Giorno per giorno – 08 Luglio 2010

Carissimi,

“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10, 8). “Date”, dice Gesù, non “predicate”. Gli inviati di Gesù devono avere fatto questa esperienza primordiale del ricevere qualcosa  (o qualcuno) in dono e saperne così tutta la bellezza. E volerla moltiplicare all’infinito. Questo ricevere e dare (darsi) continuamente è nientemeno che il mistero di Dio. È curioso, ci dicevamo stamattina, come Gesù abbia usato l’immagine della messe, per designare la sua missione. Un’immagine suscettibile di diverse letture, ma che, a quei tempi, richiamava soprattutto l’idea del giudizio finale, da cui si salvi chi e come può, cominciando a comportarsi come si deve. Coincide, quindi, con un invito pressante alla conversione alla Legge, a Dio. La messe cui si riferisce Gesù sono invece le infinite necessità dei poveri a cui Dio si converte e a cui siamo invitati a convertirci anche noi: “Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni” (v.7). E, per evitare di fare del facile assistenzialismo, di lasciar cadere il bene dall’alto: “Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone” (v.9-10). Il che, tra l’altro, richiamava le istruzioni cha la Torah orale dava ai pellegrini circa le modalità di accesso al Tempio: “Non salga sul Monte del Tempio né con le scarpe né con la borsa, né con la polvere sui piedi” (Mishnah, Berakot 54a). Poveri si accede, dunque, al Tempio, anche a quello nuovo, che Gesù è venuto a inaugurare. I poveri, e le loro case (sì, la casa di dona Dominga, di Valdecí, di , di Badia, di seu Ciato, tutte) sono il luogo sacro dell’incontro con Dio, dove la parola del saluto, “Shalom”, pace (anzi, assai più che pace, benessere, vita, vita piena e gioia condivisa), è chiamata a diventare realtà. Ove, ostinatamente, si rifiuti questo programma, è bene venirsene via, andare altrove. Perché, per altri diventi vera la parola della Lettera di Pietro (e del profeta Osea): “Voi che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia” (1 Pt 2, 10). Che è l’esperienza del Regno.

 

Oggi il calendario ci porta la memoria di Procopio, martire in Palestina.

 

08 PROCOPIO.jpgSu Procopio, che lo storico Eusebio addita come primo martire della Palestina, disponiamo di un buon numero di racconti leggendari, ma di poche notizie storicamente accertate. Secondo queste, Procopio era nato nella seconda metà del III secolo, ad Aelia Capitolina (così i Romani avevano ribattezzato Gerusalemme, dopo la sconfitta dell’insurrezione guidata da Simon Bar Kochba, nel 132) e si era poi trasferito a Scitopoli (l’ebraica Beit She’an, all’incrocio tra la valle del Giordano e quella di Jezreel), dove era contemporaneamente lettore, interprete di siriaco ed esorcista. Dedito fin da giovanissimo ad una vita ascetica e allo studio della Parola di Dio, durante la persecuzione di Diocleziano, fu denunciato assieme ad altri compagno come cristiano e condotto a Cesarea, per essere interrogato dal governatore Firmiliano e del giudice Flaviano. Richiesto di sacrificare agli dei, si rifiutò. Invitato a fare delle libagioni ai due imperatori e ai due Cesari in carica, rispose, citando Omero “Una moltitudine di comandanti non è mai una buona cosa, ci deve essere un solo dominatore, un solo re”. E, per quel che lo riguardava, aveva scelto di porre la sua fiducia in Cristo. Pare che la risposta non piacque ai suoi giudici, dato che fu decapitato seduta stante. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Osea, cap.11,1-4. 8c-9; Salmo 80; Vangelo di Matteo, cap.10,7-15.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Non sapevamo bene cosa proporvi in chiusura di questa nostra, poi, però, dando uno sguardo ai testi archiviati, abbiamo trovato – tratte dal sito di spiritualità ortodossa “Nati dallo Spirito” – alcune lettere di P. Filemone al-Maqari, un monaco del monastero di san Macario, in Egitto, reso famoso, negli ultimi decenni del secolo scorso, dalla presenza di Matta el-Meskin. Così, scegliamo di offrirvi lo stralcio di una di esse, datata 3 maggio 1967. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

A proposito di quanto mi chiedi sul ‘morire con Cristo’, sappi che noi moriamo con il Signore attraverso la potenza del Signore allorché rigettiamo la vita secondo le passioni e i criteri del mondo. Noi non possiamo accettare di morire con il Signore se non per la potenza e la Grazia dello Spirito santo. Perché lo Spirito santo ha unto Gesù perché fosse “Cristo” [l’Unto, N.d.T.] il quale per mezzo dello Spirito santo fu crocifisso e per mezzo dello Spirito santo risorse. Non perché il nostro Signore Gesù sia debole e necessiti della potenza dello Spirito santo ma perché il Signore Gesù si è fatto carne affinché stabilisse e fissasse in Lui, ossia nella sua divina ipostasi incarnata, la nostra compartecipazione con il Padre e lo Spirito santo. Allo stesso modo, per mezzo dello Spirito santo, diciamo con l’Apostolo: “Con Cristo sono stato crocifisso”. È lo Spirito santo, infatti, che ci fa confessare Cristo come Signore e Salvatore laddove confessare la divinità di Cristo è alla base di ogni cosa. Confessare, invece, Cristo come Dio crocifisso è fonte di ogni vita e di ogni grazia. Non basta, infatti, dire che Gesù è Signore ma bisogna dire che è anche Salvatore. Egli è Salvatore perché è morto sulla croce. Perciò, caro figlio benedetto, noi siamo crocifissi per soccorso e grazia del Signore Spirito Santo perché la Croce si oppone al modo di pensare e di misurare del mondo. Essa è infatti amore dei nemici, perdono del torto, consegna assoluta nelle mani del Padre, offerta volontaria. Tutto ciò proviene dal Crocifisso e per mezzo del Crocifisso. Infatti, noi non possiamo essere crocifissi con la forza di volontà. Non possiamo cioè accettare da noi stessi la morte di Gesù dentro di noi, la morte all’ego, l’offerta di noi stessi per amore e non per timore. (Filemone al-Maqari, Lettera XI,  3 maggio 1967).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 08 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-08T23:10:00+02:00da fraternidade
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