Giorno per giorno – 03 Luglio 2010

Carissimi,

“Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”  (Gv 20, 24-25). Tommaso esprime la nostra resistenza a credere che la Croce sia l’ultima verità di Dio. Perché accettarla, significa dover cambiare tutto nella nostra vita. Significa, lo scrivevamo nei giorni scorsi al nostro amico Giovanni di Roma, “porsi al servizio della vita dell’altro, essere nutrimento per la sua crescita… accettare, sulle tracce del Crocifisso, di perdere noi, come cristiani e come Chiesa, ogni rilevanza fino a raggiungere e fare comunione con la radicale insignificanza degli ultimi”. Che, detto così, pare eccessivo, estremo, impossibile. E, nondimeno, è quella Verità – le piaghe delle mani, la ferita del costato – con cui Lui ci invita a fare i conti. Poi noi siamo liberi di dire: “Mio Signore e mio Dio”. O di girare invece sui tacchi. 

 

Se la liturgia ci presenta oggi questo Vangelo è perché la Chiesa fa memoria di Tommaso apostolo. Assieme a lui, ricordiamo una grande figura di maestro del sec. XX : Bernard Häring, apostolo della non-violenza.  

 

03 Tommaso apostolo.jpgIsraelita, Tommaso fece parte del gruppo dei dodici. Il suo nome appare nell’elenco fornito dai quattro evangelisti. Il Vangelo di Giovanni gli  dedica distacco particolare. È lui che incita i discepoli a seguire Gesù e a morire con lui in Giudea (Gv 11,16). È lui che chiede a Gesu, durante l’ultima cena, sul cammino che conduce al Padre (Gv 14,5-6). Tommaso fa una singolare esperienza dell’incontro con il Cristo risorto (Gv 21,2). Temperamento coraggioso e pieno di generosità, percorre le tappe della fede e riconosce Gesù, il maestro che ha dato la sua vita per amore, come Dio e Signore (Gv 20,26-28). Una tradizione afferma che nella sua missione di evangelizzazione arrivò fino in India, dove sarebbe morto martire.

 

03 padre Häring.jpgBernard Häring era nato il 10 novembre, 1912 a Böttingen (Germania), da Johannes e Franziska Häring. Entrò dodicenne nel seminario di Gars-am-Inn e, nel 1933, iniziò il suo noviziato tra i Redentoristi. Ordinato sacerdote sei anni più tardi, dopo la parentesi bellica, riprese gli studi di teologia morale, a cui l’avevano destinato i superiori, conseguendo, nel 1947, il dottorato in Sacra Teologia nell’Università di Tübingen. Nel 1954 pubblicò la sua prima opera maggiore di teologia morale: La Legge di Cristo, in cui “proponeva una teologia morale incentrata sulla Bibbia, sulla liturgia, sulla cristologia e sulla vita”, opponendosi “risolutamente ad ogni legalismo che facesse di Dio un controllore anziché un salvatore di grazia”. Fu nominato da papa Giovanni XXIII membro della Commissione Preparatoria del Concilio Vaticano II e a lui si deve un decisivo contributo nella redazione del documento conciliare Gaudium et Spes. Nel 1979 gli venne diagnosticato un tumore alla gola, contro cui lottò coraggiosamente, senza mai perdere il suo spirito. Centrale nel suo magistero e nella sua testimonianza di vita i temi della pace, della non-violenza e del dialogo. Scrisse: “Non potrei perdonarmi, se non credessi di poter vivere il Vangelo dell’amore non-violento e se non lo predicassi come nucleo e apice della fede in Cristo, redentore del mondo”. Molto ebbe a soffrire per le incomprensioni e le censure  da parte della gerarchia ecclesiastica, ma questo non gli impedì di scrivere alla vigilia della morte: “Amo la Chiesa così com’è,  come anche Cristo mi ama con le mie imperfezioni e le mie ombre”.  Si spense a Gars-am-Inn il 3 luglio 1998.

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono propri della memoria dell’Apostolo Tommaso e sono tratte da:

Lettera agli Efesini, cap.2, 19-22; Salmo 117; Vangelo di Giovanni, cap.20, 24-29.

 

La preghiera del Sabato è in comunione con le comunità ebraiche della diaspora e di Eretz Israel.

 

Oggi per il nostro Vescovo, dom Eugenio, sono 66 primavere. Mettetelo anche voi nelle vostre preghiere, perché duri molti anni sulla breccia. Stasera gran parte della nostra gente del bairro si sta mettendo in moto per unirsi al flusso di pellegrini che da ogni parte dello Stato di Goiás si dirige al Santuario del Divino Padre Eterno a Trindade. Il pulman che dona Balbina ogni anno noleggia per i nostri, c’è chi dice che è già di per sé una prova incontrovertibile della protezione del Cielo. Perciò cantano: “Ele vai te livrar dos desastres, Ele sempre te afasta dos males: te protege no ir, no voltar, toda hora sem nunca faltar!” , ovvero: “Lui ti libererà dai disastri, ti allontana sempre da ogni sventura: ti protegge nell’andata e nel ritorno, in ogni momento, immancabilmente” (Sal 121, 7-8). E che sia così anche questa volta.     

 

Bene, una parte almeno della citazione di Bernard Häring che abbiamo pensato di proporvi nel congedarci – e che è tratta dal libro suo e di Valentino Salvoldi, “Nonviolenza. Per osare la pace” (Edizioni Messaggero Padova) -, l’avevamo già presentata nel Giorno per giorno di sette anni fa. Dato però che, nel frattempo, alla nostra cerchia di amici, si è aggiunto un buon numero di persone – e altri comunque forse se la saranno scordata – ve la riproponiamo stasera, arricchita,  come nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

La vita e la morte nonviolenta del Redentore del mondo può – con la grazia che non mancherà per gli uomini di buona volontà – e dovrà essere la svolta definitiva e salvante della storia umana. Noi cristiani, con altri credenti in un solo Dio e con tutti gli uomini di buona volontà, saremo la luce del mondo e il sale della terra, in quanto saremo trasparenti nel portare avanti questo ideale, pronti a soffrire piuttosto che far soffrire inutilmente gli altri. Il discepolo nonviolento, nella sequela di Cristo, preferisce lasciarsi uccidere piuttosto che uccidere altre persone. Al centro della nonviolenza evangelica e gandhiana c’è l’amore verso il nemico e verso gli ingiusti e gli oppressori. Ma questo amore è franco: smaschera la falsità, l’ingiustizia, il crimine di sfruttamento dei poveri e degli inermi, avendo sempre lo scopo di riconciliare e di guarire. La nonviolenza è una virtù onnicomprensiva, a tutti i livelli e in tutti i rapporti. Credere nel vangelo implica la più profonda conversione a Cristo, che è la nostra Pace, che per mezzo delle sue piaghe ci guarisce e ci vuol partecipi della sua nonviolenza e del suo amore riconciliatore e sanante. Tale conversione è molto radicale, fin dalle radici della nostra esistenza. Il fermo proposito di superare ogni rancore, ogni odio, ogni forma di vendetta, per far posto all’amore riconciliatore, fa indispensabilmente parte dell’opzione fondamentale e della conversione della fede: “Convertitevi e credete al vangelo”. Chi crede al vangelo di Colui che è la nostra pace, sa infallibilmente che nessun uomo potrà sfruttare in buona coscienza altri uomini, dominare sugli altri, odiare, nutrire rancore contro gli offensori. La violenza contiene un tremendo veleno che tende a contaminare: provoca il violento a nuove forme e a gradi più alti di reazione violenta. (Bernard Häring, Nonviolenza. Per osare la pace).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 03 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-03T23:15:00+02:00da fraternidade
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