Giorno per giorno – 07 Luglio 2010

Carissimi,

“Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, Gesù diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità” (Mt 10, 1). Viene introdotto così il secondo dei cinque discorsi che formano lo scheletro del Vangelo di Matteo, quello chiamato “Discorso missionario”, che occupa tutto il cap.10 e in cui l’evangelista riunisce diversi insegnamenti sul tema della missione pronunciati da Gesù in differenti occasioni. Noi, il brano, l’abbiamo meditato stamattina, e ripreso poi, stasera, nell’eucaristia celebrata con Dom Eugenio, su, alla chiesetta dell’Aparecida.  E ci dicevamo che la missione che Gesù affida agli apostoli, cioè, a tutti coloro che chiama a sé, per poi inviarli, (quindi anche a noi, se ci stiamo), si riassume tutta in questa attività terapeutica, che consiste nel guarire tutti i mali e le infermità che allignano nella società e nell’allontanare gli spiriti che ne sono la causa: spirito di avidità, superbia, egoismo, comodismo, lussuria. Per dire solo quelli che i nostri hanno menzionato rispondendo a una domanda posta da dom Eugenio. Quando noi riusciamo a fare questo, vuol dire che Dio regna su noi e tra di noi. Allora, e solo allora, possiamo annunciare agli altri: vedete?,  il regno di Dio è qui, in mezzo a noi (v.7). Se invece le malattie non vengono curate, le necessità umane sono trascurate, e ciascuno pensa solo a se stesso o ai suoi, significa che il regno di Dio è distante mille miglia. E, allora, è meglio che ci diamo da fare per testimoniarlo anzitutto tra di noi (le pecore perdute della casa d’Israele), ripetendo a noi stessi in cosa consiste questo regno di Dio, che la Chiesa ha così spesso tralasciato di annunciare, o ne ha annunciato una sua versione spiritualizzata, e perciò distorta. Poi, potremo andare con una certa maggiore credibilità fra i pagani e nelle città dei Samaritani. Che, spesso, non sono quelli che non credono in Dio o non praticano [più] la religione, ma quanti si lasciano asservire agli idoli del potere e ai loro rappresentanti e si rendono complici dei loro disegni.

 

Oggi facciamo memoria del patriarca Atenagora, profeta di ecumenismo.

 

Atenagora.jpgAristokles Pyrou (questo il suo nome all’anagrafe) nacque il 25 marzo 1886, a Tsaraplana (Grecia).  Metropolita di Corfú e successivamente arcivescovo della comunità greco-ortodossa di New York, fu eletto nel 1949 patriarca ecumenico di Costantinopoli, diventando presto una figura di primo piano nello sviluppo della Chiesa ortodossa e del movimento ecumenico. Sognava una Chiesa evangelica, in cui le diverse confessioni potessero incontrarsi come Chiese sorelle, sulla base della comune fede apostolica, nella fedeltà alla tradizione dei Padri e all’ispirazione dello Spirito. Nella sua visione, il primato romano doveva essere una presidenza nell’amore, non sulla Chiesa, ma nel cuore della sua comunione e al suo servizio. Del cristianesimo sottolineò non l’aspetto normativo, ma l’ispirazione creatrice, la fraternità tra gli individui, il miracolo delle creature vive, l’umile illuminazione del quotidiano,  attraverso la “presenza nell’assenza” dello Sconosciuto che divenne il nostro Amico segreto. Cercò anche di aprire il dialogo con l’Islam. Morì incompreso e isolato dagli ambienti moderati e fondamentalisti della sua stessa Chiesa, il 7 luglio del 1972.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Osea, cap.10, 1-3.7-8. 12; Salmo 105; Vangelo di Matteo, cap. 10, 1-7.

 

La preghiera del mercoledì è in comunione con tutti gli operatori di pace, quale che ne sia il cammino spirituale o la filosofia di vita.

 

Stamattina irmã Paula è partita per l’Italia, dove si tratterrà un mesetto per far visita alla famiglia e, possibilmente,  per riposare un po’. Saranno in tanti a sentire la sua mancanza, date le molteplici attività cui si dedica instancabilmente. Ma, scommettiamo, saranno soprattutto i carcerati, a cui, prima di predicare la Parola, fa vedere in cosa essa consista. O, anche, la gente del bairro. Che, quando c’è bisogno, sa alla porta di chi bussare. O i suoi alunni dei corsi d’italiano e di francese, cui si dedica con una passione non indifferente. O chi, non vi diremo chi, ha periodicamente il privilegio di gustare della sua cucina. Che è davvero qualcosa da guida Michelin. Chi tirerà invece un sospiro di sollievo, saranno, per un po’, avvocati, giudici, promotori di giustizia, assistenti sociali, autorità pubbliche, medici, e quant’altri, che lei non si rassegna a lasciare in pace neanche per un po’. Negli interessi dei “suoi”: i piccoli, gli esclusi, i senza voce, i senza speranza.  Mauro, uno che, negli ultimi anni, ha conosciuto bene suor Paula, è uscito oggi pomeriggio dalla chácara di recupero, dopo aver completato i nove mesi previsti dal trattamento. Una bella camminata davvero la sua! Già domani comincerà a lavorare. Dimostra molto equilibrio, forza di volontà e fermezza. Ma vale la pena accompagnarlo anche con la nostra preghiera. 

 

E, per stasera, è tutto. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura una citazione tratta dal libro di Olivier Clément, “Dialogues avec le Patriarche Athenagoras” (Fayard), che è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Non nego che vi siano differenze tra le Chiese, ma dico che dobbiamo cambiare il nostro modo di abbordarle. E la questione del metodo è in primo luogo un problema psicologico, o meglio spirituale. Per secoli si sono susseguiti dibattiti tra teologi, ed essi non hanno fatto che irrigidire le loro posizioni. Ho un’intera biblioteca in proposito. E perché? Perché essi parlavano con timore e sospetto gli uni degli altri, con il desiderio di difendersi e di sconfiggere gli altri. La teologia non era più la semplice celebrazione del mistero di Dio. Era diventata un’arma. Dio stesso era un’arma! Ripeto: non ignoro queste difficoltà. Ma sto cercando di cambiare l’atmosfera spirituale. Ritornare all’amore vicendevole ci consentirà di vedere il problema sotto una luce completamente diversa. Dobbiamo esprimere la verità che ci sta a cuore – poiché essa protegge e celebra l’immensità della vita che è in Cristo – dobbiamo esprimerla non in modo da respingere gli altri, quasi costringendolo ad ammettere di essere stato sconfitto, ma per condividerla con lui; e anche nel suo interesse, per la sua bellezza, come celebrazione della verità a cui noi invitiamo i nostri fratelli. Nello stesso tempo dobbiamo essere pronti ad ascoltare. Per i cristiani, la verità non è contraria alla vita, all’amore; essa esprime la loro pienezza. Prima di tutto dobbiamo liberare queste parole, queste parole che conducono allo scontro, dal male del passato, da tutti gli odi politici, nazionali, e culturali che non hanno nulla a che fare con Cristo. Poi dobbiamo radicarle nella vita profonda della Chiesa, nell’esperienza della Risurrezione, che è la loro missione di servire. Dobbiamo sempre pesare le nostre parole sulla bilancia della vita, della morte e della risurrezione. Quanti mi accusano di sacrificare l’Ortodossia ad una cieca ossessione per l’amore, hanno una concezione della verità assai povera. La riconducono entro un sistema che essi posseggono, che li rassicura, mentre ciò che essa è in realtà è la glorificazione vivente del Dio vivente, con tutti i rischi connessi alla vita creativa. E noi non possediamo Dio; è Lui che ci sostiene e ci riempie con la sua presenza in proporzione della nostra umiltà e del nostro amore. Solo con l’amore possiamo glorificare il Dio  dell’amore, solo dando e condividendo e sacrificando noi stessi possiamo glorificare il Dio che, per salvarci, ha sacrificato se stesso e si è consegnato alla morte, alla morte di croce. (Olivier Clément, Dialogues avec le Patriarche Athenagoras).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 07 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-07T23:37:00+02:00da fraternidade
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