Giorno per giorno – 09 Luglio 2010

Carissimi,

“Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani” (Mt 10, 16-18). Il fatto che si dica “nelle loro sinagoghe” lascia pensare che l’avvertimento sia stato quanto meno [ri]pensato alla luce della rottura consumata tra cristianesimo e giudaismo, qualche decennio più tardi, dopo la caduta di Gerusalemme. Ma, più in generale, disegna la possibilità che le istituzioni religiose di ogni tempo si alleino con quanti esercitano il dominio sulla società, perseguitando chi assume il progetto di Dio, lo stesso di Gesù che lo fa proprio (“a causa del mio nome”), che consiste nella lotta contro le forze della menzogna, dell’oppressione, dell’esclusione e della morte, perché trionfi la vita. Questa era, del resto, una situazione già presente all’epoca di Gesù, quando le differenti fazioni religiose si opponevano e si contrastavano reciprocamente, talvolta violentemente (da una parte, i sadducei, ovvero l’aristocrazia sacerdotale connivente con il potere imperiale, e gli erodiani; dall’altra, i farisei, gli zeloti, gli esseni, cui possiamo aggiungere i discepoli di Giovanni Battista e i nonviolenti discepoli di Gesù). Una situazione che, qui, in America Latina, si è riprodotta con impressionante fedeltà, negli ultimi decenni del secolo passato, quando abbiamo visto buona parte delle gerarchie religiose allearsi alle dittature al potere, avallarne le scelte liberticide, tacere davanti alle repressioni su vasta scala, ai sequestri, agli arrestri arbitrari, alle torture, alle eliminazioni sommarie di quanti erano sospettati di opporvisi. Ma, stamattina, ci siamo chiesti, come possano essere valide queste parole ancora oggi, per noi, che viviamo tutto sommato in condizioni di formale libertà, senza essere costretti a fuggire da persecuzioni di sorta. Valdecí ha suggerito che i lupi possono essere fuori, ma anche dentro di noi, nel senso che ci sono forze, esterne e interne a noi, che manovrano per farla finita con i discepoli/agnelli che siamo chiamati ad essere.  Pressioni che, detto con altre parole, ci spingono ad omologarci a un certo “così fan tutti” (il che non è sempre sicuro che sia davvero così, ma è ciò che comunque ci vogliono far credere), quella logica che Paolo chiama “della carne” e che l’indovinata traduzione della nostra Bibbia pastorale rende con “gli istinti egoisti”. Di fronte ai quali bisognerà ogni volta porsi con semplicità, quindi senza doppiezze, e con grande capacità di discernimento (la prudenza dei serpenti). Sapendo, all’occorrenza, mettere in conto l’insorgere di incomprensioni e di ostilità, persino da parte di famigliari e di quanti avevamo reputato amici. Il brano si chiude, tuttavia, con una nota di ottimismo: questa, oggi per lo più metaforica (non per tanti rifugiati!), fuga da una città all’altra avrà fine prima di quanto noi si possa pensare, con la venuta del Figlio dell’uomo (v. 33). E possiamo intenderlo genericamente con il riapparire dell’umanità nell’uomo, o con l’apparire di Gesù (il principio della cura, del dono, della compassione) nell’umanità.  Che poi, a pensarci bene, non sono cose così diverse.

 

 

Oggi ricordiamo Angelus Silesius, mistico tedesco del XVII secolo; Augustus Tolton, primo prete afroamericano negli Usa, e Bruno Borghi, primo preteoperaio in Italia; André Chouraqui, uomo dei tre mondi.

 

09 ANGELUS SILESIUS.jpgJohannes Scheffler nacque a Cracovia nel dicembre del 1624, figlio di Stenzel e di Maria Magdalena Henneman, entrambi luterani. Nel 1637  rimase orfano di padre e due anni più tardi gli morì la madre.  Compiuti gli studi ginnasiali a Breslavia, nel 1643 si trasferì a Strasburgo e poi a Padova, per studiarvi diritto e medicina. È in questo periodo che prese a leggere autori mistici come Taulero e Meister Eckhart, che ne influenzarono la spiritualità. Nel 1649 ottenne l’incarico di medico di corte del duca Sylvius Nimrod von Württemberg in una cittadina nei pressi di Breslavia. Ma vi rimase solo tre anni a causa di un conflitto con il cappellano luterano di corte. Il 12 giugno 1653, Johannes aderì alla fede cattolica e assunse il nome di Angelus Silesius. Poco dopo fu nominato medico di corte dell’imperatore Ferdinando III e nel 1657  pubblicò gli scritti che aveva composto nel frattempo. Al fine di spogliarsi progressivamente dei propri beni, costituì fondazioni in favore di monasteri e di poveri. In quello stesso anno, venne ordinato sacerdote. Nel 1671 ottenne ospitalità in un monastero cistercense, dove trovò modo di sottrarsi agli attacchi che, dai tempi della sua conversione, gli venivano dagli ex-correligionari. Visse gli ultimi anni in assoluta povertà, dedito alla preghiera e alla contemplazione, morendo il 9 luglio 1677.

 

09 AUGUSTUS TOLTON.jpgAugustus Tolton nacque, secondo di quattro figli, nella famiglia di una coppia di schiavi cattolici, Peter Paul e Martha Jane Tolton, a Ralls County, nel Missouri, il 1° Aprile 1854.  Allo scoppio della Guerra Civile, nel 1861, il padre fuggì dalla proprietà e si arruolò nell’esercito dell’Unione al fine di lottare per la libertà della sua famiglia e per la fine dello schiavismo. Fu uno dei 180 mila negri che morirono durante la guerra. Martha Tolton a sua volta fuggì con i figli verso la libertà, attraversando il fiume Mississippi e stabilendosi a Quincy, nell’Illinois. Crescendo, il giovane Augustus manifestò il desiderio di essere prete, ma non si trovava un seminario disposto ad accoglierlo. Senza disanimare, egli studiò dapprima col suo parroco, poi, nel 1878, fu ammesso nella scuola gestita dai francescani a Quincy, dove rimase due anni, finché ottenne di potersi recare a Roma nel Collegio Urbano, il seminario della Congregazione di Propaganda Fide. Ordinato prete nel 1886, divenne il primo prete afroamericano negli Stati Uniti. Tornato nella sua diocesi, gli fu affidata una parrocchia di negri, ma il suo carattere, la sua preoccupazione per le reali necessità della sua gente,  e le sue predicazioni lo resero presto popolare anche tra molti bianchi di origine tedesca e irlandese, che presero a frequentare la sua chiesa. Suscitando, neanche a dirlo, il risentimento e la gelosia degli altri parroci della zona. I quali nel giro di poco tempo riuscirono ad ottenere il trasferimento del “prete negro” a Chicago, dove divenne il primo pastore negro della città, profondendosi senza risparmio per la causa della sua gente e per la causa del Regno di Dio. Troppo, forse, per durare a lungo. Morì d’infarto, la notte del 9 luglio 1897, tornando da un ritiro. Aveva quarantatre anni.

 

09 Bruno Borghi prete operaio.jpgDi Bruno Borghi abbiamo a disposizione solo pochi elementi biografici. Ne ricaviamo alcuni da un ricordo a lui dedicato a suo tempo da Adista. Cristiano e prete scomodo, fece parte, con La Pira, Balducci, Turoldo, Facibeni, Vannucci, Milani e altri, di una generazione che seppe animare e provocare salutarmente il panorama ecclesiale e politico italiano, a partire dagli anni cinquanta. Nato nel 1922,  entrò nel seminario di Firenze dove fu compagno di studi di don Lorenzo Milani, con cui instaurò una duratura amicizia. Nel 1950, scelse di lavorare in fabbrica, desiderando “immedesimarsi totalmente nella condizione della classe operaia, in cui vedeva la presenza di valori e istanze capaci di rivitalizzare una realtà sociale ed ecclesiale in cui cominciavano, dalla base, a nascere i primi fermenti del rinnovamento”. Nell’ottobre 1964 fu autore, insieme a don Milani, di una “Lettera ai sacerdoti della diocesi fiorentina”, in cui denunciava l’autoritarismo del vescovo Ermenegildo Florit. Nel 1965, sempre con don Milani, intraprese una battaglia in difesa dell’obiezione di coscienza al servizio militare, allora fuori legge. Nel 1968, scese in campo per esprimere la sua solidarietà concreta a don Enzo Mazzi, che l’arcivescovo aveva allontanato dalla comunità dell’Isolotto. In seguito Borghi abbandonò il sacerdozio. Conobbe e sposò Agnese, da cui ebbe un figlio, Giovanni. Negli anni successivi, non venne mai meno il suo impegno nella società civile, a difesa dei settori più emarginati. Si impegnò tra l’altro come volontario, a fianco dei carcerati, nel carcere fiorentino di Sollicciano. È morto il 9 luglio 2006, nella sua abitazione di Torri (Firenze).

 

09 André Chouraqui.jpgNathan André Chouraqui era nato l’11 agosto 1917 (per il calendario ebraico il 23 del mese di Av dell’anno 5677),  a Ain-Témouchent in Algeria, nono dei dieci figli di Isaac Chouraqui e Meléha Meyer, entrambi ebrei sefarditi. Colpito da poliomelite a sette anni, dopo gli studi nel Liceo francese di Orano, si trasferìi a Parigi per studiarvi Diritto. Nel 1938 conobbe Colette Boyer, una musicista ammalata di tubercolosi, che sposò nel 1940 ad Ain-Témouchent nel villaggio natale, con una cerimonia ebraica, cui seguì, poco dopo, la conversione di lei all’ebraismo. Durante la seconda guerra mondiale, Chouraqui fu attivo nella Resistenza francese. Poi lavorò per qualche tempo come magistrato in Algeria. Nel 1948, Colette scelse, con il consenso ma anche con il comprensibile strazio del marito, di far ritorno alla Chiesa, restando tuttavia fedele al Credo di Israele. Entrò tra le Piccole sorelle di Gesù, dove sarebbe vissuta fino al 18 ottobre 1981, quando spirò tra le braccia di lui, accorso al suo capezzale per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Intanto, nel 1951, Chouraqui aveva scelto di emigrare in Eretz Israel, stabilendosi a Gerusalemme, dove nel 1958, sposò Annette Lévy, che gli darà cinque figli. Da allora, dedicò tutta la sua vita a cercare le vie di un dialogo fruttuoso tra ebrei, cristiani e musulmani, i tre mondi in cui affondavano le radici della sua biografia. Traduttore e commentatore in francese della Bibbia ebraica, del Nuovo Testamento e del Corano, sapeva scorgere in essi la trama nascosta di un unico disegno divino che mira alla nascita di un uomo nuovo, libero dai condizionamenti e dalle schiavitu di sempre. Fu promotore di associazioni per il dialogo interreligioso e ambasciatore instancabile di un pensiero di pace nel mondo. Nel 1999 fu insignito del Premio Internazionale per il Dialogo fra gli Universi Culturali. André Chouraqui è morto a Gerusalemme il 9 luglio 2007.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Osea, cap.14, 2-10; Salmo 51; Vangelo di Matteo, cap.10, 16-23.

 

La preghiera del venerdì è in comunione con i fedeli della Umma islamica che professano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Beh, questa volta abbiamo davvero esagerato. Ma non ce ne vogliate, non è stata colpa nostra. Noi ci si congeda qui lasciandovi ad una citazione di André Chouraqui, tratta dal  discorso tenuto in occasione del ricevimento del Premio Giovanni Agnelli per il Dialogo tra gli universi culturali. Che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Nel profondo, i nostri due popoli aspirano a una riconciliazione reale, che apra le porte a un avvenire degno della loro trascorsa grandezza. […] La soluzione di tale conflitto non verrà mai da una mera spartizione territoriale, qualunque essa sia. […] Invece di dividerlo, è necessario unificare il Paese, separando le competenze amministrative in modo tale da garantire i diritti legittimi di ciascuno. Solo una trattativa diretta fra israeliani e palestinesi potrà permettere l’edificazione di tale confederazione mediorientale, bicefala (Israele e Palestina) o tricefala (Israele, Giordania e Palestina) che sia. Gerusalemme, capitale d’Israele, svilupperà la vocazione di capitale della confederazione, come già lo è dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam. Il suo compito sarà quello di unificare i popoli e le religioni, salvaguardando la specificità di ciascuno nell’unità territoriale del paese grazie a un’equa ripartizione delle competenze. I popoli della regione, malgrado le bramosie e le bravate dei loro dirigenti e dei loro politici, sono sfiniti e chiedono grazia, come chiede grazia la terra lacerata dal conflitto. Ora più che mai è il momento di resistere ai ciechi estremismi di ogni frangia. Questa pace, così difficile da realizzare, finirà per vincere sia le pesantezze e le lacerazioni della storia sia i potenti interessi di coloro che di tale conflitto ancora vivono. Riconciliatevi, ebrei, cristiani e musulmani, a Gerusalemme e in tutto il Medio Oriente, e creerete, alle soglie del terzo millennio, una comunità unificata da una fede comune, dal medesimo dialogo e dalla stessa speranza, quella dell’Alleanza predicata da Mosè e da Gesù e promessa da Muhammad. Intorno al centro gerosolimitano di tale confederazione, si riuniranno a far parte tutti coloro che si sentono legati alla sua storia o ai suoi ideali di giustizia e di pace. Sarà necessaria tutta questa potenza spirituale, viva e unica, per vincere i pericoli mortali, ahimé molto concreti, che minacciano la terra, nostra madre. (André Chouraqui, Il dialogo fra gli universi culturali e i suoi orizzonti di pace).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 09 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-09T23:14:00+02:00da fraternidade
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