Giorno per giorno – 17 Luglio 2010

Carissimi,

“I farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti” (Mt 12, 14-15). Sembra (e, storicamente, con tutta probabilità, lo è) impossibile, ma quei religiosi vogliono punire Gesù per aver guarito un uomo dalla mano inaridita (Mt 12, 9-13). Di sabato. Ogni giorno è occasione per incontrare Dio, ma, se così si può dire, il sabato lo è di più. E loro vogliono impedirlo. Questo succede spesso, ogni volta che la religione, e ciò che essa significa, si appesantisce – o s’indurisce – nell’istituzione. Allora può succedere di tutto, persino che la religione, che dovrebbe rappresentare la corsia preferenziale per arrivare a Dio,  si dia da fare per ucciderlo. La chiesa – per limitarci alla nostra – è piena di movimenti, di ordini e di congregazioni che fanno riferimento a nomi spesso bellissimi – l’Opera di Dio, il Cammino, la Comunione, la Liberazione, la Comunità, i Figli di Dio, la Compagnia di Gesù, i Servi, le Ancelle, le Sorelle, i Fratelli e molti altri ancora – e basterebbe che fossero ciò che dicono (diciamo) di essere per dare corpo e sostanza al Vangelo. Il problema sorge quando la volontà di autoaffermazione, e lo stesso carisma e  la struttura che lo incarna prendono il sopravvento sulla Parola che il Vangelo è, che possiamo riassumere in molti modi, il migliore dei quali è forse il nome di Gesù, o anche solo quella frasettina che abbiamo ascoltato oggi: “Egli li guarì tutti”. Che dice come è Dio: gesto di sovrana libertà nell’uscire da sé, per prendersi cura degli altri, e [ri]donare vita. Senza sosta. Noi invece, sua chiesa, ogni tanto e ogni dove, si decide di riprendercela, la vita. E di occuparci perciò di noi e delle nostre sacre congregazioni, e della loro perpetuazione, sperabilmente, nei secoli dei secoli. E non ci accorgiamo che, con la mano, ci si è inaridita pure la vita. Così che non ci resta che sperare e pregare che egli, il Signore, venga a guarirci ogni volta di nuovo. Perché anche noi si sappia poi guarire gli altri. E le nazioni tornino a sperare.

 

Oggi noi facciamo memoria di Bartolomeo de las Casas, pastore e difensore  della causa dei popoli indigeni e dei negri, Andrei Rublev monaco iconografo, François Varillon, gesuita e guida spirituale.

 

17 BARTOLOMEO_DE_LAS_CASA.JPGBartolomeo,  nato a Siviglia l’11 novembre 1484 da Pedro de Las Casas e Isabel de Sosa, entrambi di ascendenza ebraica, quando, diciottenne, risolse di seguire il padre  per il Nuovo Mondo, sognava di arricchirsi con i proventi delle piantagioni paterne, come un qualunque colono, sfruttando la mano d’opera schiava. Tuttavia, toccare con mano la crudeltà dei coloni e le indicibili sofferenze inflitte alle popolazioni indigene, fecero maturare una profonda crisi religiosa in lui, che nel frattempo aveva abbracciato lo stato ecclesiastico ed era stato ordinato, verso il 1510,  sacerdote. A partire dal 1514, resosi conto del crudele sfruttamento a cui erano sottoposti gli indigeni, vista la corruzione imperante tra i funzionari reali e  toccato dalla predicazione profetica del domenicano Antonio di Montesinos, che denunciava gli abusi e le crudeltà della conquista “cristiana”, Bartolomeo mutò radicalmente di vita. Liberati gli indigeni alle sue dipendenze e distribuite le sue terre, divenne da allora l’instancabile difensore dei diritti calpestati di quelle popolazioni oppresse.  Nel 1523, entrò nell’ordine domenicano, per mettersi in qualche modo al riparo dalle persecuzioni dei conquistadores, ma anche di buona parte della gerarchia ecclesiastica spagnola. Per nulla intimorito, frei Bartolomeo continuò la sua azione di denuncia, presso il governo centrale, sugli abusi degli spagnoli e le sofferenze degli indigeni. Scrisse la Brevissima Relazione della Distruzione delle Indie con cui intese documentare la tragedia che si svolgeva sotto i suoi occhi.  Nominato a sessant’anni  vescovo del Chiapas (Messico), rimase solo tre anni in quell’ufficio, invariabilmente osteggiato dai colonizzatori spagnoli e dal suo stesso clero. Tornò in Spagna nel 1547, continuando da lì la sua lotta a favore degli indios, fino alla morte, avvenuta a Madrid, il 17 luglio 1566.

 

17 ANDREI RUBLEV.jpgAndrej Rublev nacque in Russia verso il 1360. Divenne monaco nel mostastero di Serpuchov, dove emise la professione religiosa e ricevette l’ordinazione presbiterale. Alla Laura di Radonez, dove visse a lungo, apprese l’arte dell’iconografia da Teofane il Greco e conobbe il suo migliore amico, il bulgaro San Daniele il Nero, con cui convisse e lavorò fino alla morte, sopraggiunta per i due nello stesso anno. A lui si devono i dipinti dell’iconostasi nella cattedrale dell’Annunciazione del Cremlino a Mosca, gli affreschi nella cattedrale della Dormizione di Vladimir, alcune tavole dell’iconostasi della stessa chiesa, gli affreschi della cattedrale del Salvatore nel monastero di Andronik, e la famosa icona della Trinità, ispirata alla scena biblica dell’ospitalità offerta da Abramo ai tre angeli. Dal punto di vista spirituale Rublev fu senza dubbio un esicasta, praticava, cioè, il metodo ascetico della spiritualità ortodossa, che si serve soprattutto della “preghiera di Gesù”. Morì il 29 gennaio (11 febbraio del calendario gregoriano) 1427 (o 1430). Fatto oggetto di venerazione a livello locale, nei secoli XV e XVI, fu canonizzato dalla Chiesa Ortodossa Russa nel 1988. La sua festa è celebrata oggi, 4 luglio (17 luglio del calendario gregoriano).

 

17 FRANCOIS VARILLON.jpgFrançois Varillon nacque a Bron, alla periferia di Lione, il 28 luglio 1905. A ventidue anni, nel 1927, decise di lasciare la fidanzata, Simona, per entrare nella Compagnia di Gesù. Pronunciò i suoi primi voti nel 1930 e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1937.  In seguito fu professore di lettere classiche e di filosofia e poi, per molti anni, assistente ecclesiastico di diversi movimenti dell’Azione cattolica, e, dal 1972 al 1978,  direttore della Casa di Ritiri di Châtelard. Morì il 17 luglio 1978. I suoi scritti di spiritualità hanno segnato intere generazioni di cristiani.

 

I testi che la liturgia odierna propone oggi alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Michea, cap.2,1-5; Salmo 10; Vangelo di Matteo, cap.12,14-21.

 

La preghiera del sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Oggi nel pomeriggio, proveniente da Foz de Iguaçu, dove ha visitato per qualche giorno la comunità e i progetti avviati là da Arturo Paoli,  è arrivata Nadia di Foligno, portando con sé il profumo dell’Umbria e delle tante amicizie che abbiamo là. Hanno provveduto a prelevarla in aeroporto, a Goiânia, Pedro, Ariane, e il Postino. Ed ora è qui, tra la sua gente, che avrà di che “matar a saudade”, come anche lei, del resto, dato che si fermerà per cinque settimane.

 

Per stasera è tutto. Noi ci si congeda qui, lasciandovi a un brano di François Varillon, tratto dal suo libro più famoso, “L’humilité de Dieu” (Le Centurion), che è, per oggi, il nostro 

 

PENSIERO DEL GIORNO

Dio è infinitamente ricco. Ma ricco in amore, non in avere né in essere posseduto come un avere. Ricchezza in amore e povertà sono sinonimi. Dio è sovranamente indipendente, dunque libero. Ma libero di amare e di andare sino all’estremità dell’amore. L’estremo dell’amore è la rinuncia all’indipendenza. Al limite, è la morte. “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per coloro che ama”. Dio è infinitamente grande, potente. Ma la sua grandezza è di poter tutto ciò che può l’amore, fino alla sparizione di sé nell’umiltà dello sguiardo. In altre parole, Dio è tale che la sua ricchezza, la sua libertà, la sua potenza – ricchezza d’amore, libertà d’amore, potenza d’amore – non possono essere e non sono di fatto tradotte, espresse, rivelate, che attraverso la povertà, la dipendenza e l’umiltà di Gesù Cristo. Se da un lato io non conosco Gesù Cristo, e d’altro lato non ho nessuna esperienza dell’amore, dell’amicizia, o della carità, non c’è nulla di più misterioso; tutto diventa enigmatico. Con quanto tristezza! (François Varillon, L’humilité de Dieu).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri frateli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 17 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-17T23:54:00+02:00da fraternidade
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