Giorno per giorno – 02 Luglio 2010

Carissimi,

“Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?” (Mt 9, 10-11). La porzione settimanale della Torah che si legge questa settimana nelle comunità ebraiche è quella che ha titolo Pinchas (Nm 25,10-30,1), dal nome del protagonista di un truce episodio, nipote di Aronne, che prende l’iniziativa di uccidere, trafiggendoli con una lancia, un israelita e la donna madianita con cui trescava, violando così la Legge. E Dio si rivolge a Mosè, tessendone l’elogio, poiché, dice, con il suo gesto “ha allontanato la mia ira dagli israeliti, perché egli è stato animato dal mio zelo fra di loro, e io nella mia gelosia non ho sterminato gli israeliti” (Nm 25, 11). Ora, succede che,  un dodici secoli dopo quei fatti, arriva Gesù, un uomo certo giusto,  e vede, seduto al suo banco,  uno di quegli esattori delle imposte che lavorano per conto dell’odiato nemico romano, tale Matteo, o Levi. E invece di prenderlo per il collo, lui che di zelo per le cose di Dio doveva averne anche più di Pinchas, si sofferma a guardarlo e poi gli fa: Seguimi (Mt 9, 9). E devono essersi parlati un po’ e quello, subito, lo invita a pranzo, a casa sua. Che si riempie presto dei compagni di sempre, così poco affidabili. Con un certo imbarazzo dei discepoli e lo scandalo della brava gente di chiesa che si affaccia per avere conferma della voce che corre nei vicoli del quartiere. La casa di Matteo sarà quarant’anni dopo anche il nome della comunità di giudeo-cristiani che si riuniscono per ascoltare ogni volta di nuovo la parola di Gesù e spezzare il pane come Lui aveva insegnato. E Matteo continuava ad essere un nome difficile da portare e da esibire, perché aveva rappresentato la scandalosa rottura di un tabù che i farisei, anche quelli che facevano parte della nuova comunità,  non riuscivano a digerire: la tavola dei peccatori. Spezzare il pane con i peccatori, fare eucaristia con loro: dove si andrà a finire? Si andrà a finire come con Matteo,  si lasceranno, ci lasceremo incantare da questo Dio che si siede a mensa con noi e lasceremo il peccato. Che avrà nel frattempo perso ogni sua attrattiva. Ma la Chiesa, la nostra comunità,  è ancora la casa di Matteo?       

 

Oggi facciamo memoria di Antonio Fortich, pastore e testimone di giustizia e di pace.

 

02 ANTONIO FORTICH BIS.jpgAntonio Fortich, figlio maggiore di Ignacio Fortich e di Rosalia Yapsutco, era nato l’11 Agosto 1913 a Dumaguete, nella provincia di Negros Oriental, nelle Filippine. Ordinato prete il 4 marzo 1944, fu consacrato vescovo di Bacolod il 24 febbraio 1967. Probabilmente, non erano molti ad aspettarsi ciò che avrebbe da subito messo in cantiere. Nella sua prima lettera pastorale rivolse un deciso richiamo ai proprietari delle piantagioni di canna al dovere di pagare giusti salari ai loro lavoratori, rivendicando nel contempo il diritto di questi a costituire i loro sindacati. Decise che il Palazzo vescovile si sarebbe chiamato “casa del popolo” e fece in modo che lo diventasse davvero. Diede avvio inoltre a numerosi progetti: dalla realizzazione immediata della riforma agraria nelle proprietà della chiesa, all’apertura di un Centro di Azione Sociale, che favorisse la riflessione, il confronto e la mobilitazione delle forze popolari; all’acquisto di un vecchio mulino, con il trasferimento delle sue strutture, su un convoglio di ottanta camion, ad una remota valle di montagna per la creazione di una Cooperativa di zucchero, riso e cereali, a Daconcogon; e, ancora, alla costituzione di un programma di assistenza legale gratuita per i non abbienti; al permesso accordato a due sacerdoti di dedicarsi alla creazione del sindacato dei lavoratori della canna, e così via. Ma, probabilmente, più importante di tutto fu convincere la maggior parte dei suoi preti che il servizio ai poveri era condizione indispensabile per lo svolgimento del loro ministero. Le “incomprensioni” che incontrò in altri membri della gerarchia e, in primo luogo, neanche a dirlo, nel nunzio apostolico, l’italiano mons. Bruno Torpigliani, il nostro vescovo le aveva messe in conto e le subì in silenzio e con grande umiltá. Frequenti furono le minacce alla sua vita da parte delle oligarchie e della destra politica. Le dimissioni, presentate al compimento del settantacinquestimo anno, furono accolte il 31 gennaio 1989.  Benché pensionato, non smise di lavorare, dedicando gli ultimi anni al servizio della pace nel suo Paese. Morì il 2 luglio 2003. Vescovo, per dirlo con le parole di uno dei suoi più stretti collaboratori che “aveva deciso una volta per tutte che la Chiesa non è chiesa se non è madre dei poveri”. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Amos, cap.8, 4-6.9-12; Salmo 119; Vangelo di Matteo, cap.9, 9-13.

 

La preghiera del Venerdì è in comunione con i fedeli dell’Umma islamica, che confessano l’unicità del Dio clemente e misericordioso.

 

Chi ha mai detto che a noi piace il calcio? O che si fa il tifo per qualcuno ai mondiali? Al massimo si parteggia per la pipoca (che pensavamo fosse una storpiatura dell’inglese “pop-corn”, invece viene dalla lingua tupi “pi poca” , che significa “cuoio che scoppia”). Anzi, neppure quella sembra piacerci più. Se è vero com’è vero che al 22º del secondo tempo di questa dannata Brasil-Holanda, si è lasciato tutta quella che avanzava e si è venuti via. In tempo per vedere Rafael, Wanderson, Jefferson, Dodinho, Gué, Din, , Valdir, Emanuel, Valdemar, Valdiron e qualcun altro ancora andarsene in divisa al campetto, chi con le scarpe chi a piedi nudi, per giocarsi la loro quotidiana pelada. Dove non si sa mai chi vince e chi perde. Dato che vincono tutti. E è persino meglio dei mondiali. In compenso, c’è un capo di governo che, in visita a Panama, ha dichiarato: “Io e Martinelli (presidente di quel paese)  non siamo professionisti della politica ma veniamo da un mondo imprenditoriale. Lui ha detto che sono una persona di parola. Nel mondo imprenditoriale si deve mantenere, ma in politica la parola non si mantiene quasi mai”. Parola sua e quindi c’è da credergli. Ma, allora, ci sorge spontanea una domanda: perché il Belpaese non ne tira le conseguenze, rispedendo il politico che si autodefinisce bugiardo a fare il leale (?) imprenditore?

 

È tutto per stasera. Noi ci si congeda qui, offrendovi in lettura un brano della testimonianza lasciataci da P. Niall O’Brien sulla vita e il ministero del suo vescovo, mons. Antonio Fortich. La troviamo in rete col titolo “An Island of Tears, Island of Hope: The Story of Bishop Fortich” (KASAMA Vol. 17 No. 3 / July–August–September 2003 ). Ed è, per oggi, il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Una banda di soldati ci sbarrò la strada, e quella che mi sembrò essere una folla prezzolata era riunita con un megafono. Un uomo con occhiali scuri e passamontagna sovrastava gli altri gridando contro di noi, in particolare contro Mons. Fortich, accusandolo di essere un uomo violento e rivolgendogli molte altre accuse. Guardandomi intorno e vedendo il vecchio vescovo là in piedi, lassù sulle colline dov’eravamo, mentre avrebbe potuto starsene comodamente a casa, il mio cuore fu subito con lui. Qui lui veniva insultato e le cose peggiori che questo strano figuro con occhiali scuri e passamontagna sapeva dire  era che Mons. Fortich era un oppressore dei poveri. Molte delle altre sue frasi e insulti sembravano presi in prestito da qualche setta fondamentalista. Il vescovo se ne stava lì, tranquillo, a testa china. L’uomo che aveva ricevuto il Premio Magsaysay, acclamato in tutte le Filippine per il suo infaticabile lavoro per i poveri, veniva lì apostrofato e insultato da quelle comparse ignoranti a pagamento. Alla fine decidemmo di celebrare Messa lì nel barrio, senza proseguire per il Sitio Cantomanyug. A dire il vero, anche volendo, non avremmo comunque potuto proseguire, per via della fila di soldati che ci bloccava la strada. Cominciammo la messa con Mons. Fortich e con una quarantina di preti e molta altra gente comune. Le grida continuavano, ma, man mano, che la messa proseguiva, si affievolirono e con nostra grande sorpresa la folla venne aumentando. Molte persone scivolarono oltre il cordone militare e si unirono a noi. Al momento della consacrazione, un silenzio solenne scese su tutta la folla. Non lo dimenticherò mai. Guardai verso padre Nueva. Era a testa china e si copriva il volto con le mani, ma potevo vedergli le lacrime scorrrere ininterrottamente.  Era rattristato che la gente fosse così maltrattata, ingannata e portata ad attaccare, umiliare e ridicolizzare un uomo che aveva tentato davvero di tutto per fare qualcosa per loro. Alla fine della Messa, una donna proveniente dalla zona di pace si fece avanti con in braccio un bambino. Prese il microfono e pregò per la pace. La scena era così bella! Mi fece venire in mente la Madonna e il Bambino Gesù venuti al mondo per portarci la pace. (Fr. Niall O’Brien, An Island of Tears, Island of Hope: The Story of Bishop Fortich).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle della Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 02 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-02T23:17:00+02:00da fraternidade
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