Giorno per giorno – 01 Luglio 2010

Carissimi,

“Salito su una barca, Gesù passò all’altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati. Allora alcuni scribi dissero fra sé: Costui bestemmia” (Mt 9, 1-3). Dunque, come abbiamo visto ieri, la missione tra i pagani ha fallito, tanto che questi chiedono a Gesù, senza troppe cerimonie, di andarsene. E lui, tranquillo, senza protestare, né fare ricorsi a una qualche suprema corte (che allora, del resto, non c’era), o almeno rivolgersi al Padre, dicendogli: Li hai visti? Pensaci tu!, e affidarli così alle divine, inesorabili vendette (qui da noi c’è un proverbio terribile: Deus tarda, mas não falha, ovvero: “Dio ritarda, ma non sbaglia”), Lui, dunque, prende, risale in barca con i suoi, e se ne va. Dopo aver fatto ciò che gli era riuscito di fare: guarire due pazzi scatenati, liberando così quella regione dalla loro violenza e dalla paura conseguente. Ed ora torna sull’altra riva del lago, dalla sua gente. E, tanto per cambiare gli portano un malato, immobilizzato nel suo lettuccio. Ed è assai più di un semplice malato: è qualcuno (forse noi stessi, la nostra famiglia, la società in cui viviamo), fermo, bloccato, chiusi in sé, incapace di un qualsiasi movimento, di andare avanti, progredire. Ma c’è chi si fa carico di lui, della sua situazione, va’ a sapere cosa gli frulla nella testa su Dio, la religione, la morale, e se va in sinagoga, il sabato (o in chiesa la domenica): lui/loro hanno deciso che non è giusto che qualcuno non abbia futuro, o che abbia un presente così triste, e si danno da fare come possono. Lo presentano a Gesù, che è il significato di Dio e che, già nel gesto della cura che hanno posto in essere, si fa presente.  E chi riesce a “vederlo” – almeno i suoi discepoli dovrebbero riuscirci – vedrebbe che Gesù li guarda e s’incanta e dice: Caraggio, figlio, i tuoi peccati ti sono perdonati. E sottintende: la loro fede ti ha salvato. Ma quale fede? Loro son povera gente che mica sa niente di Dio. E Gesù, scuotendo la testa: fede è prendersi a cuore la situazione del fratello, dell’amico, persino del nemico, e mettersi in cammino per trovare una soluzione. Dio è già lì, in quel gesto. E agisce. Stamattina, però, ci è venuta in mente anche un’altra applicazione. Pensavamo ad un sacramento di cui un po’ tutti lamentano la crisi. E ci dicevamo: Come sarebbe più vera una confessione congegnata così. Qualcuno sbaglia (ha fede, non ha fede? vallo a sapere! Di quello del racconto evangelico non lo si dice), ha bisogno però di riconciliazione, di restaurazione. Ed ecco, i suoi amici, o i genitori, i figli, i fratelli, lo prendono, lo portano davanti a Lui (e se proprio si vuole, ci si metta anche un prete) e gli fanno: pensaci Tu. Senza dir altro, che tanto Lui sa già tutto. Al che, il prete (sempre che ci sia) dovrebbe/potrebbe solo aggiungere: ti sono perdonati i tuoi peccati. Te lo dico io a voce alta, perché tu potresti non sentire la sua voce, e saresti portato a dubitare.  Beh, è solo una fantasia, però ci si potrebbe pensare: il paralitico del resto non ha portato nessuna lista della spesa, né l’hanno portata i suoi amici. Lui non gli ha chiesto conto di nulla. Si è limitato a dirgli: sei perdonato, ora va’, cammina incontro alla vita.

 

Oggi il nostro calendario ecumenico ci porta la memoria di Shimon Ben ‘Azzaj, maestro in Israele.

 

01 Shimon ben 'azzaj.jpgShimon ben ‘Azzaj, maestro del 2° secolo, fu reso famoso dalla sua pietà e bontà.  Se Hillel aveva insistito sul fatto che il precetto fondamentale della Torah era : “Ama il tuo prossimo come te stesso”,  Ben ‘Azzaj insegnò che c’è un principio ancora maggiore che deve guidarci nelle relazioni interpersonali. Basandosi sul testo di Genesi: “Questo è il libro della genealogia di Adamo. Quando Dio creò l’essere umano, lo fece a somiglianza di Dio (Gen 5,1)”, diceva che questo comporta che l’obiettivo fondamentale della Torah è di insegnarci a trattare tutti gli esseri umani con lo stesso rispetto e considerazione che dobbiamo a Dio.  Insegnava che non possiamo nutrire disprezzo per niente e per nessuno. Ogni cosa, anche la più piccola e insignificante, è infatti santificata dalla presenza di Dio e, per ciò che riguarda le persone, anche se fossimo in presenza di un grande peccatore, noi non sappiamo ciò che Dio ha in serbo per lui.  La sua passione per lo studio della Legge era così forte che tralasciò di sposarsi, dimenticando così di mettere in pratica il primo precetto della Legge, che è quello di generare figli. Ma Il Signore lo avrà perdonato. Dicono gli antichi saggi d’Israele che, da quando morì Ben ‘Azzaj, non apparve mai più sulla terra anelito eguale per lo studio  della Torah. 

 

I testi che la liturgia odierna propone alla nostra riflessione sono tratti da:

Profezia di Amos, cap.7, 10-17; Salmo 19; Vangelo di Matteo, cap.9, 1-8.

 

La preghiera del giovedì è in comunione con le religioni tradizionali indigene.

 

Per stasera è tutto. Cioè, no. Vorremmo chiedervi una preghiera per seu Manuel e per il sergente Queiroz, amici entrambi della Chiesa di Cristo, che stanno lottando contro un tumore. E poi ci congediamo, offrendovi in lettura un brano tratto da “I racconti dei chassidim” (Garzanti) di Martin Buber, che parla di una guarigione. Che vorremmo riguardasse tutti coloro che sentono di averne bisogno. E che è per oggi il nostro

 

PENSIERO DEL GIORNO

Una volta che il giovane Jissachar Bär era in cammino verso Pžysha per andare dal suo maestro, lo “Jehudi”, e stava valicando un monte che precede la città, gli arrivarono dal basso grida e pianti. Non c’era dubbio possibile: venivano dalla casa del suo maestro. Turbato corse giù. Non appena lo “Jehudi” lo scorse, gli raccontò tra le lacrime che il suo bambino malato stava per morire. Lo tolse dalla culla e glielo mise in braccio. “Non sappiamo più cosa fare”, gli disse, “ma tu vieni al momento giusto, lo affido a te e, lo so, ce lo renderai guarito”. Jissachar Bär lo ascoltò atterrito. Mai aveva avuto a che fare con cose di quel genere, mai aveva avvertito in sé forze straordinarie. Ma prese il bambino, lo pose di nuovo nella sua culla e lo cullò, e cullando riversò davanti a Dio la sua anima imploramte. Dopo un’ora il bambino era fuori pericolo. (Martin Buber, I racconti dei chassidim).

 

Ricevete l’abbraccio dei vostri fratelli e sorelle dela Comunità del bairro.

Giorno per giorno – 01 Luglio 2010ultima modifica: 2010-07-01T23:38:00+02:00da fraternidade
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