Giorno per giorno – 18 Luglio 2010

Carissimi,

“Mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?” (Lc 10, 38-40). Qualche tempo dopo, poco prima del suo arresto, Gesù avrebbe detto ai suoi: “Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). Ce lo ricordava giovedì sera, a casa di Dominga, il nostro Rafael, e aggiungeva: Ma, allora c’è qualcosa che non quadra. Marta, infatti, stava comportandosi come Gesù. O come, anche la suocera di Pietro, che, da Lui “guarita”, proprio all’inizio della sua missione “cominciò a servirli”, lui e i discepoli (Lc 4, 39), o come le donne che erano con lui, che “li servivano”( Lc 8, 1).  O, ancora, come Lui aveva ammonito in un’altra occasione: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” (Mc 9, 35). Difficile, allora, che Gesù volesse censurare Marta nel suo darsi da fare. La richiama invece per il suo preoccuparsi e agitarsi oltremisura. E le addita nell’ascolto la disposizione necessaria per dare fondamento, continuità, maturità all’attitudine del servizio, che deve caratterizzare ogni discepolo. Diversamente il rischio è quello di farne un comportamento episodico, o solo esterno, o di viverlo come un peso, di cui sbarazzarsi il prima possibile. Mentre il servizio gratuito, nel dono incondizionato di sé, costituisce l’essenza della dimensione cristiana del vivere.  

 

I testi che la liturgia di questa XVI Domenica del Tempo comune propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Libro di Genesi, cap. 18, 1-10; Salmo 15; Lettera ai Colossesi, cap. 1, 24-28; Vangelo di Luca. Cap.10, 38-42.

 

La preghiera della Domenica è in comunione con tutte le comunità e chiese cristiane.

 

Il nostro calendario ci porta oggi la memoria del Pastore luterano Paul Schneider, martire, vittima della barbarie nazista; e quella di Rienzo Colla, cristiano adulto.

 

18 PAUL E MARGARETE SCHNEIDER.jpgPaul Schneider nacque il 29 agosto 1897, a Pferdsfeld, in Germania, secondo dei tre figli di Elizabeth e del pastore Gustav Adolf Schneider. Tornato dal fronte, dopo la Grande Guerra, iniziò i suoi studi teologici, che si conclusero con la sua ordinazione a pastore nel 1925. L’anno successivo sposò Margarete Dieterich, da cui avrà sei figli, e assunse la cura della chiesa di Hochelheim, succedendo al padre. Quando, nel 1933,  Hitler salì al potere, il giovane pastore per qualche tempo si illuse che il nuovo Cancelliere, con l’aiuto della provvidenza, avrebbe guidato la Germani verso un futuro luminoso. Si rese però presto conto dell’abbaglio e ne trasse tutte le conseguenze. Nel 1934 entrò a far parte della Lega dei Pastori fondata dal pastore Martin Niemöller. Dopo ripetuti arresti, Schneider fu deportato nel lager di Buchenwald nel 1937, a motivo della sua opposizione al nazismo, e ripetutamente  sottoposto a maltrattamenti e a torture crudeli per il rifiuto ripetutamente opposto a rendere omaggio alla croce uncinata di Hitler. Nell’aprile 1938 fu rinchiuso in isolamento nel bunker del campo, ove trascorse gli ultimi 14 mesi di vita. Da lì non cessò di proclamare la parola di Dio. Come testimonia un suo compagno di prigionia: “Nei giorni di festa, nel silenzio della conta, proveniente dalle tetre inferriate del bunker, risuonava improvvisamente la voce potente del pastore Schneider. Teneva la sua predica come un profeta, o meglio: la incominciava. La domenica di Pasqua, per esempio, improvvisamente udimmo le parole: ‘Così dice il Signore: Io sono la risurrezione e la vita!’. Le lunghe file dei prigionieri stavano sull’attenti, profondamente turbate dal coraggio e dall’energia di quella volontà indomita… Non poté mai pronunciare altro che poche frasi. Poi sentivamo abbattersi su di lui i colpi di bastone delle guardie…” Seriamente malato per le torture e gli stenti, il pastore confidò a un prigioniero: “Non c’è più un posto, in tutto il mio corpo, che non sia stato battuto fino a farlo diventare nero. Mi hanno fatto delle iniezioni; da quando mi hanno fatto la seconda, ho il cuore terribilmente agitato. Non vivrò più a lungo. Prima che ci lasciamo voglio benedirti, e pregherò per te, perché tu possa percorrere la via giusta”. L’eroico Pastore morì, qualche giorno dopo, il 18 luglio 1939, finito con un’iniezione di strofantina. Al suo funerale, presero parte 200 pastori e migliaia di partecipanti. Karl Barth scrisse allora: “Con la sua testimonianza egli ha dovuto mostrare e dire a molti qual è la posta in gioco, e Dio lo ha considerato degno di soffrire”.

 

18 Rienzo Colla.jpg“Mentre pensavo al nome da dare all’editrice, mi capitò di aprire il Vangelo, per trarne ispirazione. Era Matteo, capitolo tre, versetto quattro, dove parla di S. Giovanni Battista che mangiava locuste e miele selvatico. Mi colpì l’immagine di questo insetto che non mangiava, ma si faceva mangiare. E decisi che i libri che avrei stampato sarebbero stati piccoli, forse fastidiosi per qualcuno, ma fatti per essere mangiati”. Così Rienzo Colla narra l’invenzione della sua casa editrice, il cui primo volumetto ad essere pubblicato, nell’inverno del 1954, ebbe come titolo “La parola che non passa”, di don Primo Mazzolari. Complessivamente sarebbero stati una sessantina i titoli del profetico parroco di Bozzolo sugli oltre 250 pubblicati da “La Locusta”. Rienzo Colla era nato il 28 marzo 1921. Diciannovenne, aveva stretto amicizia con don Primo Mazzolari. Dopo la laurea in filosofia, partecipò alla Resistenza a Roma, per darsi poi, dopo la guerra, all’insegnamento di storia e filosofia. Conobbe don Giovanni Rossi e la Pro Civitate Christiana di Assisi, e nel 1952, fece ritorno a Vicenza, entrando in seminario dai Padri filippini, ma ne fu espulso, nel 1955, proprio a seguito della pubblicazione del libro di Don Mazzolari. Da allora “La Locusta” diede voce a una serie di personalità – uomini e donne, monaci e mistici, poeti e romanzieri, filosofi e teologi, preti scomodi e profeti della non violenza, pensatori cattolici e intellettuali laici della prima e della seconda metà del secolo – che, diversissimi tra loro, ma accomunati dalla ricerca appassionata di Dio e di un cristianesimo più evangelico, segnarono profondamente la vicenda culturale e ecclesiale del tempo: Simone Weil, Edith Stein, Thomas Merton, Rebora, Turoldo, Bernanos, Mounier, Chénu, Rahner, Milani, Balducci, Gandhi, Martin Luther King, Pasolini, Rodano, per citarne i più noti. Rienzo Colla  è morto a Vicenza, il 18 luglio 2009.

 

Bene, noi ci si congeda qui, con una citazione tratta dal libro di don Primo Mazzolari, “Tu non uccidere”, tra i primi titoli pubblicati da “La Locusta” di Rienzo Colla. È, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Quando si parla di pace bisogna parlarne come ne parlano i fanciulli, non pensando a nient’altro, non negando con le mani o col cuore ciò che le labbra dicono. La pace è un bene pieno: sulla pace non si ragiona né si distingue. È una parola che non sopporta aggiunte: una parola cristiana. Da quando i cristiani si sono messi a “ragionare” sulla pace, a porre delle condizioni “ragionevoli” alla pace, a mettere davanti le loro “giustizie”, non ci siamo più capiti, neanche in cristianità, ed è stata la guerra. Tutto il mondo ha “ragione” o crede di averla. La “ragione” va con tutti, e finirà di stare col lupo, non con la pecora, la sola che avrebbe veramente ragione, se non invidiasse il lupo e non cercasse di superarlo. La pace vuole un linguaggio semplice, senza riguardo di persone, senza retorica, senza crociate. “Pace a voi!”. “Sia pace a questa casa!”. “Vi do la mia pace!”. “Rimanete nella mia pace!”. E si mettevano sulla strada, a due a due, senza borsa, senza bastone, senza niente. La gente li scherniva, quasi fossero dei pazzi; qualcuno però si fermava, mormorando: E se avessero ragione? Ma dietro non avevano nessuno e niente. Non erano attaccati a nessuno, a niente: essi erano attaccati all’uomo, alla sua anima, alle sue tribolazioni, poiché l’uomo era entrato nel loro cuore assieme al Figlio dell’uomo, col nome di fratello. Così è cominciato il vangelo della pace. (Primo Mazzolari, Tu non uccidere).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 18 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-18T23:50:00+02:00da fraternidade
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