirito (v.13) –  di Gesù e del Padre – che ci rende capaci di chiamare “Abbà”. E, così il cerchio si chiude. Anzi, no, si apre ogni volta, perché il Nome sia santificato, e il Regno venga e si estenda, e si moltiplichi il Pane di Gesù – a garanzia che nessuno manchi del pane di ogni giorno – e si perdoni e si sia perdonati. E ci sia risparmiata ogni prova, in cui si rischi di soccombere. Stamattina, poi, aggiungevamo, che Gesù riesce là, dove non era riuscito Abramo, nel suo intercedere in favore di Sodoma. Non perché Dio fosse, nel frattempo, cambiato. Dio, infatti, era lo stesso prima che apparisse Gesù, e dopo. Proprio perché la sua Parola, che si sarebbe manifestata in Gesù, era la stessa che aveva creato e reggeva il mondo.  È l’interpretazione della storia dell’umanità che cambia. Dio non è mai all’origine del male, di nessun male. Così Abramo poteva andare avanti nella sua richiesta di salvezza per la città malvagia: “E se troverò solo cinque giusti, o tre, o uno, o nessuno”, si sarebbe sentito ugualmente rispondere: Non la distruggerò. E noi avremmo da allora saputo, con la certezza acquisita più tardi, che Dio non distrugge nessuno. Perché è Padre. E Lui fa sorgere il sole su buoni e cattivi e scendere la pioggia su giusti e ingiusti. Semmai, ci distruggiamo noi.         

 

I testi che la liturgia di questa   XVII Domenica del Tempo Comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro della Genesi, cap.18, 20-32; Salmo 138; Lettera ai Colossesi, cap.2, 12-14; Vangelo di Luca, cap.11, 1-13.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Oggi, al di là della Domenica, che, con la celebrazione della risurrezione, ha sempre il sopravvento, il calendario ci porta le memorie di Giacomo figlio di Zebedeo, apostolo; di Tommaso da Kempis, maestro spirituale; e di Jose Othmaro Caceres e 13 compagni, martiri in El Salvador.

 

25 San Giacomo.jpgGiacomo, figlio di Zebedeo e di Salomè, fratello di Giovanni, fu chiamato con quest’ultimo al seguito di Gesù, mentre stavano nella barca da pesca con il padre. Si deve forse al carattere impulsivo dei due fratelli il soprannome che si guadagnarono di “figli del tuono”. E questo contribuisce a renderceli simpatici! Lui, Giovanni e Simon Pietro formavano il gruppo degli amici più stretti di Gesù, presenti nei momenti cruciali del suo ministero (Mt 17,1; 26,37; Mc 5, 37; 13, 33). Come e forse più degli altri discepoli, anche Giacomo e Giovanni non avevano capito bene la missione di Gesù, e il Vangelo ci testimonia qualche loro ambizione di troppo (cf Mc 10, 35 ss), che il Maestro fu costretto a  censurare. Ma, devono aver appreso la lezione. Giacomo sarà il primo degli apostoli a subire il martirio, sotto Erode Agrippa, nel 42 d.C. (cf At 12,2). Giovanni, secondo la tradizione, sarà invece l’ultimo a morire, sul finire del I secolo.

 

25 Thomas_Kempis.jpgThomas Hammerken (più noto come Tommaso da Kempis) nacque, verso il 1380, a Kempen, cittadina situata tra Krefeld and Venlo, sul confine tedesco-olandese, secondogenito del fabbroferraio Johann Hemerken e di Gertrud Kuyt. Educato nella scuola dei Fratelli della Vita comune, entrò, nel 1399, nel monastero agostiniano di Agnetenberg, nei pressi di Zwolle (Olanda), da poco fondato e di cui era priore il fratello maggiore, Johann. Nel 1406 cominciò il suo noviziato e il 12 aprile 1412 fu ordinato sacerdote. Salvo un breve periodo, tra il 1429 e 1432 (in cui l’intera comunità dovette trasferirsi), Thomas non lasciò mai il convento, dove si dedicò alla stesura di testi spirituali, che avrebbero segnato la sua epoca e quelle successive, e dove morì, più che novantenne, il 25 luglio 1471.

 

25 JOSE OTHMARO CACERES.jpgJosé Othmaro era seminarista ed era appena tornato da Guadalajara, in Messico, dove studiava. Aspettava il giorno della sua ordinazione sacerdotale. La mattina del 25 luglio 1980 si riunì con alcuni amici nella cappella in costruzione nel cantón Platanares di Suchitoto, dipartimento di Cuscatlán, a 47 chilometri da San Salvador. Volevano mostrargli lo stato di avanzamento dei lavori. In quel momento giunsero sul posto quattro camion carichi di guardie nazionali, di soldati e di integranti della “difesa civile”. Furono tutti assassinati a colpi di arma da fuoco. Al cadavere di Othmaro staccarono la testa a colpi di machete.

 

Beh, noi non siamo sicurissimi che l’Imitazione di Cristo sia davvero opera di Tommaso da Kempis, anche se, tradizionalmente, gli è comunque attribuita. Così ci congediamo cedendo la parola a un brano di questo prezioso libretto che, superato o piuttosto no, ha costituito, in molte sue parti, l’alimento spirituale di numerose generazioni di cristiani. Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Grande cosa è l’amore. Un bene grande, veramente. Un bene che, solo, rende leggera ogni cosa pesante e sopporta tranquillamente ogni cosa difficile; porta il peso, senza fatica, e rende dolce e gustosa ogni cosa amara. Il nobile amore di Gesù spinge ad operare grandi cose e suscita desideri di sempre maggiore perfezione. L’amore aspira a salire in alto, senza essere trattenuto da alcunché di terreno. Esige di essere libero e staccato da ogni affetto umano, cosicché non abbia ostacoli a scrutare nell’intimo, non subisca impacci per interessi temporali, non sia sopraffatto da alcuna difficoltà. Niente è più dolce dell’amore; niente è più forte, più alto o più grande: niente, né in cielo né in terra, è più colmo di gioia, più completo o più buono: perché l’amore nasce da Dio e soltanto in Dio, al di sopra di tutte le cose create, può trovare riposo. Chi ama vola, corre lietamente; è libero, e non trattenuto da nulla; dà ogni cosa per il tutto, e ha il tutto in ogni cosa, perché trova la sua pace in quell’uno supremo, dal quale discende e proviene tutto ciò che è buono; non guarda a ciò che gli viene donato, ma, al di là dei doni, guarda a colui che dona. Spesso l’amore non conosce misura, in un fervore che oltrepassa ogni confine. L’amore non sente gravezza, non tiene conto della fatica, anela a più di quanto non possa raggiungere, non adduce a scusa la sua insufficienza, perché ritiene che ogni cosa gli sia possibile e facile. Colui che ama può fare ogni cosa, e molte cose compie e manda ad effetto; mentre colui che non ama viene meno e cade. L’amore vigila; anche nel sonno, non s’abbandona; affaticato, non è prostrato; legato, non si lascia costringere; atterrito, non si turba: erompe verso l’alto e procede sicuro, come fiamma viva, come fiaccola ardente. (Tommaso da Kempis, Imitazione di Cristo, V, 2).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 25 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-25T23:41:00+02:00da fraternidade
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