Giorno per giorno – 26 Luglio 2010

Carissimi,

“Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono!” (Mt 13, 16-17). Qui da noi, per via della memoria odierna dei nonni materni di Gesù, la liturgia ci offre l’opportunità di ascoltare, applicandola a loro, una parola che, inserita nel Discorso in parabole, Gesù aveva riservato ai suoi discepoli. E noi, stamattina, ci chiedevamo come potesse valere questa beatitudine anche per noi, che, ad essere sinceri, non abbiamo potuto ancora né vederlo, né udirlo. Ora, Lui, evidentemente, no, ma dubitiamo che Gesù intendesse riferirsi alla sua persona e non piuttosto al suo significato, cioè alla manifestazione del Regno di Dio che egli incarnava, e che, da allora, sappiamo potersi manifestare, per la forza del suo Spirito, in ogni tempo e luogo. Con la logica e le caratteristiche disegnate invariabilmente dalle parabole che stiamo ascoltando anche in questi giorni: il nascondimento, l’apparente insignificanza, il dono di sé, il servizio e il prendersi cura degli altri. Cioè l’esatto contrario di ciò che ci è prospettato e proposto come modello desiderabile e vincente per una vita di successo. Dunque, per il Vangelo, noi saremo beati se e quando ci sarà dato di contemplare nuovamente, nelle relazioni umane, l’evento di Gesù, così come Lui stesso lo (e perciò si) racconta, per esempio, nelle parabole del granello di senape e del lievito (Mt 13, 31-33). Niente a che vedere con le grandi realizzazioni, strutture, organizzazioni: il regno di Dio è roba da galline chiocce, che proteggono i loro pulcini, non da aquile; da ortaggi che crescono quel tanto che basta per accogliere qualche nido di passero, non querce, né cedri, e neppure viti; da massaie, che puliscono casa o impastano il pane, (non da re o regine); e anche solo da pizzichi di sale per insaporire le zuppe; da quel po’ di luce di una lanterna, che basta ad illuminare l’ambiente; e dal pochino di lievito da due soldi, che, perdendosi nella pasta, la fa fermentare e moltiplica il pane. Mica per sé. Per gli altri. Che, a quel lievito, neanche penseranno mai. Ma, il buon Dio, sì. A lui verrà da dire: perdinci, come mi somiglia! Quello sono io. Così che tornerà ogni volta a vivere. Per alimentare il mondo e la sua creazione. Sì, davvero, beati i nostri occhi – beati per primi gli occhi di Dio –  quando vedono tutto ciò, e i nostri orecchi – e per primi gli orecchi di Dio – quando ascoltano che questo – cioè Gesù – accade ancora.             

 

Oggi, anglicani, cattolici e veterocattolici celebrano la memoria di Gioacchino e Anna, genitori della beata vergine Maria. Altre chiese li ricordano in date differenti. Da noi, S. Anna è anche patrona dello Stato e della città di Goiás, oltre che della nostra diocesi e della nostra parrocchia. Inoltre, lei e il marito, sono protettori e modello dei “nonni” nel generare figli e figlie, che generino a loro volta  Gesù (e il suo significato) nelle loro vite.

 

26 Anna & Giacchino.jpgA dire il vero, che i genitori della madre di Gesù si chiamassero proprio Gioacchino e Anna, ce lo dice solo l’apocrifo Protoevangelo di Giacomo. I Vangeli canonici, infatti, non li menzionano e non ne sanno nulla. Secondo quel racconto, la sposa di Gioacchino, dopo una lunga sterilità, avrebbe impetrato dal Signore la nascita di Maria, che sarebbe divenuta la madre di Gesù, con la promessa di consacrarla a Lui. E tutto si realizzò.  A noi piace pensarli come una coppia di semplici contadini, laboriosi e devoti come si conviene, cui la giovane figlia dev’essere costata qualche grattacapo. Ma, anche per lei, visti i risultati, ne valse la pena. Come si vorrebbe per noi tutti.

 

I testi che la liturgia propone alla nostra riflessione sono, da noi, propri della memoria odierna e sono tratti da:

Libro del Siracide, cap. 44,1.10-15;  Salmo 132; Vangelo di Matteo, cap. 13,16-17.

 

Altrove sono invece i seguenti:

Profezia di Geremia, cap.13, 1-11; Salmo (da Dt 32, 18-21); Vangelo di Matteo, cap.13, 31-35.

 

La preghiera di questo lunedì è in comunione con le grandi religioni del subcontinente indiano: Vishnuismo, Shivaismo, Shaktismo.

 

LAILAT AL BARAAH.jpgLAILAT AL-BARAH'AH.gifLa 15ª notte del mese di Shabaan, che si è aperta con il tramonto di oggi,  è, nella tradizione islamica, una notte straordinariamente benedetta, il che giustifica il nome che le viene dato di Lailat al Barah, ovvero  Notte della Salvezza. È la notte in cui il fedele musulmano prende coscienza dei suoi peccati, chiede perdono a Dio e promette di evitarli per il futuro. In questa notte e nel giorno che la segue si compiono buone azioni, ci si riconcilia con il prossimo, ci si reca in visita al cimitero, ove si prega per i propri congiunti defunti, si medita il Sacro Corano, e si digiuna fino al tramonto. Anche per prepararsi degnamente al digiuno del mese di Ramadan che si inaugurerà tra quindici giorni.

 

Noi si stava rileggendo in questi giorni un libriccino, edito a cura dei Piccoli Fratelli del Vangelo di Spello, dal titolo “(Ac)cogliere la pienezza della vita” (Monti). Da un’omelia di Arturo Paoli che vi è riportata prendiamo il brano che vi proponiamo, nel congedarci, come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Che cos’è la vita, questo “soffio celeste che viene dentro di noi”, come lo chiamano i saggi cinesi? È un soffio di vita di cui abbiamo la responsabilità, che dobbiamo accogliere. Non dobbiamo deformarlo, ostacolarlo, ma lasciare che agisca dentro di noi. A chi ci chiede qual è l’esperienza della vecchiaia, diciamo che è l’esperienza della leggerezza, del vivere sciolti. Diminuiscono le preoccupazioni e gli ostacoli. La vita si semplifica, va verso la semplicità, l’accoglienza dello Spirito. Lo Spirito di Dio è spirito d’amore. Lo serviamo, lo seguiamo, andiamo nella sua direzione. Quando ci opponiamo all’amore attraverso l’egoismo, attraverso l’orgoglio che non vuole perdonare, che vuole essere superiore, che non accetta gli altri, allora “rattristiamo lo Spirito Santo” come dice san Paolo. Questo soffio di vita che è in noi diventa triste, diventa fievole, non ha la forza che dovrebbe avere. Quando invece lo favoriamo attraverso la donazione di noi, aiutiamo lo Spirito a crescere, a essere vivificante, ad avere forza dentro di noi. […] L’essenziale è proprio questo: nutrire la vita, ascoltare la vita, liberare la vita, godere della vita che è dentro di noi. Pensiamo come è bella l’esistenza vissuta così in questa semplicità! Anche i dolori, le sofferenze acquistano una luce speciale. Non solo non ci avvelenano, ma alimentano questo Spirito di vita. Dobbiamo avanzare nel tempo senza paure, senza esitazioni, senza ostacoli, senza piangere sulla vecchiaia, senza sentire la paura della morte, perché questa vita è costante. Questa vita non è gioventù né vecchiaia, non ha né vita né morte. È vita, continua nel tempo. Nessuno la può distruggere, nessuno può spegnere questo soffio. È questo l’annuncio che dobbiamo vivere e portare agli altri, perché allora saremo veramente costruttori di pace, portatori di gioia, aiuteremo gli altri a vivere bene, a superare le grandi difficoltà della vita, a vivere senza paura, senza angosce inutili. (Arturo Paoli, Nutrire la nostra vita).   

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.  

Giorno per giorno – 26 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-26T23:18:00+02:00da fraternidade
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